Si sente dire, a volte, che scuola e lettura siano incociliabili. Lo dicono coloro per cui la scuola è avviamento alla vita professionale, e dunque deve preparare a questo, concentrandosi su materie 'tecniche', sempre più specifiche, vicine alle diverse professioni. Ma lo dicono anche coloro che sostengono che la lettura debba rimanere un piacere puro, personale e autonomo, per sprigionare tutta la propria potenzialità, il proprio fascino, e che perciò l'effetto della scuola sia guastare la bellezza della scoperta dei libri. Poi ci sono coloro che i libri li portano a scuola perché li amano, perché sanno leggerli agli altri e soprattutto perché ritengono siano indispensabili alla vita, anche professionale, ma non solo. Persone che sanno bene che in molte esperienze di bambini e ragazzi i libri non entrerebbero mai, se non ci fosse la scuola a promuovere il loro incontro. Una di queste persone è Giulia Valsecchi che qui racconta come in una classe delle medie ha portato Kafka.
[di Giulia Valsecchi*]
«Le storie fantastiche mi lasciano sempre messaggi reali, della vita quotidiana e lo fanno, inspiegabilmente, con qualcosa di irreale e straordinario.» [G.M.]
Il cavaliere del secchio di Franz Kafka, tradotto da Anita Raja e illustrato da Anais Tonelli (Topipittori, 2021).
Quest’anno, con la mia classe terza dell’Istituto G. Leopardi di Calco, abbiamo letto e lavorato su Il cavaliere del secchio, racconto breve di Franz Kafka, illustrato da Anais Tonelli e tradotto da Anita Raja, un picture book edito da Topipittori.
L’occasione per utilizzarlo si è presentata mentre stavo svolgendo un’unità d’apprendimento sul racconto fantastico. In quel periodo, mi sono trovata a leggere un articolo di presentazione del libro sul blog di Topittori e mi sono sentita “chiamata in causa” dalle parole di Giovanna Zoboli. La passione con cui descriveva il racconto… caspita! Poi ho pensato che nel testo vi fosse ancora di più, un invito a “scendere in campo in prima persona”. Così mi sono procurata il libro e ho iniziato a studiarlo. Una delle cose che mi hanno più colpita è stata la singolare risonanza tra ciò che diceva l’editrice e le riflessioni dei miei ragazzi sul racconto surreale. Noi avevano da poco scoperto la magia di Kafka (alcuni estratti da La Metamorfosi), di Buzzati (La giacca stregata e Il colombre) e di Jumanji (picture book di Chris Van Allsburg) - e le impressioni dei miei alunni rispetto al genere sembravano proprio riflettere il gusto per una lingua che “ipnotizza e terrorizza” (come dicono bene le parole di Giovanna: «Kafka parlava una lingua del tutto straordinaria, in cui il terrore puro si mescolava a uno splendore ipnotico»).
Le parole dei miei alunni erano piene di fascino per quel mondo strano e straordinario:
«I racconti surreali, assurdi, paradossali come La Metamorfosi mi piacciono molto, perché quando li leggo mi immergo in una dimensione straordinaria, fuori dalla normalità, mi calo in qualcosa di assurdo e incontenibile. […] Quando mi immergo nella lettura di questi libri dimentico chi sono. Secondo me, il bello di questi racconti è far dimenticare al lettore la propria realtà e farlo calare in qualcosa di inimmaginabile, concreto e assurdo, quasi reale, magico e impossibile. Le cose strane e surreali sono quelle che attirano più la mia attenzione e la mia curiosità e mi spronano a proseguire la lettura ad ogni costo. Le storie fantastiche mi lasciano sempre messaggi reali, della vita quotidiana e lo fanno, inspiegabilmente, con qualcosa di irreale e straordinario.» (G.M.)
«Mi appassionano molto i racconti surreali, assurdi, paradossali come questo che ho appena letto. Questo genere mi piace per la sua narrazione, che va oltre la realtà e sembra di trovarsi in un sogno, visto che ciò che accade è così inaspettato, irreale e assurdo, ma allo stesso tempo originale e stravagante. Per me leggere questi racconti è un modo per fuggire dalla realtà, per vivere in un mondo diverso dal nostro, a volte addirittura in luoghi fantastici o inventati, dove anche le cose impossibili possono diventare credibili. Mi piacciono anche perché la situazione raccontata inizialmente sembra normale e abituale, ma poi quando il protagonista si trova improvvisamente in un mondo strano e misterioso, l’atmosfera che si crea leggendo, è inquietante e sconvolgente. A questo punto la mia fantasia inizia a volare per cercare di dare una spiegazione logica a tutto ciò che accade. Quando leggo questo genere di racconto mi trovo subito immersa nella vicenda narrata, non ho il tempo di prendere fiato, i fatti si susseguono uno dopo l’altro e anche il finale è sempre imprevedibile e sorprendente.» (S.C.)
Mi ero resa conto che con la classe, durante i momenti di lettura e di ricerca dei possibili significati del testo, era venuta a crearsi una sorta di zona franca che li aveva definitivamente conquistati. Il racconto surreale stava funzionando, perché non proporre allora Il cavaliere del secchio come lavoro conclusivo?
Dai risguardi de Il cavaliere del secchio (Topipittori, 2021).
«La cosa che però mi piace molto di questa tipologia di racconti è che quando ci appassioniamo ad una storia creiamo un vero e proprio universo immaginario dove viviamo la nostra vita come se fossimo personaggi del racconto che stiamo leggendo o guardando e secondo me è una sensazione bellissima perché è un luogo in cui rifugiarci quando in questo mondo non ci sentiamo bene: lì tutto va come desideriamo, la realtà è diversa, ma come piace a noi, è una sorta di casa, un fortino, immaginario sì, ma dalle pareti forti e solide.» (R.C.)
L’idea di trasmettere un contenuto così forte e alto, come quello proposto dagli editori era davvero interessante. Dalle parole di Giovanna Zoboli: «In questa narrazione, resa in italiano dal bel lavoro di traduzione di Anita Raja, vi è una quota consistente di infanzia. Un riscatto attraverso la trasfigurazione che possono operare la vita e la parola come solo in certe fiabe o in certe esperienze estreme di sofferenza, accade: mi viene in mente Etty Hillesum, e il suo “cuore pensante”, il suo “pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato”. Qualcosa che per il nostro punto di vista è persino oltraggioso: la materialità dell’esistenza non dà scampo e ci induce a “chiamare le cose con il loro nome”, come se il loro nome fosse solo la miseria. Miseria che uccide. Ma è qui che Kafka si alza a una altezza vertiginosa e ci chiede, dal basso dove ci troviamo, di guardarlo. Di alzare lo sguardo verso il cavaliere del secchio. Che vola in virtù del suo destino che è la condanna di un secchio vuoto.»
Questo aspetto dell’arte che ci eleva al di sopra della miseria materiale e morale mi è sembrato un pensiero importantissimo da trasmettere ai miei ragazzi: non è forse questo uno dei motivi per cui si trasmette una cultura? O per cui si va a scuola? O non sono forse i ragazzi i nostri inconsapevoli cavalieri del secchio, con il desiderio che hanno di essere ascoltati e capiti, ma anche con la loro capacità di elevarsi al di sopra delle bruttezze a cavallo di un improbabile secchio o di una fantasmagorica scopa?
Il cavaliere del secchio visto da Anais Tonelli (Il cavaliere del secchio, Topipittori, 2021).
Anche la particolare conformazione dell’opera (il libro è stato organizzato in modo tale che dopo il testo seguano una serie di appunti visivi suddivisi in capitoli, come una partitura teatrale) mi è piaciuta. Si tratta di immagini che descrivono, evocano il testo lasciando spazio all’interpretazione e forse anche al mistero. Tutto ciò mi ha fatto pensare che, forse, l’invito sottointeso fosse proprio quello di metterci mano, per darne la propria interpretazione, una propria lettura.
Insomma, dopo queste premesse, ho imbastito un’attività e siamo partiti, andando dietro ai suggerimenti che ci erano stati proposti. Il primo scoglio è stato dato dal testo: un testo difficile e, per questo, lontano dai miei alunni che generalmente non sono abituati a una prosa così complessa; la lettura delle immagini però è stata molto utile nel lavoro di comprensione. Queste, d’altra parte, fanno parte del loro mondo e, se mostrate e spiegate, riescono forse a colpire meglio e nel profondo la loro immaginazione:
«Il libro mi è sembrato un po’ complicato e difficile da capire, ho dovuto rileggere più volte, ma con l’aiuto delle immagini, che hanno aiutato molto, ho capito di più.» (G.H.)
«La storia del Cavaliere del secchio mi è sembrata talmente strana da trovarla affascinante, al primo impatto gli elementi erano scollegati tra loro, ma dopo un’analisi attenta del testo sono riuscito a capirlo e a trovarlo ancora più bello. Le immagini secondo me sono fatte bene e riescono a suscitare emozioni forti.» (T.C.)
Le figure del carbonaio, della moglie e del cavaliere sono state indagate nel loro presentarsi dal punto di vista linguistico e attraverso gli studi della Tonelli. L’interpretazione dell’immagine del carbonaio abbracciato dal lupo, per esempio, ha reso chiarissima la crudeltà della moglie, la quale contribuisce a creare intorno all’uomo un vuoto esistenziale e morale. O ancora il paper cut della moglie del carbonaio illustra benissimo la violenza e la durezza della donna. Il cavaliere del secchio, dal canto suo, tratteggiato con un pastello morbido e leggero e avviluppato dentro un intrico di rami, mostra bene la sua evanescenza, la sua fatica ad inserirsi in un modo reale e crudele che non ha posto per le miserie altrui.
La moglie del carbonaio vista da Anais Tonelli (Il cavaliere del secchio, Topipittori, 2021).
Una cosa che li ha colpiti tantissimo è stata la scelta di Anais Tonelli di usare il blu come colore predominante:
«Secondo me è utilizzato principalmente il colore blu perché trasmette una sensazione di freddo, di tristezza e solitudine che il cavaliere è costretto a subire. L’aspetto generale del testo mi sembra “ovattato” cioè non si sente altro rumore se non quello del cavaliere, non si vede anima viva per le strade, è come se in quel villaggio fantasma esistessero solo queste tre persone.» (M.G.)
«Questo racconto ha un’atmosfera fredda, che è resa dal colore blu pastello utilizzato nel colorare le illustrazioni dell’albo. Il blu ha un valore efficace poiché è un colore freddo che sottolinea la drammaticità del gelo, sia fisico sia spirituale. Con questa tonalità inoltre, viene creata la dimensione del meraviglioso.» (G.M.)
Attraverso il lavoro di comprensione del testo, anche l’invito a guardare in alto è uscito fuor di metafora per entrare nel loro mondo:
«Secondo me questa frase ha due significati, il primo utilizzato dal cavaliere esplicitamente per chiamare il carbonaio e chiedergli del carbone per scaldarsi. Lo dice in questo modo perché fa capire che la bottega è nel piano terra e il carbonaio e la moglie vivono in quello in basso, nello scantinato. Il secondo è usato metaforicamente dall’autore (cioè il cavaliere) perché vuole far capire che se alziamo gli occhi al cielo lo vedremo. Ai bambini si dice che un nonno o una persona cara, se morta, sia in cielo e quindi di guardare verso quella direzione per riuscire a vedere la persona defunta. Quindi deduco che il cavaliere, dopo l’accaduto, sarebbe morto di freddo per colpa della moglie del carbonaio. È triste vedere persone avare e senza cuore come la moglie del carbonaio che di fronte ad una persona più sfortunata e bisognosa di aiuto reagisce con indifferenza.» (M.S.)
La resa per immagini dell’icastica conclusione di Kafka, infine, li ha colpiti moltissimo. Il fatto che dalla laconica frase «E poi me ne salgo nelle regioni dei monti ghiacciati e mi perdo per sempre» scaturisse quell’abbondanza di creature fantastiche e allegoriche è stata letta in questo modo:
«Le figure fantastiche vogliono dirci che solamente chi sperimenta il vero freddo è in grado di entrare in contatto con un modo fantastico e irreale. Il freddo sia quello fisico, provato dal protagonista, sia quello interiore e morale provato dal carbonaio, causato dalla scorbutica moglie.» (G.M.)
«E poi me ne salgo nelle regioni dei monti ghiacciati e mi perdo per sempre», illustrazione di Anais Tonelli (Il cavaliere del secchio, Topipittori, 2021).
Dopo aver effettuato questo lavoro di avvicinamento al testo, è stata la volta di far diventare il racconto di Kafka davvero loro, proponendo la realizzazione di una pièce teatrale. Innanzitutto, abbiamo ripreso testo e immagini e le abbiamo guardate da un altro punto di vista, a cominciare dal disegno del teatrino con il bambino che muove la figurina della moglie del carbonaio. Chi era e perché si trovava lì? È stato bello vederli riconoscere lo scarafaggio nei lavori della Tonelli e ricondurre l’autore al bambino che probabilmente aveva patito il Freddo nella sua infanzia. Capire le intenzioni degli autori del libro poi è stata una scoperta immediata per tutti:
«[…] con questa strana strutturazione delle immagini gli autori dell’albo illustrato hanno voluto invitarci ad approfondire questo racconto, inscenando un teatro, una lettura…»
In seguito, abbiamo cominciato a ragionare sui capitoli:
«Le immagini osservate, in realtà sono più che altro degli schizzi che in arte sono definiti “studi”. Secondo me gli autori con questa strutturazione vogliono sicuramente comunicare qualcosa, perché guardando le immagini sembra che ti invitino a rifare ciò che è rappresentato.» (G.G.)
A questo punto, in classe ho dato come consegna la realizzazione di un testo descrittivo su uno dei capitoli illustrati del picture book. A loro stava la scelta di raccontare un’immagine particolare, di realizzare un mix tra più immagini o addirittura di ricrearne, a partire dalle suggestioni proposte. La scelta di questa particolare tipologia testuale mi è sembrata particolarmente convincente, perché tra tutte quelle affrontate li metteva maggiormente a loro agio, infatti, il lavoro sul testo descrittivo (che si portano dalle elementari) viene ripreso in prima media e durante tutto il corso del ciclo della Secondaria di Primo Grado. Una volta ritirati e corretti i brani siamo stati pronti per la messa in scena. Tutti i ragazzi hanno realizzato un video con la lettura recitata del loro brano, corredata da musiche scelte o eseguite da loro (purché fossero libere da copyright) e dall’immagine della Tonelli che avevano scelto.
Così abbiamo messo in pratica l’invito che Topipittori ci aveva fatto, regalandoci questo libro: è stato un lavoro bellissimo, anche se devo dire che questa ultima fase li ha messi duramente alla prova, nonostante la realizzazione di altri video durante la prima fase dell’anno (dai booktalk alla lettura espressiva di poesie).
Le indicazioni sono state semplici: leggere scandendo le parole e andando piano, soprattutto pensando che stavano veicolando un messaggio di senso, qualcosa di importante di sé, del lavoro che avevano fatto e che quindi l’espressività della voce, doveva adattarsi alle queste esigenze. Il fatto che alcuni dei loro stessero frequentando un corso di teatro ha aiutato molto.
«Quando ho iniziato a creare il mio file audio è stato abbastanza complicato per i rumori esterni, o semplicemente quando sbagliavo a parlare o leggere. Però quando ho finito, il lavoro mi è piaciuto molto, mi è piaciuta la tecnica che ho usato.» (S.C.)
«Crearlo non è stato facile. Più volte ho dovuto rileggere il testo perché non avevo la corretta intonazione. I problemi, mentre registravo, erano svariati: musica con il copyright, voci di sottofondo, sbagliare le parole, o anche l’improvvisa necessità di tossire. Nonostante tutto, però, una volta finito, mi è piaciuto il risultato.» (G.F.)
«[…] Nonostante questo, è stato comunque molto bello sentire la mia voce recitare in quel modo in un contesto magico dato dalla musica e dai suoni. Mi sembrava proprio di aver creato un vero e proprio spezzone di un film.» (G.G.)
Ho creduto e credo molto in questo tipo di lavoro, perché sono convinta che esprimere la propria personalità attraverso l’esperienza della recitazione sia molto importante nel percorso di crescita di un preadolescente che in questo modo si trova a dover lavorare con le proprie emozioni. Le particolari condizioni imposte dalla pandemia (fare teatro in presenza era impensabile) ci hanno costretti ad utilizzare e sperimentare le nuove tecnologie; io sono convinta che queste ultime facciano parte di un linguaggio che dovrebbe rientrare, a ragione, nel bagaglio culturale dei ragazzi, viste le modalità comunicative che loro stessi sperimentano al di fuori del contesto scolastico.
I file mp4, una volta consegnati, sono confluiti nella newsletter di maggio (un’idea nata per riunire in le famiglie in un momento “culturale e virtuale” durante la pandemia), sotto forma di invito a teatro virtuale. Qui potete scaricarla, leggerla e ascoltarla: buono spettacolo!
[*Mi chiamo Giulia Valsecchi, sono un’insegnante della Secondaria di Primo Grado. Mi sono laureata in Lettere Classiche con una tesi in iconologia-iconografia con il bravissimo professor Pierluigi De Vecchi. La passione per la storia dell’arte l’ho ereditata alle superiori, grazie alla mia professoressa Laura Polo, che riusciva a far apparire meravigliose le due ore trascorse in una specie di sgabuzzino, dove ci mostrava e spiegava un numero incredibile di diapositive, “facendole parlare”. Che le immagini avessero un loro linguaggio io prima non lo sapevo e la scoperta mi lasciò stupefatta. Ho cominciato ad insegnare nel 2005, ma sto imparando il mestiere ancora oggi. Mi piace tantissimo l’idea di poter dare degli “strumenti” utili ai miei ragazzi, ma anche il fatto di far percepire la bellezza delle cose che insegno, cosicché possano cercarsele in giro per il mondo quando saranno grandi.]