Sketches of Giò ovvero appunti da un'amicizia

Capita di avere amici si può dire da tutta la vita. Capita che siano loro a conservare la memoria dei nostri giorni, di ciò che siamo stati e siamo meglio di quanto sappiamo fare noi. Capita di avere nei loro confronti qualcosa che va oltre la gratitudine, che pure è già tanto. Vi ricordiamo che Fuori da noi. Cose piante città sarà presentato oggi alla presenza dell'autrice, a Milano, alle 19 da Spazio BK, via Lambertenghi 20, da Massimo Scotti. E il 31 maggio, venerdì, a Parma, alle 18.30, da Nuova Editrice Berti, piazzale San Lorenzo 3/c, da Caterina Bonetti.

[di Rita Gamberini]

Dedicato a Giovanna Zoboli in occasione della pubblicazione del suo libro Fuori da noi. Cose, piante, città, Nuova Editrice Berti.

“Maturità è districare continuamente dal mondo, che da ogni parte sollecita e stringe (anche e soprattutto il mondo della bellezza), solo ciò che è nostro dalle origini, quindi per destinazione.” (Cristina Campo, Gli imperdonabili)

Erano gli anni Settanta e partivamo spensierate e battagliere verso il mare. L’idea era di andare in un campeggio a Siderno nella Locride, dove insieme ad alcune amiche ci saremmo esibite in uno spettacolo femminista di canzoni e scenette di cui ci facevamo gran vanto. L’esperimento, che caparbiamente ci ostinammo a portare a termine nonostante la presenza di una manciata di spettatori alquanto sconcertati, non ottenne i risultati sperati, niente applausi, niente dibattito, solo sguardi interrogativi tipo “ma chi siete?” E si passò rapidamente dall’intento ludico-politico al totale disimpegno quando alcuni modernissimi ragazzotti ci sottrassero alle grinfie dei mafiosetti locali che ci marcavano a vista, intoducendoci senza se e senza ma alla discoteca più cool del luogo dove furoreggiava la colonna sonora di Rocky, con corredo di canotte, calzoncini da boxeur e inevitabili amorazzi.

Il gruppo di amiche, nato tra le pinete dell’Appennino modenese e le pareti di un’antica casa rossa con le persiane verdi e i pavimenti che scricchiolano, vantava provenienze diverse (Milano, Roma, Modena, Pavullo nel Frignano) e si incontrava più volte nel corso dell’anno in occasione di periodi di vacanza. La sortita calabrese fu solo un episodio di quella che è stata una lunga frequentazione intensa, amorevole e appassionata, fatta di tante tante parole, pranzi, cene, bigliettini, passeggiate, letture, canzoni, cazzeggi, confronti, amori e persitudini.

Lei era la più giovane del gruppo quattordici anni, alta, bella, lunghi capelli scuri, pallida nel volto; un sorriso confuso timido e sottile. Cantava con la stessa passione Sketches of China dei Jefferson Airplane, immensa la voce di Grace Slick, e I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini. Le parole che aveva sulla punta della lingua le scivolavano sulla punta delle dita, e scriveva, scriveva, scriveva… fini pensieri per fini mani.

Un giorno d’inverno, mi regalò una piccola fiaba Storia natalizia del topo Mattia, scritta per me su foglio protocollo con la penna stilografica e illustrata con figurine, ritagli di carta velina e di stoffa. In tutto dieci pagine dove si racconta del topo Mattia, del suo amico Vincenzo e di una banda di saltimbanchi, musici, ballerine, giocolieri, magiantori di fuoco e nanetti. Immaginava che le avventure del topo Mattia avrebbero avuto un seguito e che ne avrebbe scritte molte altre per le Edizioni “Ippopotamo viola”, questo il nome della casa editrice con cui diede vita al topo Mattia, l’ultima pagina infatti elencava tutti i titoli di prossima pubblicazione.

Qualcosa mi dice che quel regalo, che ancora conservo, anticipava incosapevolmente il suo futuro di scrittrice e di editore, molti anni dopo infatti le edizioni “Ippopotamo viola” divennero i Topipittori (topo Mattia docet). E mi piace pensare, forse per il fatto che quella fiaba era per me, che la strada intrapresa sia il frutto di una non deliberata, intima, ricerca iniziata seguendo le tracce di un ingegnoso topino.

Rita e Giovanna nel 1986, al convegno "I narratori dell'invisibile", in memoria di Italo Calvino.

Negli anni ci siamo scritte a lungo e, con il suo permesso, vorrei concludere questa dedica a Giovanna, con una citazione da una sua lettera del dicembre 1985: “Io vorrei scrivere un romanzo senza personaggi. Dove tutto ciò che si racconta è lo spazio attraversato dalle tracce di chi vi è passato. Dove l’unica dimensione temporale è quella del presente, con fughe in avanti e indietro determinate dalla storia degli oggetti. Un romanzo dove si intrecciano rumori, voci, odori, percorsi. Dove ogni cosa si lega all’altra come per un processo di metamorfosi. Per questo la natura vi avrebbe un posto fondamentale: animali, piante, sassi. E tutto questo sarebbe possbile attraverso lo sguardo di un osservatore umano che nascosto dietro le quinte insegue percorsi e tracce fragili che sotto i suoi occhi assumono improvvisamente una dimensione fantastica e esistenziale di portata inaspettata. Sarebbe il collegamento tra le cose, la metamorfosi sarebbe possibile grazie alla sua parola. Sarebbe un’esaltazione delle facoltà umane: l’intelligenza dello sguardo e l’alchimia della parola. Un intento illuministico rinascimentale ma libero dall’ansia della razionalizzazione, della catalogazione della vita umana e naturale. Tu capisci l’impresa. È come volere la luna. Ma io sento che è tutto qui, ben stretto in me, che cresce e si sviluppa anche se io non scrivo una parola. Anzi credo di non riuscire a scrivere niente proprio a causa della lenta maturazione delle mie intenzioni fantastiche (incoscienti) e non.”

Grazie Giò per la tua amicizia.