Dove andranno le figure?

Il numero 40 di Hamelin, Dove andranno le figure?, è completamente dedicato agli albi illustrati. Una buona scelta perché riflettere in profondità sul tema, in un settore editoriale in cui dopo quindici anni tanto è cambiato, è necessario. Mentre leggevo i diversi contributi, ho pensato che avrei scritto le mie impressioni in proposito per il blog Topipittori, perché naturalmente ci siamo sentiti coinvolti. Fra tante altre cose da scrivere e da fare, finora non ci sono riuscita. Lo faccio ora, ma mi limiterò però a poche riflessioni, che poi sono le prime che ho fatto, a caldo, e che in seguito, a una seconda lettura del numero, non sono cambiate di molto. Naturalmente ci sarebbe tanto più da dire, data la quantità di spunti e di temi emersi.

Con parecchie cose che ho letto non sono d'accordo, con altrettante invece concordo, ma non è questo il punto. Consiglio a tutti la lettura della rivista, perché a mio avviso sotto un preciso aspetto  più di tutti è interessante: vale a dire più che fare il punto sulla situazione, mi è parsa uno specchio fedele degli approcci e degli atteggiamenti, dei giudizi e dei pregiudizi, delle idee e dei luoghi comuni che sul tema circolano nel nostro ambiente da alcuni anni a questa parte. Da questo punto di vista mi sembra un punto di partenza buono e necessario per ulteriori confronti.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

Il numero si apre con un pacato e ragionato intervento introduttivo di Ilaria Tontardini, Dove andranno le figure?: una breve cronaca su quanto accaduto negli ultimi quindici anni nel settore dell'editoria dedicato agli albi, che si chiude con alcune domande sui cambiamenti intervenuti e sullo stato attuale delle cose. Fra queste, due salienti: la prima riguarda la quantità di libri illustrati inutili e di basso livello che si sono riversati sul mercato a fronte del successo del genere; la seconda riguarda le tendenze del mondo dell'illustrazione, esposto a una conformità modaiola che inficia l'originalità e la sperimentazione dei linguaggi.  

L'intervento successivo, Impasse, è di Fabian Negrin: molti l'avranno letto perché è stato condiviso sul blog di Fumettologica e poi è girato parecchio su Facebook sollevando un dibattito abbastanza acceso. Negrin riprende le questioni lasciate aperte da Ilaria Tontardini, e per quanto mi riguarda se si può essere d'accordo sulle premesse, non lo si può essere altrettanto sull'analisi del cambiamento avvenuto e dello stato presente. Per quanto risulti evidente che si tratta di un pezzo volutamente provocatorio, rimane che molte affermazioni su cui poggia sono a mio avviso prive di sufficienti argomentazioni.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

A titolo di esempio porto quattro passaggi del testo, opinabili: 1) che quello che nell'articolo viene chiamato “il moderno”, con la sua eredità conseguente rappresentata fra gli altri dai citati Munari e Iela Mari, oggi sia inservibile, mi sembra nient'altro che un'opinione personale, anche solo sulla base di quanto si osserva accadere in tutto il mondo nei libri e nel lavoro di tanti bravi autori (su 'realismo' e 'moderno', fra l'altro, Lionello Venturi e Matteo Marangoni hanno espresso idee più innovative in scritti famosi degli anni Cinquanta); 2) che l'unica scuola di illustrazione e di narrazione degna di essere seguita sia quella del “realismo” e dei maestri anglosassoni, è anche questa un'opinione, dal momento che, in mancanza di una argomentazione solida, si può legittimamente affermare il contrario senza tema di essere smentiti; 3) che l'incapacità di disegnare dei giovani illustratori e di scrivere degli autori sia un problema legato al predominio di stili “facili” importati dalla Francia e sarebbe risolto da un ritorno al realismo, mi pare un travisamento: l'incapacità di disegnare è un problema di formazione che non ha nulla a che vedere con il linguaggio visivo che in seguito si deciderà di utilizzare, vi sono illustratori che disegnano in modo 'realistico' senza saperlo fare, e storie con strutture tradizionali ispirate ai picture book americani scritte con i piedi; fissare un modello, attribuendogli fideisticamente la salvezza, oltre a non servire a nulla, limita la comprensione del problema; 4) che il fallimento degli editori e autori di libri illustrati italiani sia sancito dal fatto che libri di loro produzione non sono mai entrati nelle classifiche dei libri più venduti, mi sembra una boutade, ma dal punto dell'utilità nell'ambito del discorso critico è, oltre che nulla, pericolosa e fuorviante. Discorrere di vendite e mercato, trascurando la complessità del tema e le sue infinite variabili, economiche e culturali, è una semplificazione che, al di là di un facile effetto, è priva di qualsiasi utilità.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

Infine, a proposito di ciò che intendo con discorso privo di sufficienti argomentazioni faccio un esempio per tutti: è privo di fondamento stabilire che il 'realismo' sia più adeguato ai bambini del 'moderno', operando un confronto fra Roberto Innocenti e Anne Herbauts, dal quale uscirebbe vincitore Innocenti, sulla base dell'ipotesi che qualsiasi bambino preferirebbe disegnare come lui piuttosto che come l'illustratrice belga. Sarebbe come dire che siccome nel mio condominio ipotizzo che a tutti piacerebbe disegnare più come Raffaello che come Picasso, Cinquecento vince su Novecento 1-0. Penso che una simile riflessione sdogani modalità di ragionamento che in un confronto critico corretto non dovrebbero trovare spazio. Appellarsi al gradimento del pubblico infantile (tanto più se ipotetico, non suffragato da nulla), è un escamotage già abbastanza praticato nel nostro settore, sostenuto da esperti e dilettanti in pari misura. Per quanto mi riguarda vorrei non dover più ascoltare simili affermazioni, se non in sede di chiacchiere. Ricevo centinaia di proposte di nonne, maestre, mamme (e qualcuna di nonni, maestri, padri) che a sostegno della bontà dei propri scadenti testi dichiarano il successo ottenuto presso i bambini a casa o a scuola, nella totale inconsapevolezza delle infinite variabili che determinano una situazione simile. Ricordo che Roberto Denti, qualche hanno fa, mi raccontava irritato di aver ascoltato centinaia di volte la stessa argomentazione.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association



Impasse è speculare a Il segno più contenuto ha più contenuto. A cena con William Wondriska, Remi Charlip, Bob Gill, di Massimiliano Tappari che nel suo articolo sostiene esattamente una posizione antitetica a quella di Negrin, ma in una tonalità decisamente non provocatoria e con il dovuto relativismo. È in direzione dell'eredità del “moderno” che va l'attenzione di Tappari, corretto ad argomentare le proprie predilezioni personali e a mettere in luce, affermandolo fin dal titolo, il valore dei libri citati, figli di una ricerca sperimentale sull'albo che ancora non solo non si è esaurita, ma continua a fare scuola.

Nello stesso modo, l'articolo di Luigi Raffaelli e quello di Alessandro Gottardo mi sono apparsi speculari. Luigi Raffaelli in Sotto e sopra la superficie dell'immagine parte dal presupposto della necessità di ristabilire il fondamento e il valore etico dell'illustrazione (dove etico si riferisce al rapporto dell'illustratore con le immagini e al suo ruolo di produttore di immagini), illustrazione che deve essere, prima di tutto, onesta e veritiera, e porta come esempio i maestri incontrati durante il proprio periodo formativo: Negrin, Scarabottolo, Mattotti, Toccafondo, Mulazzani, Spider; Alessandro Gottardo si concentra, invece, sulla definizione del mestiere di illustratore, tratteggiato come professione rigorosa che richiede, anzitutto, competenze operative a 360 gradi, che vanno da una impeccabile formazione tecnica, a una ottima preparazione culturale, a una ineccepibile capacità di gestione delle relazioni professionali, a una professionalità matura nella valutazione dei propri limiti e dei propri punti di forza.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

Il singolare sviluppo dell'albo francese, di Sophie van Der Linden, è un intervento equilibrato, e competente che traccia la storia dell'evoluzione di un genere editoriale partita dieci anni fa in terra francese, quando l'albo era “ancora largamente dominato dal modello dell'albo narrativo di tradizione anglosassone”. La maggiore studiosa francese di albi illustrati passa in rassegna, editore per editore, le linee guida di una produzione variegata e complessa, mettendo in luce stili, tendenze, autori, illustratori. Il suo merito è quello di tratteggiare un panorama esaustivo e complesso di un territorio sfaccettato, riuscendo a guidare i non esperti nell'identificazione dei principali filoni di ricerca editoriale. Molto apprezzabile è la capacità di Van Der Linden di mettersi in prima istanza al servizio dell'informazione e del lettore.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

Leggendo questo articolo, mi sono chiesta come mai non si sia pensato di ospitare un intervento analogo anche per il panorama italiano. Un pezzo dedicato all'analisi di quanto è successo in questi quindici anni, al di là dei giudizi di merito e delle idee, dei gusti e delle posizioni personali sul tema. Una descrizione puntuale che riportasse nomi, numeri, dati, date, cioè tutte quelle informazioni che la gran parte delle persone non conosce perché rimaste implicite nei libri e nel lavoro degli editori e degli autori, ma che sono il necessario fondamento di qualsiasi discussione. Valga per tutti un dato: dal 2013 gli editori italiani di libri per ragazzi hanno venduto all'estero più di quanto abbiano comprato, e questo successo dei libri italiani riguarda in particolare proprio gli albi illustrati. Si può non fare accenno a questo in un discorso a loro dedicato? Oltre a questo mi sarebbe piaciuto leggere qualcosa, per esempio, sul ruolo della critica e delle scuole in cui si formano gli illustratori, perché a mio avviso entrambe hanno avuto e hanno un peso nel determinare la qualità, scarsa o buona, di quello che poi riscontriamo sugli scaffali delle librerie.

Il numero di Hamelin comprende poi altre voci interessanti (Guido Scarabottolo, Sergio Ruzzier, Anke Feuchtenberger, Stefano Ricci, Simone Sbarbati), ma che tuttavia sono concentrate sul lavoro e la figura dell'illustratore e che a proposito del discorso sugli albi poco aggiungono.

Histoires à emporter © 2014, José Parrondo & L’Association

Per concludere, mi permetto una riflessione generale sul tema, a partire dall'articolo di Van Der Linden di cui mi ha colpito la disposizione matura e aperta nell'osservare quanto accaduto in Francia in questo settore: una curiosità analitica verso il cambiamento tesa alla comprensione e scevra di diffidenza.

Un approccio da cui a mio avviso abbiamo da imparare in un Paese in cui il cambiamento è vissuto sempre con difficoltà e tensione, accolto da vampate iniziali di entusiasmo, finché si tratta di un fenomeno circoscritto, marginale e controllabile, ma osteggiato da rifiuti, insofferenze, ritorni a posizioni datate e superate, quando si manifesta in tutta la sua portata.

Il cambiamento tuttavia, è noto e inevitabile, porta sempre con sé una quota ineliminabile di 'sporco' e disordine: la rotture di equilibri, schemi, il rivolgimento di significati noti, la nascita di nuovi fenomeni, modi, estetiche travolge ogni cosa creando una confusione in cui è difficile orientarsi, comprendere. Avvicinare questa materia opaca e caotica in costante movimento è difficile, prima di tutto perché gli strumenti critici che ci supportano nella lettura dei fenomeni quando i fenomeni manifestano una novità assoluta risultano inservibili.

Compito della critica dovrebbe essere allora anzitutto mettere a punto strumenti nuovi di valutazione e analisi, a partire da quanto si manifesta senza sovrapporre griglie di pensiero fuorvianti. Altrimenti il rischio è scambiare il proprio giudizio sulla realtà per quello che in molti casi è solo un vuoto di strumenti interpretativi. Se da una parte questo è inevitabile (soprattutto quando a uno scontro di culture si accompagna uno scontro generazionale, vedi la polemica reazionaria di qualche anno fa di Etienne Delessert, rivoluzionario illustratore degli anni Settanta, a proposito delle nuove tendenze dell'illustrazione), dall'altra credo debbano essere impiegate risorse ed energie affinché questo non accada. Il pericolo, vistoso, è creare un ambiente ostile alla formazione di un terreno accogliente e fertile affinché il cambiamento, con quanto di buono ha portato, trovi modo di crescere, maturare e dare frutti.

La Porte © 2010, José Parrondo & L’Association

Nell'ambito del nostro settore, lo rammento, questo è già capitato con la Emme Edizioni di Rosellina Archinto: un lavoro di vent'anni la cui eredità si è persa a causa della limitatezza di vedute di un settore non preparato a comprenderlo e sostenerlo. Facciamo in modo che questo non ricapiti, non perdendo altro tempo, facciamo in modo che quanto è stato fatto in questi quindici anni di severo e rigoroso lavoro, pur con tutti gli errori commessi e con i miglioramenti e gli aggiustamenti che si mostrano necessari, trovi il modo di arrivare, attraverso la collaborazione di tutti, a un pubblico sempre più ampio e, per fortuna, interessato ai libri illustrati di ultima generazione, quando ha modo di incontrarli, apprezzarli e leggerli.

Ringraziamo la redazione di Hamelin per averci concesso la pubblicazione delle immagini di Histoires à emporter  di José Parrondo & L’Association.

La Porte © 2010, José Parrondo & L’Association