[di Nicoletta Caccia]
"È proprio dal lavoro in giardino che la maggior parte di noi ricava le esperienze più intime e dirette della natura riguardanti le sue gratificazioni, la sua fragilità e la sua forza (…) Nel giardino c'è sempre la possibilità di trovare alcuni motivi di speranza. Il giardinaggio può sicuramente offrire alcune belle storie e qualche buona idea. Può aiutare a non deprimersi, a pensare ad altro mentre ci si diletta (anche con fatica) a creare, a togliere e ad aspettare di nuovo che qualche altra pianta o cosa cresca, che un fiore sbocci o che un frutto maturi".
(Una seconda natura, Michael Pollan)
Mi chiamo Nicoletta e sono una giardiniera dilettante.
Accompagno quotidianamente bambini e bambine, ragazzi e ragazze negli orti e nei giardini per prendersi cura di sé, degli altri e di tutto quello che ci circonda.
Per i bambini e le bambine della scuola dell’infanzia sono Nicolina o Nuvoletta; per quelli della scuola primaria sono la maestra dell’orto; per i più grandi sono prof con la “o” trascinata o con la “f” infinita.
Ce n’è da essere in continua crisi di identità se non fosse che, in questo mio errare da scuola a scuola, io mi senta una privilegiata perché posso condividere la mia passione in un tempo e in uno spazio in continua evoluzione e trasformazione, posso intraprendere percorsi sempre nuovi in cui è la curiosità del conoscere a condurmi, in cui posso ammirare la bellezza in ogni sua forma, acquisire consapevolezza e conoscenza di me stessa, creare connessioni e relazioni, promuovere cooperazione e condivisione, raccogliere parole, sguardi e sorrisi che spesso diventano storie da raccontare o da ricordare.
Lo spazio dell’orto mi è familiare con la sua ricchezza di tradizioni e di pratiche nate in stretta connessione con la natura. Da bambina ho passato ore a giocare nell’orto della nonna, crescendo ho fatto i primi tentativi di coltivazione nello spazio che papà mi aveva “riservato” nell’orto di famiglia, sognando di poter avere uno spazio tutto mio dove ricreare quella bellezza che vedevo negli orti dei paesi di montagna in cui passavo le estati. Oggi mi prendo cura di tanti spazi diversi, progettati traendo idee e spunti dai tanti libri letti, dalle mostre che visito, dagli spettacoli a cui assisto, dalle musiche che ascolto e dai viaggi in terre lontane dove guardo affascinata tecniche di coltivazione a me estranee e di cui tengo tracce fotografiche gelosamente custodite. Da poco più di 10 anni la mia passione è diventata (anche) il mio lavoro. Ma, sono e resto una dilettante, in linea con il pensiero così ben espresso da Michael Pollan nel suo Una seconda natura in cui, nel raccontare le sue esperienze di giardinaggio, ha deciso di porsi sempre come "allievo e mai come maestro”.
Gli orti-giardini delle scuole, a seconda di chi li frequenta o del momento in cui si abitano, possono diventare un'occasione, un'opportunità e uno strumento, ma anche uno stratagemma per “andare fuori” come scrive Emilio Bertoncini nel libro “L’Orto delle meraviglie”. Nelle esperienze come ortoterapeuta, gli orti-giardini possono essere un importante elemento mediatore per dare vita ad esperienze, generare azioni, sollecitare atti di cura, diventare parte, tracciare connessioni, prendersi responsabilità, attivare nuove conoscenze, essere consapevoli delle proprie abilità ma, anche delle proprie fragilità, avere la possibilità di vivere un contesto non giudicante ma rassicurante ed accogliente in cui ciascuno è accettato e rispettato per come è. Come scrive Lia Everard nel blog SANE Australia, “sono luoghi sicuri dove le persone imparano a far parte di una comunità, dove c’è la consapevolezza comune del fatto che tutti fanno parte del gruppo e che il contributo di ciascuno è importante”.
Un primo incontro d’autunno
È una bellissima giornata di metà ottobre, seduta nel giardino della scuola dell’infanzia di Inverigo cerco, con il viso, di intercettare i raggi del sole per accumulare un po’ di tepore: il cielo è terso, inondato da una calda luce autunnale, sullo sfondo il profilo del Resegone e delle Grigne, fa freddo, neppure il caffè bollente è riuscito a scaldarmi. Il giardino è molto grande, le aule vi si affacciano con ampie vetrate. Nel primo incontro con le insegnanti abbiamo identificato un possibile spazio da dedicare all’orto. Io sono preoccupata, lo spazio scelto è molto grande e terrazzato, con una terra difficile ed esposto in pieno sole per tutta la giornata (ottimo in inverno e nelle stagioni di mezzo, non tanto in estate). Propongo di ridurlo in piccole aree di forme diverse dove i bambini possano sentirsi a loro agio sia nel curarlo che nel frequentarlo in autonomia.
Per il primo incontro ho portato libri illustrati, qualche seme, un po’ di bulbi e un paio di sacchi di buon terriccio: ridaremo vita alle fioriere già usate lo scorso anno. I bambini sono incuriositi dalla mia presenza, ci scambiamo saluti, nomi e qualche domanda. Ci sediamo in cerchio e io leggo “Un grande giorno di niente” per dare inizio al nostro incontro. Ma è la terra la vera protagonista. Morbida, profumata, leggera e scura, attrae dapprima i loro sguardi e subito dopo tutti le parti del corpo vengono coinvolte: mani, polsi, gomiti, ginocchia, guance, nasi, un insieme di muscoli e giunture - “È fredda”, “È bagnata”, “È sbriciolata”, “Sembra cioccolato, ma non è dolce”. Li osservo. Di certo sono attivati tutti i sensi! Prepariamo le fioriere, il tessuto che coprirà il fondo diventa un aquilone, un telo sotto cui nascondersi, un vestito prezioso e solo dopo aver calcolato le dimensioni e abilmente tagliato a misura, troverà il suo posto definitivo.
Mischiamo la terra e con le mani a conchetta riempiamo i contenitori – un pugno di terra alla volta, le mani sono piccole, i tragitti da un punto all’altro del giardino infiniti, qualcuno rimane accovacciato a fare delle polpette di terra. Un bambino seduto in disparte, raccoglie un po’ di terra, la passa sul palmo della mano, la sbriciola, la fa cadere a cascata tra le dita, la raccoglie di nuovo, l’annusa, la osserva incuriosito, intercetta il mio sguardo, mi mostra qualcosa. Mi avvicino: la terra è abitata da funghi microscopici, da un lombrico che abbiamo svegliato, da qualche larva di insetto, da organismi e microorganismi vegetali e animali tutti con una loro funzione, tutti legati da complessi rapporti di interdipendenza. Nei mesi successivi i ritrovamenti si moltiplicheranno e con loro, le domande, le curiosità, la sete di sapere e di scoprire ancora. È il momento della semina di fave e piselli, della messa a dimora dei bulbi a fioritura primaverile, di qualche cipolla colorata e di alcuni spicchi d’aglio.
I profumi, i colori, le forme catturano la loro attenzione e così dalla mia borsa, che una bambina riconosce simile a “quella da Mary Poppins”, esce fuori il RAL. Giochiamo a “indovina la sfumatura”: i bulbilli delle cipolle rosse vengono associate al Ral 3003 rosso rubino, ma anche al Ral 3005 rosso vino qualcuno in un vociare crescente azzarda un Ral 3011 rosso marrone. Chi avrà trovato la giusta risposta? Tutti, dipende dagli occhi di ciascuno!
Il tempo è volato via. Dobbiamo coprire gli orti “perché altrimenti prendono freddo”. Mentre si allontanano per andare a pranzo, qualcuno si gira a salutarmi, altri si attardano a guardare come ripongo gli attrezzi, i più curiosi tornano ad aiutarmi. Ci vediamo presto. L’avventura è solo all’inizio!
20 novembre 2021 – Giornata internazionale dei diritti dei bambini
Dopo un anno di lavoro con Gianni Manfredini, istrionico autore/attore di spettacoli dedicati alla natura e grazie al sostegno di una piccola azienda valtellinese, vede la luce il progetto “Il Grano Saraceno: un seme favoloso” dedicato a scuole dell’infanzia e primaria. La scelta della data di lancio non è stata casuale perché io e Gianni crediamo fortemente che i bambini e le bambine abbiano anche il diritto ad una scuola coinvolgente, appassionante e divertente. Abbiamo quindi ideato e condiviso con 50 scuole di tutta Italia un’ampia gamma di materiali interdisciplinari, innovativi e non convenzionali (video, taccuini contenenti sfide, un silent book, supporto online continuo, incontri sul territorio) in grado di proporre spunti, stimoli e sollecitazioni per tutto l’anno scolastico.
Le insegnanti hanno accolto con entusiasmo il progetto, adattandolo ed interpretandolo secondo le inclinazioni e attitudini, ma i veri protagonisti sono stati i bambini e i ragazzi che confrontandosi sui 5 temi proposti (semina, cura, storia dei nomi, biodiversità ed alimentazione) hanno sviluppato idee, generato strategie, confrontato ipotesi e proposto soluzioni inaspettate e talvolta sorprendenti.
Il seme di grano saraceno ha attivato una rete che si è scambiata suggerimenti, fotografie, disegni, racconti ed esperienze incredibili e ha reso possibile attivare profonde relazioni tra scuole ubicate in territori chilometricamente distanti ma accomunate dal desiderio di osservare, esplorare, giocare, sperimentare diverse modalità di coltivazione (anche in piccoli spazi) cogliendo come le differenze di clima, di latitudine e di tempi avessero un impatto sulla crescita del grano, in un fare ed attendere continuo e sempre nuovo.
La documentazione raccolta ci ha permesso di conoscere realtà straordinarie dove i semi hanno trovato casa e cura: non tutti sono germogliati ma averli nella terra ha regalato speranza e bellezza.
Mi piace ricordare che nei primi giorni di gennaio, mentre ad Alicudi il grano saraceno nei terrazzamenti germogliava e metteva le prime timide fioriture, nella scuola trentina di Sant’Orsola la neve impediva le semine all’esterno ma, faceva procedere alacremente quelle all’interno.
In Valtellina, il seme di grano saraceno è diventato il protagonista di una attività di coding, grazie ai percorsi disegnati dai bambini è riuscito a superare le difficoltà e trasformarsi in pianta.
In Abruzzo hanno inventato storie e filastrocche e alcune classi hanno condiviso una parte dei semi con le famiglie del paese.
Molte scuole nel Lazio, in Puglia e nelle Marche hanno trasformato i semi in farina e hanno preparato i piatti della tradizione della lontana Valtellina.
Alcune classi di primaria del Piemonte, della Lombardia e del Friuli si sono cimentati nel conteggio/pesi e misure dei semi con metodi empirici: ne è uscita una sfida entusiasmante.
Nella scuola di Udine si sono formati gruppi di ricercatori scientifici per raccogliere informazioni utili per la semina e gruppi di coltivatori per dissodare e preparare il terreno.
A Mozzanica in provincia di Bergamo, il progetto è ‘uscito’ dalla scuola. Dopo aver visto un mulino in uno dei nostri video, i bambini e le bambine della scuola dell’Infanzia hanno mandato una lettera al Sindaco perché aprisse le porte di un vecchio mulino del paese. Detto, fatto! Qualche giorno dopo abbiamo ricevuto le fotografie dell’incontro: il Sindaco ha esaudito la richiesta dei bambini e in cambio ha ricevuto una piccola pianta di grano saraceno.
A Milano, una V primaria ha lavorato sulla biodiversità proponendo azioni di responsabilizzazione e sulla alimentazione – tracciando un quadro delle allergie e intolleranze presenti nella scuola e nelle famiglie.
Il piccolissimo seme a forma di cuore ha reso possibile la realizzazione di un sogno: quello di condividere mille gesti di cura tutti preziosi nella loro diversità.
In una mattina di primavera
È il 3° incontro in una scuola dell’infanzia in una grande città del Nord. Il giardino è rigoglioso, alberi ad alto fusto fanno da cornice all’orto nei cassoni, gli scoiattoli, che quest’autunno ci hanno dissotterrato tutti i bulbi, corrono allegramente sui rami e giocano tra le foglie. Io, da sotto li guardo minacciosa: oggi è giorno di semina! L’orto è in attesa, la terra è smossa, scura, morbida e leggera. Ho con me un cassetto pieno di semi, il lunario, il calendario delle semine e due aiutanti: l’albo illustrato A seed is sleepy e il preziosissimo In un seme le cui pagine sgualcite, spiegazzate e con impronte di terra raccontano la quotidianità di uso.
Un vociare concitato mi avvisa dell’arrivo dei bambini. In breve sono subissata da domande e da richieste, prevedo una mattinata intensa, ma non vedo l’ora di cominciare – oggi diventeranno custodi dei semi, assistendo al primo atto di quel meraviglioso prodigio che è il processo che dal seme porta alla pianta, al fiore, al frutto e di nuovo al seme in un ciclo che continuamente si rinnova.
Consultiamo il calendario della semina e quello scolastico per scegliere semi che arrivino “a maturazione” prima delle vacanze. Guardiamo il lunario e lo confrontiamo con le loro osservazioni del cielo notturno “Da casa mia la luna non si vede, ho accompagnato il papà a portare al parco il cane per osservarla”. “Io non capisco da che parte si deve girare quando cala, come è la storia che ti raccontava la tua nonna?”. Dopo un lungo conciliabolo decidiamo di seminare piselli, fave, ravanelli, misticanza multicolore e carote. La semina vuole attenzione, non una attenzione generica, ogni seme chiede la sua. Il giardino popolato da mille voci, nel momento della semina sprofonda in un irreale silenzio. I gesti sono lenti, attenti, misurati.
Come seminiamo? Dove? Facciamo i buchi o un solco lungo e stretto? La mia risposta è sempre un invito alla prova e allo sperimentare possibili soluzioni.
I semi della misticanza e delle carote sono piccoli e nelle mani dei bambini sembrano scomparire alla vista, tendendo a radunarsi nel palmo e a cadere poi tutti insieme. Nel tempo ho trovato alcune soluzioni ‘tecniche’ ma, alla prima esperienza di semina mi piace vedere come ciascuno trovi la sua personale modalità, pur sapendo che non ci sarà una distribuzione regolare ma mi sembra così bello avere con i semi un rapporto pelle a pelle.
Chi ha scelto i semi più grandi se li rigira tra le dita scegliendo come appoggiarli nella terra. I semi finiscono nei solchi, uno vicino all’altro – troppo vicini direbbero le regole del buon coltivo – le insegnanti mi guardano preoccupate, ma io ho fiducia sulla capacità dei semi di distanziarsi durante la crescita e poi per i bambini e le bambine sarà un momento di apprendimento che si radicherà nei loro ricordi. La finalità di un orto a scuola non è la produzione intensiva, ma la cura!
Le mani chiudono la terra, la premono dolcemente e qualcuno si interroga su cosa succederà là sotto. Mi metto in ascolto “Quanto ci metterà a crescere?” “Poco, qualche oretta e puff” “Ma no ci vogliono anni” “I miei cresceranno più veloci perché li ho salutati prima di coprirli”, sorrido all’idea del seme che non vede l’ora di uscire per non deludere le aspettative della bambina dai ricci biondi che gli ha fatto ciao ciao.
Il mistero di ciò che succede sotto la terra scura, mi ha suggerito di fare contestualmente semine in vetro o in contenitori trasparenti ma, la magia rimane come mi racconta Tommaso, in modo concitato, appena mi vede: “Il seme si è gonfiato, si è spaccato e ha messo fuori le punte” – e poi cosa è successo? chiedo io – mi guarda e sorride furbo “te lo racconto la prossima volta”. Ah, Generazione serie TV!
Una bambina si avvicina, apre la mano, mi mostra dei semi di ravanello “sono troppo piccoli, riusciranno a crescere?”, “tu che ne pensi?” le domando, “penso che si meritano una possibilità”, si gira e se ne va mentre io rimango senza parole davanti a tanta saggezza racchiusa in un corpo da 5enne.
Mentre i bambini procedono con l’attività più attesa (bagnare), io rifletto sulla potenza del seminare non solo nella terra ma anche in sé stessi, come ogni volta in cui si depone il seme di un interesse, di una passione, di un rapporto affettivo, di un nuovo lavoro, di una amicizia e si sceglie quali riguardi e quali attenzioni dare.
Lascio i bambini ai loro giochi, i semi al silenzio della terra, gli scoiattoli ad osservare curiosi.
Dall’orto della scuola agli orti condivisi
È una giornata di fine primavera che strizza l’occhio alla caldissima estate che sarà. Oggi i ragazzi della primaria e della secondaria di primo grado, che per tutto l’anno si sono occupati dell’orto posto davanti alla scuola, porteranno le piantine autoprodotte agli orti condivisi di quartiere. L’eccitazione è palpabile, l’emozione traspare dai gesti e dalle parole.
Mentre attraversiamo il parco che porta agli orti mi accorgo che i loro sguardi si attardano tra le chiome degli alberi, qualcuno appoggia le mani sui tronchi seguendo gli intrecci delle cortecce, alcuni sfiorano l’erba e avvicinano il naso ai fiori, qualcuno si ferma e ascolta quasi incantato il cinguettio che copre il rumore della città, due ragazze si prendono per mano e parlano fitto fitto.
Oggi, sorrido.
Penso alla difficoltà dei primi incontri quando intercettavo la noia sui loro visi, le provocazioni gestuali e le parole non dette, le occhiate furtive, il disinteresse verso qualsiasi proposta, la rabbia verso gli adulti, la rassegnazione ad essere considerati “quelli del quartiere”, la disillusione, la domanda a cui non sapevo rispondere “perché dobbiamo coltivare questo spazio, tanto questa notte qualcuno lo distruggerà?”.
Abbiamo setacciato la terra più e più volte, togliendo i mozziconi di sigaretta, la plastica accartocciata, le pagine strappate dai libri del vicino bookcrossing, i vetri spezzati delle bottiglie di birra, abbiamo conservato ogni rifiuto e ne abbiamo fatto una mostra con tanto di didascalie esplicative in italiano, inglese, arabo e cinese in rappresentanza di quattro delle lingue più parlate nella scuola. Abbiamo seminato, piantato e trapiantato. Abbiamo sostituito più volte le piante vandalizzate. Abbiamo dato un nome a piante insolite di cui non conoscevamo l’esistenza. Abbiamo coinvolto le famiglie nel raccontare gli usi in cucina delle aromatiche che in precedenza avevamo potato e curato: ne è uscito uno scambio di ricette dal sapore internazionale. Abbiamo pianto e ci siamo arrabbiati di fronte all’ennesimo episodio di vandalismo. Abbiamo sublimato la tristezza e il risentimento leggendo qualche pagina da Il giardino segreto:
“Ho rubato un giardino” disse concitata “Non è mio. Non è di nessuno. Non lo vuole nessuno, non interessa a nessuno, non ci entra mai nessuno. Forse li dentro è già tutto morto, non saprei”. Si sentiva accaldata e ancora più intrattabile e arpia di un tempo. “Non m’importa, non m’importa. Nessuno ha il diritto di togliermelo se io lo curo e loro no. Lo lasciano morire, è chiuso a chiave” concluse con rabbia, poi si nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere, povera piccola signorina Mary.
“Io qui non ho niente da fare” proseguì Mary. “Non ho nulla di mio. L’ho trovato da sola e ci sono entrata da sola. Ho fatto come il pettirosso, e loro non lo porterebbero mai via al pettirosso”.
“Dov’è?” chiese Dickon, a bassa voce. Mary balzò in piedi “Se vieni con me te lo mostro!” (….) “E’ questo”, disse. “È un giardino segreto, e io sono l’unica al mondo a volere che viva”.
Ed è così che, come la piccola Mary, noi abbiamo cominciato a credere che fosse possibile prenderci cura di uno spazio abbandonato. Sono stati gesti di cura il badare che alle piante non mancasse l’acqua necessaria, proteggendole quando era il caso, diradandole, rincalzandole, sostenendole e tutorandole, cimandole dove occorreva, liberando il loro spazio dagli oggetti infestanti.
Ecco perché oggi, mentre andiamo agli orti “dei grandi”, sorrido.
Quando arriviamo ci viene incontro una delle ortiste che si chiama Giovanna, ha un sorriso enorme, le braccia forti e una camicia a fiori. Ci racconta che gli orti sono nati su un terreno abbandonato e degradato, sono stati progettati e poi suddivisi tra famiglie che li coltivano da anni, ognuno ha il suo pezzetto ma che poi si aiutano tutti, si scambiano i semi, si danno consigli e suggerimenti, fanno turni per irrigare quando qualcuno è in vacanza o è ammalato. Ci sono fiori coloratissimi e piante cariche di frutta. Alcuni spazi sono ordinatissimi, un ragazzo dice “questo deve essere uno preciso, forse fa l’ingegnere”, altri sono invece disordinatamente creativi.
Giovanna ci accompagna nell’orto dove i ragazzi possono finalmente trapiantare i “loro” pomodori, zucchine, cetrioli, peperoni autoprodotti.
È stata una festa. Bella. Intensa. Vera.
Riattraversiamo il parco per tornare a scuola, i due ragazzi che mi camminano davanti parlottano fitto “sono sicuro che lì staranno bene” “si, Giovanna mi sembra una giusta, e poi mi ha detto che sa cucinare, farà dei bei sughi questa estate”.
Si fermano. Mi vedono. “Nico che dici? Abbiamo fatto un buon lavoro?”. “Si”, dico, senza riuscire a smettere di sorridere, anche se l’emozione mi stringe la gola, “siete diventati dei veri giardinieri”, “Dei dilettanti, vorrai dire!”.
Ci sono tante storie che riempiono i miei taccuini, quelle che germogliano ogni giorno negli orti dei nidi, delle scuole, delle case di accoglienza, quelle che crescono e prosperano nel campo delle possibilità e dell’immaginazione sconfinata. Producono fiori fantastici e frutti autentici. Hanno i volti dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che ho il privilegio di accompagnare, quello degli adulti che come me non smettono di sognare che esistono molti modi di amare la vita e averne cura.
Proprio come avere cura di un orto.