Dopo la lettura di C'era una volta una bambina, che è stata apprezzatissima dai nostri lettori, Sonia Basilico torna su questo blog ad analizzare un altro libro. La ringraziamo per questa preziosa collaborazione.
[di Sonia Basilico]
Ecco un libro nato in primavera: Quando il sole si sveglia è un bel cartonato leggero, che permette al bambino di allenare la motricità fine, sfogliando pagine robuste sì, ma sottili e flessibili. È un’idea diffusa pensare che il bambino piccolo sia capace di maneggiare esclusivamente pagine spesse un dito. Non succede qui.
Attraverso le finestre che riquadrano ogni pagina, questo libro ci invita ad accorgerci del risveglio del mondo, ci incoraggia a uscire di casa, ad andare nella natura, a farne esperienza. Sole, luna, esseri viventi umani ed animali, sono qui elencati con pari dignità e ruolo, insieme a pochi, pochissimi oggetti. Non si parla di uccellini, fiorellini, pesciolini, cagnolini, gattini, ma di rondini, gatti, cani. Nomi precisi, nessun diminutivo. Si riconosce al bambino piccolo, a cui questo libro è destinato, il diritto a essere considerato degno di apprendere il mondo per quello che è, non nella sua rappresentazione semplificata, generica, abbagliante e spesso vuota di significato, che noi adulti decidiamo essere alla sua portata.
C’è a Rimini una grande scuola con un progetto educativo più che condivisibile, dove si invitano i bambini a chiamare ogni maestra col nome proprio: «Se tu mi chiami 'maestra' anziché Monica, è come se io chiamassi te 'bambino'», anziché Luca». Già.
Un’educazione al rispetto della diversità parte proprio da qui. Se chiudiamo il mondo in categorie generiche, così come d’abitudine facciamo noi adulti, non solo perdiamo la capacità di osservare le differenze, ma dimentichiamo quanto ci piaccia, quanto sia utile, conoscere esattamente le cose, le cose vere. Maestra richiama alla mente un’autorità generica, Monica è esattamente quella persona, con i suoi potenziali e i limiti, e questo ci permette un confronto costruttivo.
Se pensiamo che l’airone e il colibrì siano uccellini, non siamo più in grado di pecerpirne le peculiarità, di riconoscerne le diversità. Non possediamo il concetto, se non abbiamo la parola. «I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», ci ha insegnato il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein.
Dice Chatwin ne Le vie dei canti, un taccuino di viaggio che descrive il nomadismo aborigeno nell’Outback australiano: «L’uomo crea il territorio dando un nome alle cose. Le madri aborigene, quando notano nel loro bimbo il primo risveglio della parola, gli fanno toccare le cose della loro regione: frutti, foglie, insetti. Il piccolo le manipola, parla, impara il nome e lo ripete prima di buttarle in un angolo. Così prende possesso della terra. La terra deve prima esistere come concetto mentale. Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste.»
Ecco la chiave di volta di questo nuovo libro, indicato per quella fase della vita in cui il bambino inizia a nominare le cose, a nominare ciò che conosce, ciò che gli è stato raccontato e, soprattutto, ciò di cui ha fatto esperienza.
Ma quali sono le cose che noi adulti siamo in grado di “cantare”, quali le prime parole che il bambino ascolta da noi, quali i concetti più familiari che racchiudiamo nei libri per piccolissimi? I cartonati pullulano di cose, cose domestiche, per lo più, la palla, i giochi, il ciuccio, il biberon, la cameretta, qualche essere vivente c’è, la mamma e il papà, poi il cagnolino (con collare), il gattino (con la ciotola del latte), l’uccellino, e via così, in un susseguirsi di –ino senza fine. E al centro di tutto, il bambino, rinchiuso, letteralmente, in un microcosmo domestico, divinità assoluta, cui tutto è riferito. Cose: in questo noi adulti siamo grandi oratori.
Ma quanto raccontiamo ai piccoli del mondo fuori casa? Quanto tempo dedichiamo a nominare, meravigliarci degli altri esseri viventi liberi, quanto ci soffermiamo, quando siamo a spasso col bambino, a osservare i fenomeni della natura? I bambini d’oggi sono spesso analfabeti di esperienza, così come lo siamo noi. Eppure la responsabilità di nominare il mondo è la nostra. «Io dico per te luna, io dico per te sole», dice Tognolini in una sua bella filastrocca, affermando con forza l’importanza della voce e del rapporto di conoscenza che da questa scaturisce.
Ecco un libro che ci aiuta a rientrare in contatto, a vedere e a nominare il mondo esterno. Un libro incoraggiante, dunque, che ci indica la rotta. Ci sono libri che arrivano e cambiano il nostro modo di pensare.
Durante una lettura.
La narrazione inizia in copertina, prima tavola del libro, e si conclude, in un ritmo circolare, con il piatto inferiore, speculare al superiore nella rappresentazione iconica (sole e luna sono due parti di una stessa faccia), e complementare nel significato: un’affermazione in apertura rimanda a una domanda, in quarta di copertina, domande e risposte, un invito al dialogo. Via i risguardi, un soggetto per pagina con il testo in calce, una sola riga, soggetto e predicato, immagini realizzate con una texture vintage, tutte incorniciate allo stesso modo.
La prima metà del libro descrive la vita diurna dei protagonisti, poi la narrazione s’inverte ed ecco i medesimi soggetti descritti nella vita notturna. Un libro semplice, un progetto chiaro. Semplice, non semplificato.
Qui non c’è un generico uccellino, c’è la rondine, e allora naso in su, scrutiamo quel che accade sotto i tetti, in primavera, dove sono i nidi delle rondini, cerchiamoli, descriviamo al bambino quella coda biforcuta, quel nero lucido, quel volo nervoso fatto di picchiate e virate, insegnamo a riconoscere, e impariamolo anche noi, con lui. Ma quella rondine, ferma sul filo al tramontar del sole, che cosa osserverà nella notte? La volta celeste pullulante di stelle, le costellazioni. E allora usciamo in un dopocena primaverile, andiamo in un luogo poco illuminato, lontano dai lampioni, fra poco sarà estate, arriverà la notte di San Lorenzo, sediamoci, anzi, sdraiamoci in un prato e osserviamo le stelle, diamo un nome alle forme delle costellazioni, cerchiamo il carro maggiore, poi la stella polare, le stelle cadenti, incantiamoci, impariamo, insegniamo, cantiamo il mondo. Poi, a casa, prendiamo carta nera, pastello bianco e riproduciamo quei puntini, uniamoli a scoprire, immaginare, inventare forme e disegni.
E quando il fiore si chiude? Sta per arrivare la notte.
Uno dei grandi irrisolti del bambino molto piccolo è la paura di non ritrovare più, al risveglio, il mondo che ha lasciato, cedendo al sonno. La natura fornisce ai bambini un maggior senso di paura rispetto a quella che ne conserviamo noi adulti, questo perché loro, più indifesi e con minori esperienze, hanno bisogno di un elemento di protezione in più. Noi adulti fatichiamo a spiegare tecnicamente il ritmo circadiano, forniamo rassicurazioni emozionali e astratte, spesso inadeguate al livello di comprensione di un bambino piccolo: ci sono mamma e papà vicino a te, niente può succederti.
Ma se il bambino, alzando gli occhi verso il mondo esterno, capisce cosa succede al levar del sole, cosa succede al fiore, al gallo, al gatto, al pesce, alla casa e non solo a lui, allora capirà che il risveglio riguarda tutti, tutti gli esseri viventi ritrovano il proprio posto nel mondo ogni mattina, uno vicino all’altro, non è lui il solo a dover verificare se ogni cosa è al posto giusto. Ma allora anche quando il sole tramonta, non è lui solo a dover fare i conti col buio, con l’incognita del risveglio.
Questo bel libro, allontana il bambino dal mondo egotico, lo pone al fianco di tutte le altre creature, avvicina le sue paure a quelle di tutti gli abitanti del pianeta, ridimensiona l’importanza delle sue scoperte e dei suoi progressi nel mondo, affiancandole a ciò che succede ad altri.
Quante margherite vediamo in primavera nei nostri prati? All’imbrunire, facciamo notare al bambino che i fiori si sono chiusi, e che questo evento anticipa l’arrivo della notte. Questo crea un’attesa densa di consapevolezza, riempie di nuovo significato un cambiamento fino ad allora inspiegabile. Prendiamo una pila, usciamo in giardino quando è già buio, cerchiamo quella margherita che abbiamo visto chiudersi poco prima, esploriamo i fili d’erba, le cortecce degli alberi.
Affianchiamo a questo libro la lettura di Flashlight di Lizi Boyd, Chronicle Books, un silent book, premiato quest’anno al Bologna Ragazzi Award, per ora reperibile solo in edizione estera: qui un bambino esplora il buio con la pila, pagina nera, unico tocco di colore il fascio di luce. Scopre alberi, frutti, animali. Ma poi anche gli animali, entrati in possesso della torcia, sfuggitagli di mano, esploreranno il bambino, elemento di paura per loro. Anche qui, la paura riguarda tutti e si vince con la conoscenza reciproca.
Avevamo già visto un bell’albo, Bottoni d'argento di Bob Graham, EDT, raccontare come ogni fatto straordinario nella vita di un bambino, si affianchi ad altri mille accadimenti, più o meno eccezionali che avvengono intorno a quello stesso bambino, ogni giorno, nel mondo.
Un recente esempio, non ancora tradotto in Italia è El mundo en un segundo di Isabel Minhós Martins e Bernardo Carvalho, Planeta Tangerina, racconta atraverso le immagini, tutto ciò che accade nel mondo in uno stesso secondo. Queste letture, destinate alla prima infanzia, incoraggiano a concederci il tempo per osservare e valutare il nostro essere in relazione agli altri.
Un libro come Quando il sole si sveglia aiuta a crescere rispettati e a rispettare, a pretendere di capire e ad esigere spiegazioni, le sue belle immagini dal sapore antico ci dicono che non serve abbagliare con colori primari e saturi, tinte fluo o glitter, serve capire, ci invitano a pretendere che ci sia qualcosa oltre all’apparenza, queste belle pagine dicono che la parola è sacra, meravigliosa, e se l’avremo ascoltata, sperimentata e capita fino in fondo, beh, allora, il mondo sarà la nostra casa, sapremo dominare la paura dell’ignoto.
Allora saremo in grado, ad esempio, anche fra queste righe, di cogliere un’imperfezione: capiremo dunque che quel “il fiore sboccia” non è legato consequenzialmente a “quando il sole si sveglia”: un fiore non sboccia necessariamente al levar del sole, ma quando il suo potenziale di crescita avrà raggiunto uno stadio di cambiamento, e questo può avvenire al mattino o al pomeriggio, persino la sera o di notte. Sapremo che un fiore sboccia una sola volta, poi a sera si chiude, e il giorno dopo e tutti i giorni fino alla sfioritura, quel fiore si aprirà, non sboccerà più... Ma questo lo potremo affermare senza timore solo quando di una sbocciatura avremo fatto esperienza, quando avremo trovato sul nostro cammino qualcuno che quella sbocciatura ci avrà mostrato e raccontato.
E da allora in poi, non lo dimenticheremo più, e saremo persone più forti.
Un libro, questo, che traccia una strada per superare un mondo fatto di oggetti, perchè, come dice ancora una volta Chatwin: «Oggi più che mai gli uomini devono imparare a vivere senza gli oggetti. Gli oggetti riempiono gli uomini di timore: più oggetti possiedono, più hanno da temere. Gli oggetti hanno la specialità di impiantarsi nell’anima, per poi dire all’anima che cosa fare.»
Partiamo da qui, le vacanze sono alle porte, infiliamo questo bel libro nella borsa e usciamo, osserviamo, nominiamo, poi la sera, ricordando quanto abbiamo visto, così come fa il bambino nella doppia pagina finale del libro, riviviamo in un sonno sereno e creativo tutte le esperienze diurne. E il mondo sarà migliore. Per tutti, adulti e bambini insieme.