Oggi, Daniela Tieni che ha realizzato le illustrazioni per C'era una volta in Persia, racconta come ha affrontato le pagine di questo libro: personaggi, ambientazioni, atmosfere. Come si è orientata: attraverso quali ispirazioni, suggestioni. E soprattutto come ha risolto il grande enigma della personalità della protagonista di queste pagine. Quando il libro è uscito, abbiamo pubblicato qui, le parole di Sahar Doustar, autrice della storia che vi suggeriamo di andare a rileggere.
[di Daniela Tieni]
Raramente trovo le parole adatte per spiegare quello che faccio. Per questo spero sempre che il mio lavoro parli da solo, che dica già quel che deve dire o - nella migliore delle ipotesi - che apra a qualche domanda. In questa occasione, però, sono contenta di poter scrivere qualcosa. Mi è utile per riordinare le idee su un progetto a cui tengo molto e che mi ha permesso di fare un salto in un mondo lontano, moderno e ricchissimo: C'era una volta in Persia. Ringrazio Giovanna, Paolo e Sahar per questo.
Ho ricevuto il testo da Giovanna più o meno un anno e mezzo fa. Ero entusiasta e curiosissima di vedere quale storia pensava potesse essere adatta a me. Il testo, bellissimo, mi ha subito conquistata, ma a fine lettura le ginocchia hanno tremato. Come illustrare quello che avevo appena letto? Il racconto è ambientato in Persia. Giovanna mi scrisse subito che avrebbero preferito un libro dove poter cogliere l’atmosfera orientale senza vederla imbrigliata in una rigida iconografia. In seguito Paolo mi ha suggerito alcuni link della British Library dove avrei potuto trovare centinaia di manoscritti persiani digitalizzati. Praticamente come girare la maniglia di una porta ed entrare in un altro universo.
Conoscevo già alcune cose, ma non mi ero mai soffermata a lungo su tanti particolari. Ricordo di aver pensato: oh mio Dio che bellezza! E anche: non uscirò più da questo sito! E poi: consegnerò il libro tra mille anni! E infine: ok, fatti forza, iniziamo.
«C'era una volta in Persia una ragazza che non aveva mai visto la propria immagine allo specchio, così non sapeva che aspetto avesse.»
La protagonista accetta una proposta di matrimonio, ma il giorno della cerimonia accade l’impensabile: si guarda per la prima volta in uno specchio e non si riconosce. Chi è quella persona che le si presenta davanti? Di certo non è lei, di questo è convinta. L’istinto le suggerisce di scappare da quella donna e anche dal suo sposo. Prima di mettere mano sul foglio ho iniziato a salvare le immagini che più mi colpivano; anche qualche artista contemporaneo mi ha dato una mano. Dovevo trovare un modo per restituire la giusta ambientazione e visualizzare i personaggi.
Firdausi, Shahnameh, Simurgh and Zal.
Zakariya al-Qazwini, The Wonders of Creation.
Anthony Gormley.
Kiki Smith, Girl with stars.
Ho buttato giù il primo storyboard. Una volta fatto, ho tentato l’approccio con il colore iniziando dalla prima scena, dove vediamo il palazzo degli sposi. A tavola ultimata mi sono resa conto che c’era qualcosa di sbagliato, ma non focalizzavo l’errore. Ho fatto riposare gli occhi e solo molte ore dopo ho capito che si trattava della rappresentazione spaziale: la realtà nei manoscritti persiani si fa complessa, simultanea, scomposta e ricomposta sul piano bidimensionale con grande naturalezza; si accatastano le sezioni dei palazzi e lo spazio interno si trova spesso accanto alle facciate esterne. Insomma, dovevo studiare meglio la composizione. Risolvere questo primo tentativo mi ha aiutato a vedere le cose con più chiarezza: mi ero accomodata male, ero in una posizione sbagliata come quando ci si vuol rilassare ma abbiamo a disposizione solo una sedia scomoda. Una volta aggiustato il tiro della prima illustrazione, ho iniziato a masticare meglio il resto.
Il primo confronto con Giovanna sulla sequenza delle immagini ha messo in evidenza un altro grosso, gigantesco sbaglio, un aspetto a cui non avevo dato peso: lo sposo. Mi ero concentrata interamente sulla protagonista. Era così impellente per me cercare di visualizzare la sua lacerante crisi che in effetti avevo completamente dimenticato la controparte di questo racconto: dell’uomo non si vedeva nemmeno l’ombra, Giovanna aveva ragione. Ho riletto il testo molte volte e fatto altre prove, ma qualcosa non tornava.
La prima versione dello storyboard.
C’è un passaggio molto delicato nella storia, quando la sposa cerca di spiegare perché si è spaventata così tanto, fino a credere di aver visto nello specchio un’altra donna, un’estranea.
«Perché mi hai abbandonato?»
La sposa rispose: «Perché stavi sposando un'altra ragazza».
Allora, sorpreso, lui le chiese: «Quale ragazza?»
«Quella vestita da sposa seduta di fronte a noi.»
Lo sposo rise: «Ma eri tu! Quella era la tua immagine allo specchio.»
La sposa rispose: «No, non ero io».
«Ma sì, sei esattamente la forma che hai visto allo specchio!»
«Ti giuro che la ragazza nello specchio non ha niente a che vedere con me» disse la sposa. «Io ho un'altra forma.»
Questo è un sentimento che in parte conosco. Credo che ognuno di noi possa attraversare momenti in cui avvertiamo uno scollamento tra quello che sentiamo, cosa mostriamo agli altri e l’immagine di noi che si forma nello sguardo del nostro interlocutore. Può capitare che per una serie di ragioni queste proiezioni non coincidano. Si può verificare facilmente in un labirinto di specchi, di quelli che possiamo visitare in un luna park: siamo noi, ma allo stesso tempo siamo troppi e inoltre possiamo vederci sotto più angolazioni. Un’esperienza singolare e straniante. Quando lei inizia descrivere il suo aspetto all’amato per spiegare il motivo per cui la forma che le ha mostrato lo specchio non le appartiene, nelle illustrazioni la vediamo immergersi negli elementi della natura: il suo corpo ritrova ordine e pace. Sente di non avere una sola forma, perché le contiene tutte e si espande ovunque. Come avrebbe potuto quella semplice immagine allo specchio restituire tutto questo alla nostra protagonista? E lui come avrebbe potuto comprenderla? Come spiegarlo?
Avevo rifatto lo storyboard. Sembrava discreto, gradevole, ma sentivo mancare una tensione, non avevo colto lo snodo principale. Il testo si avvia alla chiusura con queste due frasi: «Tu e io siamo molto simili, sposa mia. Ti prometto che vivremo insieme una vita buona e felice.» Mi ero fermata alla prima parte del testo, mentre il mistero risiede proprio qui: cosa porta lui a dirle che sono simili e che proprio per questo saranno felici? Dovevo trovare un punto d’incontro, uno spazio comune, amato, che non era descritto nel racconto. Forse la soluzione si trovava da un’altra parte. Io l’ho intravista nel loro passato. Sì, lei è sempre stata nella vita dello sposo, nel suo immaginario. Un pensiero così forte che negli anni precedenti al loro incontro per lui era già viva presenza: eccola nelle acque di un lago durante una passeggiata solitaria, nella vita parallela dei sogni o nei silenzi della notte vissuti da giovane. Spiriti affini ma ancora lontani, impegnati entrambi ad essere parte del creato. Sapeva della sua esistenza ancor prima di averla conosciuta perché era già parte di lui. Per questo motivo, la prima volta che l’ha vista, l’ha riconosciuta e se ne è innamorato all’istante, come fossero un’energia complementare.
La versione definitiva dello storyboard.
Dove prima i miei disegni non raccontavano molto se non un semplice stato d’animo, ho inserito la figura dello sposo: mentre lei si fa grande e diventa parte del paesaggio, lui è lì, a conferma del fatto che comprende quello che sente; che ha già visto e che ama tutte le identità che la rendono unica.
Il resto è arrivato da sé. Mi sono divertita molto a disegnare strani animaletti per accompagnare i due protagonisti; mi sono affezionata alla figura del Simurgh, che vive sull’albero dei semi e di certo continuerò a farmi ispirare da queste misteriose creature che arrivano da lontano e che sembrano ancora oggi saperne molto del mondo, sicuramente più di quanto ne so io.
Lunga vita agli sposi!
Il mitologico Simurgh in un bestiario persiano.
Zakariya al-Qazwini, The Wonders of Creation.
Prova di illustrazione per i risguardi di C'era una volta in Persia.