Per dare voce ai bambini

[di Monica Bisi*]

Un alunno felice è un alunno che trova un senso in ciò che fa a scuola

Jacques Lévine1

Ci sono, a parer mio, pochi libri rivolti ai bambini, che parlano davvero la loro lingua. Il più delle volte i “grandi” scrivono per i “piccoli” con un’idea di infanzia che è forse lontana dalla realtà, spesso con finalità moralistiche e pedagogiche di cui si potrebbe discutere la validità.

Ma i bambini hanno fiuto e sanno riconoscere subito, a colpo d’occhio e orecchio, oltre che col naso, i libri che invece sono proprio creati per loro. Libri alla loro “altezza” e sottolineo “altezza”. Si tratta di quei libri le cui pagine vibrano come le ali di una farfalla; sono leggeri, delicati, vivaci e giocosi, al punto che, sfogliandoli, ci si trova a sorridere anche senza saper ben perché. E non hanno la pretesa di insegnare nulla, ma di fatto hanno il grande pregio di far “sognare”, “fantasticare” e osservare il mondo da un altro punto di vista.

Come insegnante di scuola primaria sono perennemente a caccia di questi libri, perché amo presentarli ai bambini e con loro animarli.

Ecco spiegato il mio amore a prima vista per il libro Guarda sotto il letto se c’è della poesia di Ruth Krauss e Sergio Ruzzier, edito da Topipittori.

Il titolo è già di per sé superlativo. “Guardare sotto il letto” ci fa mettere da subito a testa in giù. E per far cosa? Per cercare poesia. Io credo che sia davvero un’abilità dei poeti, guardare il mondo da un’altra prospettiva, avvicinandosi con uno sguardo nuovo anche agli oggetti della vita quotidiana.

Il libro non smentisce le sue promesse. Di pagina in pagina, vi sono azioni esilaranti, divertenti, leggere, ma di contenuto profondo. Quelle piccole azioni trasmettono passione e cura per la natura: “Apri le braccia come un pino”; per chi abbiamo accanto: “Grida buongiorno, mondo ciccione”, “Cancella tutte le cose brutte”; e per noi stessi, con gioia esplosiva: “Siedi al sole e splendi”; e ironia: “Ignora te stesso e fatti venire i nervi”. E, in tutto questo, quanta meravigliosa e poetica follia: “Canta come il gallo, finché non svegli il sole”. Si tratta, come si capisce anche dalle illustrazioni, di un libro senza una trama, ma che accompagna il lettore a immaginare situazioni surreali, buffe, eccentriche che hanno in sé una seducente tensione filosofica.

Ho proposto la lettura del libro in classe. Eravamo in piedi, in cerchio, e prima di iniziare ho anticipato che questo libro non si sarebbe potuto leggere solo con occhi, bocca, orecchie, ma sarebbero occorsi piedi, mani, gambe, tutto il corpo.

Di pagina in pagina lo abbiamo animato, ridendo moltissimo. Persino i risvolti di copertina si prestano all’interpretazione. Ci sono tanti insettini, di varia dimensione e formato, ognuno con il suo Roar di altrettante fisicità diverse; voci, vocine e vocione, da recitare in coro o con assoli.

Giunti alla fine del libro, eravamo tutti dispiaciuti. I bambini chiedevano: Ancora, ancora!

Allora mi è venuta un’idea.

Perché non proseguire la storia, come insegna Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia?

Oltretutto, la nostra classe è gemellata con una sezione di una Scuola nel Bosco di un paese vicino, perciò avremmo potuto raccogliere le nostre idee e farne dono ai nostri amici. Sicuramente li avremmo fatti divertire.

L’attività successiva è stata pertanto un brainstorming, con il quale ciascuno ha potuto condividere nuove azioni da mettere in gioco.

Ecco alcune delle idee dei bambini. 

Che aspetti?

Prova a entrare nella borsa di tua mamma

O nella tasca di un canguro

Gira come una trottola

Diventa una matita

Fai un aereoplano con le dita

Gonfiati come un palloncino

Esplodi come una bolla di sapone

Copia il silenzio di un bosco

Squilla come un telefono

Leggi un bambino

e il cuore di un calorifero

Ruggisci come un salame

Mangia un lupo

Dondola come una scimmietta

Sali in cima ad un palazzo

Diventa un razzo

Fai un coniglio pazzo

Vai sotto la cattedra della maestra

Dormi

Su una nuvola

E sali sulla luna

Il passo successivo è stato creare le illustrazioni di ogni azione scelta, lavorando a piccoli gruppi e individualmente.

Il lavoro verrà a breve recapitato ai nostri amici: i Bambini del Bosco Poeti (così li abbiamo nominati perché il nostro gemellaggio ha come tematica proprio la poesia). E chissà che anche loro non facciano altrettanto, elaborando nuove idee.

Questo tipo di attività è, a parer mio, di semplice realizzazione, ma penso sarà interessante riflettere su ciò che sottende a livello pedagogico-educativo, affinché si consideri la coerenza tra incipit e obiettivi formativi.

Innanzitutto, qual è il senso di “Animare le storie”

Sostiene Laura Formenti, nel suo contributo al testo Esperienza e didattica a cura di Elisabetta Nigris, “Come avviene l’animazione delle storie? Animare, che letteralmente significa metterci l’anima, appartiene allo stesso territorio esperienziale del dare voce. Psiche, anima, voce, respiro: sono parole collegate nella loro origine etimologica e culturale. Le parole separate dal corpo e dall’esperienza perdono il loro valore apprenditivo e conoscitivo, finché qualcuno non ricerca le connessioni perdute, o ne crea di nuove. Le storie sono vissute, prima che raccontate, ed è viverne l’esperienza, anche simbolicamente, che le rende efficaci. (…)

Abbinare disegno e scrittura, scrittura e azione scenica, ma anche rilassamento, meditazione e memoria, o musica, danza e poesia, con la conoscenza di sé sono modi per ricreare l’unità dell’esperienza espressiva umana e dell’esperienza tout court. Il primo livello di descrizione dell’esperienza (…) è sempre metaforico e immaginativo. Il corpo ci parla, ci restituisce una dimensione di conoscenza preziosa che troppo frettolosamente la scuola elimina.

Animare le storie significa restituire dignità di sapere ad aspetti della conoscenza di sé che nella vita tornano utili e dei quali non c’è sufficiente consapevolezza: la capacità di ascoltare, la capacità di stare nel conflitto e nelle emozioni dolorose, l’intuito, la creatività, l’umorismo, il gioco. Sono forme di sapere oltre che espressioni altissime dell’intelligenza umana
” 2.

Ecco, dunque, un primo livello di analisi dell’esperienza. Animare le storie come strumento che aiuti a sviluppare la capacità di ascoltare, di stare nel conflitto, di essere consapevoli delle proprie emozioni, anche dolorose, che stimoli alla creatività, all’umorismo e che valorizzi il gioco quale medium d’apprendimento. E dunque il riappropriarsi del corpo, riconoscendone l’irrinunciabile valenza espressiva.

Vi è un secondo livello di analisi che riguarda invece la domanda rivolta ai bambini di proseguire la storia.

Presupposto di questa proposta è riconoscere ai bambini stessi la capacità di “dire”. Far sì che si sprigioni liberamente la loro capacità creativa partendo da una narrazione che, di fatto, li legittima a osare, a parlare realmente la loro lingua. Le parole dei bambini sono prive di schemi e filtri, sono immediate, concrete, tangibili, ironiche, burlone, a tratti irriverenti e folli. Le definirei poetiche.

Dar voce ai bambini significa attribuire importanza alle loro parole, riconoscere il valore delle loro conoscenze e competenze (anche pregresse) e soprattutto dar loro ascolto.

Vorrei a tal proposito citare un passo tratto dal testo di De Vecchi Aiutare a costruire le conoscenze.

«Permettere agli studenti di riuscire oggi è un presupposto al successo di domani. Ciò passa attraverso la costruzione di un’immagine positiva di loro stessi. Per l’insegnante, si tratta di suscitare l’entusiasmo degli alunni invece di mostrare loro, o addirittura mettere in mostra, la propria competenza. Allo stesso modo, è importante “far vibrare il presente” invece di “brandire la minaccia del futuro».

Questo presuppone che gli alunni si concedano il diritto di fare e di riuscire. Tutti sono in grado di realizzare qualcosa. Tutti possono riuscire in determinate attività, raccogliere certe sfide … persino gli alunni in difficoltà. Bisognerà cominciare ascoltando quelli che riescono poco o che hanno difficoltà a scuola, per poi trovare loro delle attività, dei momenti nei quali possano “mettere in atto alcune delle loro potenzialità”, come afferma Hélène Fabre. E ci si accorge che, «partendo da ciò che un ragazzo in difficoltà sa fare, si può aiutarlo a superare certi suoi blocchi e realizzare quello che non si sentiva in grado di fare. (…)

In generale, quello che importa al bambino è dunque il desiderio di apprendere qualcosa che lo interessa, attraverso una pedagogia del successo».3

E ancora, cito dal testo Esperienza e didattica a cura di Elisabetta Nigris: «I bambini amano raccontare l’esperienza, se trovano il giusto contesto in cui farlo. Raccontando e raccontandosi esprimono in modo molto diretto il loro bisogno di essere ascoltati e ancor più di essere visti, intendendo con questa metafora la capacità e il compito cruciale dell’adulto di riconoscere e legittimare il bambino nella sua dignità di persona, oltre che nel suo modo di essere e di sentire».4

Un ultimo elemento di analisi.

Ogni esperienza va contestualizzata in un percorso, in un progetto. Per motivare gli studenti occorre far sì che vedano nelle attività didattiche uno scopo; nel nostro caso l’obiettivo di fare un dono ai nostri amici più piccoli, ha la valenza di dare molto senso ad un’attività di per sé già significativa.

Sotto il letto c’è molta poesia.

Poesia è una voce allegra

che fa le capriole

e come l’acqua e il vento fa cantare le parole.

Poesia è un orecchio attento

che ascolta e che cattura,

è un seme nato dentro che riempie chi lo cura.

Poesia è parole matte

per ridere e pensare,

ci giochi, le assapori e poi le fai volare.

Poesia ha parole matte

che dicono in profondo

la storia a molti sensi

di come è fatto il mondo.

Chiara Carminati (da Poesie per aria, Topipittori 20008)

 

[1] Aiutare a costruire le conoscenze, di Gerard de Vecchi, Nicole Carmona-Magnaldi, ed. La Nuova Italia, 2006, p. 15

[2] Esperienza e didattica, a cura di Elisabetta Nigris, Silvia Cristina Negri, Franca Zuccoli, ed. Carocci, 2007, p. 315

[3] Ibid., p. 37

[4] Esperienza e didattica, a cura di Elisabetta Nigris, Silvia Cristina Negri, Franca Zuccoli, ed. Carocci, 2007, p. 304

 

 

*Monica Bisi è insegnante di Scuola Primaria, appassionata di creatività e poesia. Nella sua pratica quotidiana cerca di offrire ai bambini occasioni d’espressione e di gioco, al fine di facilitare il loro apprendimento e la loro crescita personale. È convinta che la scuola debba essere luogo di ascolto e condivisione di bellezza. A tal fine, conduce laboratori in cui coniuga la poesia ad altri linguaggi artistici, tra cui la danza e il teatro. È formatrice di adulti nell’ambito del volontariato, tutor scolastica di studenti della facoltà di Formazione primaria, e nel 2021 ha pubblicato il suo primo libro di filastrocche dal titolo Chivuoicheiosia.