I libri a figure di Sergio Ruzzier
[di Martino Negri]
Nato e cresciuto a pochi passi dalla chiesetta delle lucertole, Sergio Ruzzier si è formato da autodidatta e ha pubblicato al principio degli anni Novanta del secolo scorso le sue prime strisce a fumetti. Si è quindi trasferito a New York, dove si è affermato come illustratore, collaborando con numerose testate, tra cui The New Yorker, The New York Times e Blab!, e maturando una lunga esperienza di insegnamento in prestigiosi istituti come la School of Visual Arts (2002-2012) e la Parsons The New School for Design (2003-2018).
Il suo interesse per racconti dove codice verbale e iconico dialogano nello spazio della pagina lo ha spinto verso una sempre più intensa e raffinata produzione di “libri a figure”, come lui stesso ama chiamarli, rimarcando l’importanza delle immagini come imprescindibile carburante del racconto, anche nei lavori non espressamente rivolti a lettori e lettrici in formazione.
Il mondo narrativo di Ruzzier è estremamente coerente da un punto di vista estetico, tematico e concettuale. I suoi albi, rigorosamente disegnati a china e colorati ad acquerello, sono pervasi da un’atmosfera inconfondibile, dovuta alla tecnica utilizzata così come a un preciso gusto, e sono popolati di animali umanizzati e altre creature di natura ancora più ambigua che vivono piccole situazioni narrative in cui il quotidiano si mescola all’extra-ordinario con prodigiosa naturalezza e dove il sentire dei personaggi è esplorato con fine sensibilità. Collocandosi in una linea genealogica che ha in Grandville e Beatrix Potter nobili progenitori, Ruzzier esplora e racconta le sfumature del sentire con efficace parsimonia di segni, accogliendo il magistero di altri giganti dell’illustrazione come Randolph Caldecott, padre della forma moderna dell’albo illustrato, e Maurice Sendak, che ebbe l’avventura di conoscere personalmente e di frequentare, dopo aver vinto, nel 2011, la Maurice Sendak Fellowship.
Momenti di gioia e tristezze, condivisioni e solitudini, timidezza e impertinenza, felicità, rabbia e malinconie sono elementi ricorrenti nei suoi racconti, rivelando un senso dell’infanzia profondo, intimo, per certi aspetti tragico, che trova nella centralità assunta dalle relazioni un luogo ideale di deposito e maturazione e nello schermo dell’animalità una gioiosa libertà d’espressione nel segno dell’umorismo, anche nero.
Colpisce la delicatezza rispettosa con la quale Ruzzier presenta le “avventure dell’animo” dei suoi personaggi, per usare la bella espressione con cui Leopardi si riferisce ai suoi idilli, ovvero il modo in cui si pone in ascolto dei loro desideri, emozioni, tormenti e speranze: risultano esemplari in questo senso il collezionismo di matrice benjaminiana esibito da Pius Pelosi in The Room of Wonders (2006) e la timidezza infine sconfitta da Amandina nel libro omonimo (2008), ma anche l’irresistibile e gagliarda vitalità dei protagonisti di Due topi (2016), che tradisce l’amore per la tradizione delle nursery rhymes, e la figura commovente del postino protagonista di Una lettera per Leo (2015), che vive nell’attesa e sarà infine premiato per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità verso gli altri esseri viventi coi quali condivide la sua semplice vita; né si può evitare di menzionare il ciclo di albi che hanno per protagonisti Fox e Chick, bambini teneri e terribili in veste d’animali, che testimonia d’un legame – mai spezzato – con l’universo del fumetto.
C’è qualcosa di profondamente poetico e gentile nel mondo verbo-visuale di Sergio Ruzzier, ma c’è anche l’ombra, l’inquietudine esistenziale, il dramma prodigioso dell’essere vivi e il mistero della fine, presente soprattutto – ma non solo – nelle opere non rivolte all’infanzia come Una vita d’artista (2010), Rimasugli (2014) e Pretesti (2018), dove le domande di natura esistenziale si annidano nei luoghi e nelle occasioni più diversi: pavimenti policromi, fiori maleolenti, ricordi d’infanzia.