[di Anna Mazza]
Le cose che passano, di Beatrice Alemagna (Topipittori, 2019).
Il coronavirus ha cambiato le nostre giornate, modificato il nostro modo di percepire il tempo, mutato in modo radicale il nostro stare al mondo e con gli altri.
La preoccupazione come educatrice, appena saputa la chiusura delle scuole, era di veder perdersi i percorsi compiuti fino a quel momento; l'apprensione era per chi sapevamo essere in maggior difficoltà; l'assillo era capire come continuare ad ascoltare e poter essere presente per i bambini e le loro famiglie, sapendo che le relazioni richiedono cura, costanza, tempo, vicinanza, corpi. Il timore era anche quello di farsi prendere dall'ansia e dare risposte di pancia, riempendo la distanza con contenuti fine a se stessi o come puro trattenimento che tradissero i pensieri e gli agiti pedagogici intrapresi fino a quel momento.
Cosa fare? Tenere unito il filo, mi sono detta essere la prima sfida educativa, anzitutto. Come? Era necessario ripartire da noi, dalle nostre relazioni, dai nostri legami. Come potevamo raggiungere tutti? A differenza della scuola (quella pubblica si intende, che pur avrebbe un gran bisogno di essere riprogettata e cambiata), le case che accolgono i nostri bambini sono svariate, le famiglie sono differenti, le possibilità, specie a Milano, sono diverse. Come fare, allora, perché nessuno resti indietro? Come continuare a cercare di essere scuola e provare ad accogliere i bisogni di ogni bambino e bambina, in una situazione così eccezionale? Queste sono le domande che più mi son fatta in queste settimane.
Il libro di Beatrice Alemagna Le cose che passano, edito da Topipittori, è stato una sorta di dichiarazione di intenti: «Tutto, prima o poi, passa, trascorre o cambia, ma c'è una sola cosa che non se ne va e non se ne andrà mai». Attraverso un albo abbiamo voluto esprimere ai nostri bambini e alle loro famiglie il nostro impegno a offrire il nostro meglio, anche ora, anche se lontani. Se di responsabilità educativa abbiamo spesso parlato, questo è il momento di esserci. L'intento è di provarci e continuare, con i mezzi, i supporti e le possibilità ridotte che abbiamo. Per poter proseguire il cammino abbiamo avuto bisogno di alleati, abbiamo chiesto alle mamme e ai papà di stare con noi, di collaborare, tutti. Non è più tempo di delegare ad altri, insegnanti, rappresentanti, nonni. Possiamo provare a continuare a essere noi se ci impegniamo a farlo, se ci crediamo, se ci affidiamo, se ci sosteniamo, se costruiamo insieme una risposta, se troviamo una strada.
Il 25 aprile, Festa della Liberazione, mi sono permessa di scrivere alcune righe agli adulti della mia classe:
«Quanto sta accadendo ha messo in luce innanzitutto quello che siamo con le nostre criticità e i nostri punti di forza, come singoli, famiglie, comunità, Paese. Come ha scritto Franco Lorenzoni: “La scuola ha il dovere di essere migliore della società che ha attorno, altrimenti cosa ci sta a fare?”. Vi è l'urgenza di prestare ascolto a quanti ora sono in difficoltà, non possiamo permetterci di lasciare nessuno indietro, e lo sforzo, il compito deve essere di tutti noi adulti, genitori ed educatrici. Dovremo dare parola e farci carico di chi vive in modo più critico questo momento, accompagnando e rispettando i tempi di ognuno, facendo noi per primi riferimento alla Costituzione stessa e ai diritti e ai doveri a cui siamo chiamati e che devono riguardare tutti».
La risposta a questi inviti è stata sorprendente. Il filo, seppur sfilacciato, non si è rotto. Si è ripreso a camminare, su un nuovo sentiero, difficile. Abbiamo i nostri appuntamenti di classe e di piccoli gruppi per età: virtuali purtroppo, ma che ci permettono di vederci, di provare a continuare a giocare il gioco. Abbiamo i nostri appuntamenti immaginari durante la giornata, con dei cinquenni che raccontano, inventano, registrano audio di storie della buonanotte per i compagni, per sentirsi più vicini e magari la notte sognarsi al parco o a scuola, insieme. Sono occasioni per stare insieme, per fare insieme, per imparare esplorando in modo nuovo la casa, reinventando materiali e strumenti, leggendo storie e raccontando fiabe, sono momenti in cui fare merenda insieme, raccontare di noi, dei nostri desideri, delle nostre paure. Sono situazioni in cui potersi ritrovare, coi bambini più grandi addirittura solo noi, con i genitori nella stanza di fianco, quasi come a scuola.
C'è molto da fare ancora: è un lavoro sperimentale, una ricerca quotidiana, paziente, a volte frustrante perché si vorrebbe di più, perché si vorrebbe maggior sostegno da chi ha posizioni di responsabilità, perché ci manca il contatto, la socialità, perché vorremmo andare casa per casa da chi è più irraggiungibile e prendere per mano chi ha più bisogno. Molti genitori hanno scelto e io gli sono profondamente grata: stanno sostenendoci, si confrontano, si affidano, tengono in mano l'altro capo del filo. Questa storia la stiamo affrontando insieme. Stiamo provando a scriverla insieme. La storia che stiamo vivendo siamo noi, con i nostri passi e le nostre scelte. Non basta. Vi è l'urgenza di occuparsi realmente dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze, della scuola, di tutti gli ordini, compresi i servizi educativi 0/6. La situazione già difficilissima prima del Covid, ora è drammatica. L'indagine redatta e pubblicata in questi giorni da Save the Children che accompagna il lancio della campagna Riscriviamo il futuro, riguardante lo stato dei bambini e dei ragazzi e il livello di povertà educativa nel nostro Paese, è allarmante.
Per troppo tempo siamo stati soli - educatrici, bambini e genitori - e lo dico da madre e da educatrice. Per troppo tempo non si è parlato di infanzia e di scuola. Ancora oggi si parla di riaperture estive non considerando tanto il reale bisogno dei bambini, quanto quello degli adulti, confondendo - specie per i servizi educativi destinati ai più piccoli - il ruolo educativo con quello assistenziale. La scuola dovrà riaprire, certo, è fondamentale e urgente, ma dovremo essere pronti a quel momento. Occorrerà tenere conto di quanto e di chi si dovrà ritrovare, avere a che fare coi danni che questa epoca ha ulteriormente prodotto, considerare i bisogni e le risorse. Occorrerà tenere conto di quanto questo tempo ci ha mostrato, delle fragilità e dei punti di forza. Occorrerà considerare quanto sarà necessario cambiare.
Se si ha a cuore la scuola, se si ha rispetto della nostra Costituzione, allora tutti gli adulti, tutte le educatrici e gli insegnanti, non solo una parte, tutti i genitori, non solo una parte, tutti i responsabili, i politici, i cittadini debbono chiedere che ci si preoccupi della scuola. È nostro diritto, è nostro dovere nei confronti dei nostri figli, dei nostri bambini e ragazzi e ragazze. E bisogna farlo ora e cercare risposte di qualità, investire risorse, dialogare, progettare, discutere, aver cura di quello che sarà. Per farlo occorrerà uscire dagli uffici dei Palazzi e dare parola anche a chi la scuola la abita, a chi ha provato a continuare a farla, adulti e bambini, insegnanti e genitori. Federica Lucchesini del Movimento di Cooperazione Educativa, in occasione de La scuola sconfinata, ha lanciato la proposta di una stagione costituente per la scuola: un periodo in cui prendersi del tempo per ragionare sulla scuola e della scuola, per poterla cambiare in meglio. È necessario che la scuola torni a essere priorità per tutta la comunità, territorio, paese, città, Stato, e per farlo occorre anzitutto crederci.
Siamo tutti responsabili per ciò che accadrà. Don Milani diceva «I care, mi interessa». Abbiamo l’occasione di scrivere una nuova storia: non torniamo alla normalità, non sprechiamo questa possibilità.