Ruzzeriana

[di Michele Longo]

È che io ho una cosa per Sergio Ruzzier da quando mio fratello, che a quanto pare mi conosce, mi ha regalato, tantissimo tempo fa, Un cane insonne e altri animali (Nuages, ancora in catalogo), e poi ho incontrato Stupido Libro, Una lettera per Leo, i due Chick+Fox  (tutti pubblicati dai Topi) e io, insomma, pensare che dentro cioè fuori da Sergio Ruzzier possono venire i quadri di infinita dettagliata delirante tristezza del cane insonne e anche la tenerezza esplosiva del volpacchiotto e dell'uccellino, l’amorosa malinconia di Leo, la scialuppa di salvataggio per bambini persi nelle difficoltà di imparare a leggere di Stupido libro, pensare questo mi lascia senza parole, come si vede, ecco.

Qualche giorno fa ho lavorato per la prima volta con Alex, un bambino di un’altra classe, una seconda. Ci incontreremo ogni due settimane per un’ora di italiano L2, cioè, fuor di gergo, la lingua nuova, quella che si va imparando per i casi di migrazione della famiglia. Sono passato nella mia classe e mi sono inginocchiato di fronte alla bibliotechina per scegliere un libro, il libro giusto per cominciare. Ho tentennato un po’ tra Il Raffreddore di Amos Perbacco di Philip e Erin Stead, edito da Babalibri, e Una lettera per Leo di Sergio Ruzzier, dei Topipittori. Ho fatto cenno agli incaricati che mi mettessero giù, in uno spazio libero qualsiasi, il lettino da psicanalisi per dirimere il dilemma “se e quanto sia disdicevole scegliere il libro di Ruzzier solo perché ne ho tantissima voglia”.

Una lettera per Leo, di Sergio Ruzzier (Topipittori, 2015).

Ci mettiamo, io e Alex, nell’unico posto libero, che per disgrazia è l’aula docenti, quella con le macchinette del caffè brutto e delle bibite. Poi, neanche ci faremo caso, agli scocciatori. Lui fa intendere subito di essere uno sveglio, cha ha voglia di imparare, ha il senso dell’umorismo, e non vuole passar per scemo per il fatto di non sapere ancora bene la lingua. Legge il titolo in copertina, dopo aver osservato un po’ l’immagine. Apre, scorre il risguardo e la prima pagina di un blu forse acciaio forse fiordaliso, gira, e le nostre due paia di occhi sono subito attratte dal tondo disegnato con l’uccellino cianotico (è o non è lo stesso blu dei risguardi?) mezzo annegato tra le buste. Alex legge: “UNA LETTERA PER LEO” e “Sergio Ruzzier”. Poi si apre una pagina doppia con molto cielo azzurro e rosa, montagne petrose di forma bizzarra sullo sfondo, una pieve con un minareto, una casa di campagna a più corpi di fabbrica e un campetto da calcio con le porte ma senza reti, un cespuglio fanta-botanico, un castello merlato su una rocca, e in primo piano un gran prato con una casetta un po’ western che è l’ufficio postale, come dice il cartello in inglese sulla porta, un foglio scritto a mano, e davanti il protagonista, il postino Leo, una lontra – credo - col cappello blu della divisa e la borsa di ordinanza, che sorride verso di noi. Ai suoi piedi una cassettona rossa piena di buste affrancate. Da me passano in rapida e disordinata processione Mantegna e i pittori veneti del quattro-cinquecento compreso Gentile Bellini per il minareto, i miniaturisti medievali e Dürer e Bosch e Walt Disney, e Masaccio per il rosa con altra gente fiorentina che non so, ma è tutto Ruzzier-e-basta e starei mezz’ora solo a guardare le sfumature di verde del prato; cosa passi da Jamie non so, ma dentro il quadro ci stiamo tutti e due, molto bene.

Con calma Alex legge la dedica “A Daniela, Alberto, e Cristian” e la prima frase. “Leo è il postino di un piccolo paese.” Andiamo avanti fino alla fine. Cerco di capire se riesce a seguire la storia, senza stargli addosso con troppe spiegazioni. Alex legge per me, io spiego qualche parola per lui, e i disegni si offrono dalle pagine per tutti e due, brulicanti di stranezze, scherzi e meraviglie, e bagnati di colori bellissimi.

Ce la prendiamo con calma, con agio. Alex capisce senza troppa fatica la storia di Leo il postino e dell’uccellino Cip. Cip è piccolissimo, ha perso il suo stormo e si è rifugiato nella buca della posta.  Leo lo accoglie in casa, stanno insieme per tutto l’inverno, e a primavera Cip riparte. Una storia con momenti di allegria, di buffo, di tristezza, di tenerezza. “Leo e Cip sono ormai una famigliola” legge Alex. Si ferma un momento, poi dice: “No, sono amici” “Sono amici che si vogliono molto bene” “Sì”.

Uscendo dal portone verso il vasto mondo con la caduca leggerezza del venerdì, mi tolgo la soddisfazione di convocare il super-io professionale, l’Interlocutore Generalizzato, e tutto il capannello di poco fa, quando ero inginocchiato davanti alla bibliotechina: “Era o non era il libro giusto, Ruzzier, cari signori?”. Bofonchiano, fanno spallucce, come a insinuare che io me la suoni e me la canti. Proprio loro. Allora lo dico e basta: era il libro giusto. E se proprio serve ancora una spiegazione, questa. Cosa serviva ad Alex, e a me, per cominciare? Una storia semplice ma non banale, e delle immagini da perder la testa.

Coda. Un cane insonne è un libro che mi sarebbe piaciuto tantissimo da piccolo, ma che non ho mai pensato di portare a scuola, né di regalare a un bambino. Forse è un libro che vorrei far trovare per caso a un bambino che fruga nei miei scaffali. O forse abbiamo tutti un angolo cieco di bacchettonaggine, quando si tratta di consentire ai bambini l’accesso a un mondo di immagini che non ci ricordano nessun modello rassicurante di illustrazioni per l’infanzia.