[di Giulia Orombelli]
Ho una castagna matta in tasca, ormai da qualche mese. La trasferisco da un pantalone all’altro, ogni tanto la tiro fuori e la mostro ai bambini. È un loro regalo e a loro piace sapere che l’ho sempre con me. Col passare dei giorni non avvizzisce, come succede alle castagne commestibili, è sempre bella tonda e dura.
La tradizione contadina dice che le castagne d’India proteggono dal raffreddore, basta tenerne una in tasca. C’è del vero, come sempre nelle leggende. Siamo andati a vedere e abbiamo scoperto che i frutti dell’ippocastano contengono l’escina, una sostanza usata in medicina come antinfiammatorio e vasoprotettore. In realtà i frutti dell’ippocastano per noi sono tossici, mi chiedo se i cavalli invece le mangino, ma in fondo non è importante: in questo inverno in cui circola il virus, bisogna difendersi e alla fine vanno benissimo anche i talismani. Secondo la leggenda di un tempo, inoltre, le castagne matte tengono lontano pure il malocchio!
Stare con i bambini permette di lasciare spazio al potere magico di una castagna. I bambini ci credono solo a metà, o meglio, non sono interessati a calcolare quanto di scientifico ci sia, nella leggenda: riescono a tenere insieme il pensiero scientifico e quello magico. Sono capaci di far convivere il possibile e l’impossibile, il mondo reale e quello sperato. Da loro, ogni giorno, imparo di nuovo cosa significa avere fiducia che tutto andrà bene.
A forza di lucidarla con la mano sinistra, la buccia della mia castagna matta è diventata splendente e quando l’abbiamo osservata al microscopio abbiamo visto delle meravigliose striature a onde chiare e scure.
Anche lì c’era un mondo (come in tutto ciò che approda in classe portato dai bambini), forse più d’uno. Il mondo fuori, quello che a piccoli passi stiamo scoprendo proprio a partire dalle cose più piccole, le cose che non si notano, come i porcellini di terra e le larve, e allo stesso tempo il nostro mondo dentro la classe, fatto di pensieri e attenzioni, di ascolto reciproco, di piccoli doni. A scuola diventa tutto più importante: il guscio di una lumaca, l’ala di una coccinella o una foglia diventano occasione di scoperte. A volte diventa anche difficile: all’ennesima foglia di ginkgo biloba ho dovuto dire basta, non era più possibile, sul mio tavolo c’era una montagna di foglie.
Una bustina di foglia.
Dalle foglie alle farfalle .
Sono stati i bambini a salvarmi durante questo autunno, perché i bambini hanno lo straordinario potere di farsi largo negli intrichi del mondo, per far crescere il bello. Amano istintivamente tutto ciò che vive, nasce e cresce: i semi nella terra, il fiore che sboccia, il pesce rosso da accudire, la patata americana che caccia radici e foglie in un barattolo pieno d’acqua. Mi hanno salvata nei giorni scuri in cui ero preoccupata per quello che poteva succedere, mi hanno aiutato a capire che la mascherina e il gel igienizzante, in fondo, erano poca cosa rispetto alla gioia dello stare insieme e del gioco. Io ho solo dato dignità a tutto ciò che mi portavano: un seme, un’ala di farfalla, una domanda, un pensiero di primo mattino.
In classe tutto può risvegliare curiosità e i “reperti” diventano tracce da seguire: da pochi gusci di conchiglie può nascere una piccola poesia collettiva, si può andare alla scoperta dei molluschi, si può creare una piccola cornice per un disegno. Tutta roba che può accadere a scuola, che a casa in genere non avviene – lo dico da madre di tre figli – perché in famiglia è un’altra storia.
Siamo in seconda e il mercoledì facciamo scienze con quello che mi portano i bambini da casa o che trovano in giardino durante l’intervallo. Le chiamiamo le lezioni dei bambini e – chissà perché – sembrano la cosa più naturale del mondo. C’è chi si prepara un po’ a casa e chi invece, guidato dalle domande degli altri e dalle mie, osserva e riflette intorno alle ragioni della natura. Anche a me piacciono le lezioni dei bambini: mi piace ascoltare le loro domande, vedere la serietà con cui si interrogano, ascoltare le loro ipotesi. Mi piace ogni tanto “sparire”, come direbbe la Montessori, e dal mio angolo rendermi conto che stanno imparando a ragionare e a confrontarsi.
Una bella limaccia.
Il giardino bonsai.
Un guscio di chiocciola.
La mattina dei giorni più brutti di novembre, quando il pensiero adulto mi precedeva nello scorgere orizzonti scuri e pessimisti, arrivata a scuola, avveniva la sorpresa. Una volta due bambini, che arrivano sempre presto per il prescuola, si erano nascosti dietro la porta per lanciarmi due manciate di petali di viole (che loro mi hanno assicurato già caduti). Come una sposa. A volte mi dico che non va bene, è un po’ troppo, ma poi, riflettendo, mi accorgo ancora una volta dell’incredibile parabola quinquennale che tocca a noi maestre. È fisiologica e ha in sé compiutezza: dall’amore incondizionato della prima elementare si passa gradualmente alla matura messa in discussione della quinta, quando i ragazzini avanzano richieste ragionate, osano fare critiche all’adulto, a volte in modo forte. Ed è proprio quello il momento di salutarsi, senza rimpianti, con la certezza che quel tempo insieme è finito, quel tratto di cammino è compiuto.
Altre mattine, al mio arrivo, trovavo sul tavolo delle piccole e silenziose composizioni omaggio. Mi sono chiesta tante volte chi altro, oltre a noi maestre e maestri, arriva al suo tavolo di lavoro, nel suo ufficio, e comincia la giornata in questo modo. Impossibile non accondiscendere a un invito così felice, impossibile non sentire la carezza di questi piccoli doni, non avvertire il grande privilegio di vivere tanto tempo con i bambini e non accorgersi che sono loro che ci stanno salvando.
Castagna e fiore: sorpresa mattutina sulla mia scatola di fazzolettini.
Omaggio spontaneo di arte topiaria (muschio, bastoncino, terra e tappo di succo di frutta, altezza 15 cm).
Saluto mattutino trovato alla lavagna.