Si è da poco conclusa una giornata di studi su Ada Gobetti, il cui pensiero pedagogico è esposto nel recente saggio Non siete soli. Scritti da “il Giornale dei genitori” (1959-1968), a cura di Angela Arceri. Ne parla qui Giulia Mirandola che propone anche un brano estratto dal libro.
[di Giulia Mirandola]
Il pensiero di Ada Gobetti e l’esperienza del Giornale dei genitori
Sul finire del 2018 è uscito in libreria Non siete soli. Scritti da “il Giornale dei genitori” (1959-1968). Il libro è a cura di Angela Arceri (Centro Studi Piero Gobetti - Edizioni Colibrì, 2018), con una postfazione di Goffredo Fofi. Vi sono riuniti tutti gli articoli di Ada Prospero Marchesini Gobetti scritti per il Giornale dei genitori, da lei stessa fondato nel 1959 e diretto fino al 1968. Gianni Rodari diverrà il secondo direttore della rivista.
Angela Arceri vive in Piemonte, insegna alle scuole medie e fa la ricercatrice. Collabora con il Centro Studi Piero Gobetti, dove l'ha condotta uno studio sulla figura della scrittrice e traduttrice Barbara Allason, in seguito a un periodo di collaborazione presso il Centro Studi Pensiero e Documentazione femminile di Torino. Ha iniziato a occuparsi di Ada Prospero Marchesini Gobetti dopo essersi imbattuta involontariamente nella prima edizione della Storia del gallo Sebastiano, ovvero sia il tredicesimo uovo (Garzanti, 1940), che Ada firma con lo pseudonimo Margutte.
Non siete soli è un libro che porta all'attenzione la figura di Ada Prospero Marchesini Gobetti e ce ne fa scoprire la visione pedagogica attraverso una pluralità di argomenti che hanno fatto parte del pensiero e dell'azione di Ada nella seconda parte del Novecento. Nell'ampia introduzione, Angela Arceri aiuta a ricostruire il profilo biografico di Ada e rintraccia la sua predisposizione per il lavoro educativo in una lettera indirizzata a Piero Gobetti, scritta a diciannove anni, nella quale parla di quando racconta storie ai bambini del paese: «Mi piacciono le riflessioni con cui mi interrompono a volte: uso la massima attenzione a raccontare bene e bello perché - pare impossibile - sentono subito la minima disarmonia. […] Io coi miei rampolli mi nascondo in un angolo della terrazza quasi buia e mi astraggo da tutta l'idiozia: li conduco in un mondo di realtà moralmente speciale, da cui non vorrebbero più tornare perché è il loro vero mondo.»
È il 1959. Ada, a quel punto, ha già vissuto tante vite: è stata l'amica e la moglie di Piero Gobetti; madre, vedova e di nuovo sposa; insegnante e traduttrice dal russo, dal francese, dall'inglese; partigiana durante la Resistenza; tra le fondatrici del Partito d'azione clandestino e dei Gruppi di difesa della donna; componente del comitato d'onore dell'Unione Donne Italiane; vicesindaco di Torino dopo la Liberazione; autrice di libri per bambini quali Storia del gallo Sebastiano e Cinque bambini e tre mondi (1952), del libro di memorie della Resistenza Diario partigiano (Einaudi, 1956), di testi per la scuola; direttrice, insieme alla pedagogista Dina Bertoni Jovine, della rivista Educazione democratica.
Il Giornale dei genitori è un'esperienza volta a educare i genitori e ad affiancare il lavoro delle scuole. Occuparsi di educazione significa prendere in esame diversi aspetti della vita sociale, culturale, politica, cosa che emerge con limpidezza dai nomi delle rubriche, dai titoli degli articoli, dalle fotografie e dalle scelte iconografiche, dalla composizione della redazione fatta di educatori, medici, insegnanti, psichiatri, scrittori, alcuni dei quali avrebbero contribuito a fondare il Centro Studi Piero Gobetti qualche anno più tardi. Il Giornale dei genitori va incontro ai genitori con un linguaggio comprensibile, aperto ad affrontare qualsiasi tema riguardante l'esistenza dei bambini e degli adolescenti.
Alcuni argomenti trattati fin dal primo anno: "opinioni in famiglia", "capire la scuola", "i pensieri di una giovane mamma", "come ci vedono i nostri figli", "il mestiere di genitore", "la vita associativa", "i dischi e la storia", "consigli del medico", "educazione alimentare", "il taccuino psicologico dei genitori", "educazione della mente", "guida ai libri per ragazzi", "lo sport", "teleclub". Dal 1960: "l'educazione sessuale dei ragazzi", "le buone maniere", "esperienze di una maestra", "la famiglia, le leggi, la realtà", "il gioco", "i problemi dei piccolissimi", "come vediamo il mondo", "la ginnastica, provate anche voi", "la scuola oggi", "vedere ascoltare sapere", "poesia", "le difficoltà quotidiane", "la mamma lavora", "le nostre virtù", "il dibattito sull'educazione religiosa", "in molti si gioca meglio", "il bimbo e la musica", "l'educazione dei sentimenti", "come narrare le storie?", "il coraggio della salute", "i piccolissimi e noi", "colloqui con l'insegnante", "i ragazzi e la politica".
Ada Gobetti con il figlio Paolo.
Non è stato semplice scegliere un testo che potesse invitare alla lettura di Non siete soli. Scritti da “il Giornale dei genitori“ (1959-1968), perché tutti meritano la curiosità e il tempo di essere scoperti, letti, riletti. Goffredo Fofi, nella sua postfazione, considera gli scritti di Ada Gobetti per il Giornale dei genitori «il suo capolavoro pedagogico: l'insieme dei suoi interventi mese per mese nel corso di più anni che ci fa certi della varietà dei suoi interessi e della sua fondamentale saggezza e libertà di pensiero.”
Il testo trascritto di seguito fu pubblicato per la prima volta sulla rivista il Giornale dei genitori nell'aprile 1962 (anno IV, n. 4). Prende le mosse da All'armi, siam fascisti!, un film di Lino del Fra, Cecilia Mangini e Lino Miccichè, con testi di Franco Fortini, che Ada Gobetti affronta per porre una domanda a tutti i genitori: «L’aria che si respira oggi nelle nostre famiglie è tale da promuovere la fioritura delle civili virtù - che del fascismo sono la negazione - e da scoraggiare invece la viltà e l'indifferenza - che ne formano l'inevitabile sostrato? O non ci sono invece tra noi - anche tra i migliori, tra quelli che hanno valorosamente partecipato alle battaglie di ieri - timidezze, cedimenti, involuzioni? […] Che cosa insegniamo oggi ai nostri figli?»
Ringrazio Angela Arceri e il Centro Studi Paolo Gobetti per averne consentito la riproduzione.
«All'armi, siam fascisti!»
Non è vero che gli italiani desiderano dimenticare il passato. Non è vero che non vogliono più sentir parlare di Resistenza, di antifascismo, di fascismo.
C'è stato forse un momento, prima del '60, in cui - di fronte alla delusione d'una realtà tanto diversa da quella sognata e voluta - le generazioni che ne avevano vissuta, tutta o in parte, la gloriosa e dolorosa vicenda, hanno ceduto a una sconfortata stanchezza; ed è potuto sembrare che il nostro recente passato non fosse ormai per i più oggetto di vero interesse, ma solo di nostalgico rimpianto o di generica esecrazione.
Ma non appena si sono affacciate alla ribalta della vita nazionale le generazioni nuove, quelle venute subito dopo, l'interesse è risorto vivo, critico e costruttivo al tempo stesso. E, se ha assunto forza d'azione nei movimenti di Genova, Roma e altri luoghi, s'è ugualmente manifestato ovunque in acuta volontà di conoscenza.
Non ci deve meravigliare che l'interesse di tutti - ma soprattutto dei giovani - si sia venuto, lentamente ma sicuramente, spostando dalla Resistenza all'antifascismo e dall'antifascismo al fascismo stesso. Più che di esaltare gli eroismi della guerra partigiana, i giovani d'oggi si preoccupano di studiarne le origini nella ventennale opposizione al fascismo; sono portati quindi - e mi sembra questa una prova di maturità - a chiedersi e a ricercare, con indagine sempre più rigorosa, che cosa il fascismo sia veramente stato. Vogliono imparare a riconoscerne il volto antico sotto gli aspetti nuovi (indifferenza, conformismo, qualunquismo), per non diventarne - come sono stati in gran parte i loro padri - allo stesso tempo complici e vittime.
Per rispondere a questa richiesta, per venire incontro a questa esigenza, si sono scritti, con ritmo sempre più vivo, articoli e libri; si son compilate antologie e compiute indagini; si son tenute conferenze, organizzati convegni e dibattiti: tutti intesi a illuminare questo o quell'aspetto - o tutti gli aspetti - degli ultimi cinquant'anni di storia.
Anche nel cinema s'è venuto riflettendo questo nuovo interesse. A La lunga notte del '43, ottimamente impostato e realizzato è seguito l'approssimativo ed equivoco Tiro al piccione, e poi, ecco, Benito Mussolini, anatomia di un dittatore, Il mio amico Benito, Il federale. Ma un'opera seria, che senza rifugiarsi in una falsa obiettività e senza indulgere al pittoresco e al grottesco, dicesse la verità sul fascismo, indicando responsabilità precise e offrendo elementi sicuri di giudizio, non s'era avuta ancora prima di All'armi, siam fascisti!: il bel film di Lino del Fra, Cecilia Mangini e Lino Miccichè che - presentato a Venezia nel settembre scorso - è rimasto impigliato per tutti questi mesi nelle maglie della rete burocratica, e che solo in questi giorni, pare, potrà finalmente comparire sui nostri schermi.
È un film che tutti gli italiani dovrebbero vedere; e che dovrebbe essere proiettato soprattuto nelle scuole, medie e superiori. Ché difficilmente si potrebbe immaginare una più efficace e valida lezione di storia; di quella storia contemporanea che - meno male! - ormai i programmi scolastici contemplano ma che solo assai raramente viene insegnata come dovrebbe. Il bel commento di Franco Fortini - che ne costituisce a la colonna sonora - lega tra loro le immagini a cui l'intelligente montaggio dà una particolare coerenza e organicità; commento e immagini poi sono accorti nel non trascurare nessuna occasione per riportare i fatti passati a quelli presenti e all'avvenire, e continuamente impegnano lo spettatore alla partecipazione. Fino alla domanda e all'incitamento finale: «La vostra coscienza che cosa ha da dire?» - chiede la voce del commentatore - mentre sullo schermo si susseguono la protesta antifascista di Genova, la carica della cavalleria di Porta San Paolo a Roma, gli episodi luttuosi di Reggio Emilia, di Palermo - «Bisogna scegliere. Bisogna decidere. Il vostro destino è solo vostro. Rispondete.»
Ma c'è nel film un passaggio che mi sembra particolarmente interessante, proprio dal punto di vista educativo.
Siamo al «plebiscito» del 1929, nell'atmosfera dei «liberi» comizi notturni, dove s'illumina il «santo manganello», sempre pronto - come afferma Augusto Turati, segretario del partito fascista - per le spalle degli oppositori. La «grande paura dei benpensanti» che nel '20, nel '21, nel '22, aiutò, pagò e armò le squadracce di Mussolini, costruisce ora, attraverso l'intimidazione, la raccomandazione, la corruzione, il trionfo del dittatore. Tutti, o quasi tutti, votano per lui: anche quelli che, nel proprio interesse, dovrebbero fare il contrario. «Eccoli dire di sì», - spiega a questo punto il commento, - «di sì perché lo fanno tutti, di sì perché l'ha detto monsignor vescovo e il commendatore che ha studiato, di sì perché hanno quattro creature, di sì perché bisogna far carriera, di sì perché non vogliono più esser morti di fame, di sì perché ho un credito, di sì perché ci credo, di sì perché non ci credo, di sì perché tanto nulla conta, di sì perché io non conto nulla, di sì perché non ho più compagni».
Troviamo elencate qui le ragioni dell'acquiescenza di tutto un popolo a un regime destinato a portarlo a rovina: il conformismo, l'ignoranza e la miseria, l'egoismo la paura, l'illusione e lo scoramento, la solitudine. Ma questi mali sono oggi scomparsi? Non li ritroviamo forse, a volte addirittura esasperati, nella situazione attuale, negli atteggiamenti di troppa gente? E non è giusto preoccuparsene, cercar di porvi rimedio?
Come debellare l'ignoranza e la miseria? È un problema politico di strutture sociali ed economiche, d'investimenti, di scuole: e finché non sarà mutata la politica del Paese, potrà sempre rinascere un sia pur nuovo e diverso fascismo. Non bisogna però sottovalutare gli elementi psicologici ed educativi a cui il «miracolo economico», creando in certe zone un sia pur fittizio benessere, e la diffusione della cultura attraverso i mezzi di massa danno oggi un peso assai maggiore d'un tempo.
L'aver «quattro creature» e il volerle crescer bene, il rifiuto a «esser morti di fame», anche il legittimo «desiderio di far carriera», non devono indurre al conformismo e all'indifferenza, ma piuttosto alla lotta. Ma per questo bisogna aver fiducia nel proprio giudizio più che in quello di «monsignor vescovo» o del «commendatore»; bisogna saper vedere al di là del proprio egoismo e non farsi sopraffare dalla paura di perdere quel poco che si possiede; non bisogna lasciarsi scoraggiare dal - troppo comodo a volte - convincimento che «tanto nulla conta», che «io non conto nulla». E soprattutto non bisogna essere soli: ma avere tanti «compagni» in cui credere, con cui lavorare, con cui combattere, con cui essere felici.
Educhiamo noi veramente i nostri figli in questo spirito, secondo questi principi? L'aria che si respira oggi nelle nostre famiglie è tale da promuovere la fioritura delle civili virtù - che del fascismo sono la negazione - e da scoraggiare invece la viltà e l'indifferenza - che ne formano l'inevitabile sostrato? O non ci sono invece tra noi - anche tra i migliori, tra quelli che hanno valorosamente partecipato alle battaglie di ieri - timidezze, cedimenti, involuzioni? La pigrizia e la paura non si levano a volte a bloccare la nascente combattività dei ragazzi, dei giovani? E quando, parlando con loro, condanniamo il fascismo, sappiamo render chiaro che la condanna non va circoscritta ai suoi aspetti più superficialmente odiosi e alle sue sanguinose violenze, ma deve essere estesa a tutto un sistema sociale che fa degli uomini, per la difesa del privilegio, dei corruttori o dei corrotti, degli oppressori o degli oppressi?
«Quelli di noi, quelli di voi» - dice il commentatore di All'armi, siam fascisti!, mentre si vede sullo schermo il giuramento dei figli e delle figlie della Lupa - «che sotto gli occhi commossi della mamma e del papà, senza sapere che cosa facessero, ricevevano le armi in quelle cerimonie, che cosa insegnano ai loro figlioli?»
Che cosa insegniamo oggi ai nostri figli?
Non inutilmente forse, a diciassette anni dalla Liberazione, ci porremo questa domanda e ci sforzeremo di rispondere sinceramente, con coraggiosa onestà. E sarà questa senza dubbio la forma migliore di celebrazione. Ché proprio nell'educazione da noi impartita ai figli è la chiave del nostro domani.
Ada Gobetti con il figlio Paolo, inverno 1944.