[di Elisabetta Betty L’Innocente insieme ai ragazzi e alle ragazze del biennio ITT P. Levi di Sant’Egidio alla Vibrata (TE)]
Sono una sceneggiatrice e una docente di lettere innamorata del cinema, delle immagini, delle parole che creano immagini e viceversa. Insieme alle ricercatrici dell’INDIRE promuovo un progetto che si chiama La Scuola allo Schermo e porta il cinema indipendente oltre l’aula, nei luoghi periferici, dislocati.
Insegno in un piccolo, ma preziosissimo istituto tecnico tecnologico dell’entroterra teramano, in Abruzzo. Sono al biennio e proprio con i ragazzi e le ragazze di una classe seconda ho messo a punto un’esperienza che covavo da tempo. O meglio, erano giunti il tempo e il luogo, propizi e fecondi, a questa epifania.
Questa mia non è stata un’illuminazione improvvisa, ma il frutto di un processo lungo, fatto di osservazione e ascolto. L’idea della Farmacia delle Parole non è nata per caso: sentivo che le ragazze e i ragazzi, così lontani dal mondo della poesia, volutamente o inconsapevolmente, avevano bisogno di qualcosa che potesse parlare direttamente al loro cuore. Ma come avvicinarli a un linguaggio che ai loro occhi appariva polveroso, astratto e distante? Le parole dei testi di alcune canzoni, scoperte insieme a loro, riscoperte insieme a me: ecco, grazie a quelle abbiamo aperto un varco e così è filtrata la luce.
La scintilla è arrivata con la lettura personale del libro La poesia salva la vita di Donatella Bisutti (Feltrinelli, 2016). L’autrice descrive la poesia come un cortocircuito tra realtà esterna e mondo interiore, un incontro capace di generare immagini ed emozioni nuove. Allora mi è venuta l’idea di trasformare le figure retoriche in strumenti di cura, pillole e unguenti per l’anima. E perché non farlo in modo letterale, con veri e propri ‘blister di parole’? Così nasce la nostra Farmacia delle Parole.
Preparare il terreno: l’incontro con la poesia
Prima di iniziare a scrivere, prima di confezionare i primi ‘blister poetici’, sapevo che era fondamentale avvicinare i ragazzi alla poesia in modo delicato, senza forzature. Ogni lezione cominciava con una breve lettura: versi semplici, accessibili, ma capaci di evocare mondi immaginari. Tra le letture scelte, ho proposto spesso poesie di Gianni Rodari, dal tocco giocoso e fantasioso, e componimenti di Wisława Szymborska, che, con il suo sguardo ironico e profondo sulla realtà, è riuscita a catturare anche i cuori più diffidenti. Abbiamo anche letto Antonia Pozzi e siamo caduti nel pozzo nero della sofferenza insieme a lei, tenendoci per mano, portando l’uno il dolore dell’altro, sopportando e imparando ad ascoltare. E così via.
Non mi sono limitata a leggere. Dopo ogni poesia ho lasciato spazio al silenzio, dando modo ai ragazzi di assaporare le parole, di farle proprie. A volte li ho invitati a immaginare cosa vedessero dietro quelle righe, altre volte si è aperto un dialogo spontaneo sulle sensazioni che avevano provato. Il mio obiettivo era far capire loro che la poesia non è continente lontano, ma un modo di vedere il mondo con occhi nuovi.
Affresco pompeiano
Le figure retoriche: strumenti di cura
Una volta creata questa apertura verso la poesia, dovevo trovare un modo per rendere le figure retoriche meno astratte, più concrete e vicine all’esperienza quotidiana di ragazze e ragazzi. Ogni figura retorica, così, è diventata un piccolo racconto, un’immagine vivida capace di evocare qualcosa di tangibile.
Donna con tavolette cerate e stilo (cosiddetta “Saffo”), Maestro di Ercolano, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
L’iperbole è stata un’onda gigantesca pronta a sollevare chi si sente troppo piccolo.
La metafora, un ponte che collega due rive lontane, permettendo di vedere oltre.
L’ossimoro, una scintilla nata dall’incontro di due opposti, un fuoco di ghiaccio che accende la mente.
L’allitterazione, una melodia capace di risvegliare i pensieri assopiti.
La sinestesia, una goccia magica che permette di vedere i suoni e ascoltare i colori.
Non volevo solo fornire definizioni teoriche. Ogni figura retorica veniva spiegata attraverso giochi di parole, esercizi creativi e riferimenti a testi di canzoni, pubblicità e film. Volevo che i ragazzi capissero che le figure retoriche non sono solo strumenti letterari, ma chiavi per interpretare la realtà in modo più ricco e sorprendente.
Codex Manesse (o codice manessiano), Cod. Pal. germ. 848, fol. 292v, Il maestro di scuola di Eßlingen, Zurigo, 1305-1340, Biblioteca dell'Università di Heidelberg
Dalla teoria alla pratica: la nascita della Farmacia delle Parole
Quando finalmente ci siamo sentiti pronti, ho invitato i ragazzi a creare i loro personali ‘farmaci poetici’. Ognuno di loro ha scelto una figura retorica e l’ha trasformata in una cura immaginaria, completa di nome, indicazioni, dosaggi e possibili effetti collaterali. Il risultato è stato straordinario.
Guilelmus de Nottingham legge ai suoi studenti, da un manoscritto del 1350 d.C. del suo “Commento ai Vangeli”
L’iperbole è diventata una terapia d’urto contro l’autostima fragile.
La metafora si è trasformata in un unguento per l’immaginazione ferita.
L’ossimoro è stato confezionato sotto forma di compresse di meraviglia.
L’allitterazione si è fatta sciroppo di suoni.
La sinestesia, infine, si è rivelata un collirio per l’anima e l’immaginazione.
Ogni ‘blister’ era una piccola opera d’arte, decorato con disegni, versi scarabocchiati a mano e dettagli personali. I bugiardini poetici offrivano istruzioni d’uso che mescolavano sogno e realtà, fantasia e vita quotidiana.
Un professore tiene una lezione all'università di Parigi nel tardo XIV secolo
Un atto di ribellione creativa
La primavera inattesa di cui ho scritto all’inizio non è stato altro, quindi, che il risultato di un processo naturale, ma anche straordinario. Il linguaggio poetico, che sembrava inizialmente così lontano e inadatto ai ragazzi di un istituto tecnico, si è rivelato un potente strumento di espressione e cura.
Un gruppo di studenti assiste a una lezione, miniatura di Giovanni Pietro Birago, XV secolo, Biblioteca Trivulziana, Milano
La poesia ha invaso le nostre vite in modo spontaneo, trasformando il grigiore della routine scolastica in un giardino di parole. E forse, tra quelle pillole di poesia, qualcuno ha trovato la propria voce, scoprendo che anche nei circuiti e nei codici può abitare l’incanto delle parole.
Così è nata la Farmacia delle Parole: un luogo immaginario dove la poesia cura le ferite dell’anima e trasforma la realtà in un’avventura da esplorare. Spero che possano sorgerne altre, sparse un po’ ovunque. Sarebbero un potente antidoto alla ferocia, un integratore naturale fatto di pace e speranza.
Fanciullo che legge Cicerone, Vincenzo Foppa, 1464 (affresco proveniente dal Banco Mediceo di Milano), Wallace Collection, Londra