[di Antonio Cornacchia]
Awand è una nuova, piccola rivista a tiratura limitata dedicata alle arti e alla creatività. Pubblicata ogni tre mesi a partire da settembre 2021, sarà disponibile in alcune librerie selezionate in tutta Italia (che trovate qui) e per abbonamento (qui).
Ma cosa vuol dire Awand? È una ‟parola-gioco” come Dada, adottata da Tristan Tzara più di cent’anni fa per il suo movimento? È una parola inglese o africana? Sì, è decisamente un gioco, come altrimenti considerare l’uso di una parola del dialetto barese per una rivista nazionale? Awand significa letteralmente agguanta, acchiappa, ma viene usata più spesso figurativamente per dire fai attenzione. Ecco, questa rivista dice fai attenzione alle arti e alla creatività, dedica loro un po’ del tuo tempo, senza distrazioni. Per questo nasce su carta, con un formato quadrato e con un numero di pagine, sessantotto, che ci è sembrato abbastanza. Abbastanza da poter accogliere cinque o sei interviste approfondite (lunghe quanto un paio di paginone di quotidiano ciascuna), un portfolio fotografico, uno di illustrazioni e una monografia poetica, il tutto da leggere e guardare in tre mesi, una stagione, con calma e attenzione.
L’abbiamo immaginata e impaginata proprio così anche graficamente, senza fronzoli, rinunciando ai box, ai titoletti, ai virgolettati: apri la rivista, scegli l’artista e per quattro o cinque pagine non pensare ad altro che a quanto ci ha risposto. Pretenziosi? Forse un po’, più che altro abbiamo pensato di fare quello che ormai non fa quasi più nessuno: approfondire senza sprofondare nella saggistica specialistica. Awand è una rivista dedicata a tutte le arti e a tutti gli ambiti in cui la creatività riesce a fare la differenza, il che vuol dire che le interviste vedono rispondere musiciste, film maker, fotografe, scrittori, poetesse, disegnatori, fumettiste… tutte quelle persone che giocano con la creatività nel loro lavoro. Proveremo, attraverso le loro risposte, a capire come e soprattutto perché lo fanno.
«Perché?», la domanda con cui i bambini ci ossessionano quando la loro fame di conoscenza straripa. Su Awand, come i bambini, rivendichiamo il diritto di chiedere anche in maniera ingenua ad autrici e autori perché scrivono, dipingono, cantano, suonano, filmano… Si dà per scontato che lo facciano e a volte, forse, si perde per strada il senso di questo fare. Il linguaggio sarà aperto, evitando il gergo autoreferenziale, per iniziati, che spesso è il limite delle riviste di settore. I contenuti, anche complessi, saranno proposti in modo semplice. La profondità sarà sondata con leggerezza. Semplice e leggero, non banale, né superficiale. E nemmeno facile. O almeno ci proveremo, il progetto editoriale è ben definito ma non granitico, affineremo metodo e contenuti strada facendo, i suggerimenti di lettrici e lettori saranno benvenuti.
Come scegliamo chi intervistare? Qui si accende una lotta fra due attitudini in cui comunque ci riconosciamo, fra lo spirito da fanzine e quello da consumati professionisti dell’informazione e della cultura; qui scoppia insomma una battaglia fra il terrore della nicchia e quello del mainstream più prevedibile; uno scontro per trovare l’equilibrio fra interessi e passioni personali e la rilevanza di autrici e autori. Intervistiamo artisti e artiste che stimiamo o che ci incuriosiscono, che seguiamo da sempre o che scopriamo insieme a chi ci legge; per fare degli esempi e annunciare il primo numero: non solo Altan, Scarabottolo, Casiraghy, De Capitani e Pellegrino ma anche Zanchetta, Eramo e i Fratelli Mancuso, nomi forse meno noti ma non per questo meno interessanti, anzi.
Questo su sessantotto pagine di carta con uno spirito che ci accomuna a chi pubblica, colleziona e ascolta i dischi in vinile: un po’ artigianale, un po’ vintage, un po’ curioso, e —ammettiamolo — un po’ feticista. Ci piace l’idea che questa sia una rivista da cercare in libreria, che sia da toccare, sfogliare, conservare; che sia un oggetto fisico, che la sua carta usomano venga toccata, annusata, sottolineata.
Awand è anche un sito in cui, con altrettanta cura, confluiranno gli extra (i video, gli audio e quanto sulla carta non funziona) e altri contenuti, materiali dai nostri archivi personali, interviste più veloci e rubriche come quella dedicata ai Lemuri. I Lemuri sono il contrario dei coccodrilli, cioè di quegli articoli che i giornali hanno nel cassetto pronti per quando qualche persona famosa muore. I Lemuri sono invece un esercizio per immaginare personaggi che nasceranno, le loro gesta, le loro opere, le loro vite. Un esercizio un po’ apotropaico e un po’ di auspicio, perché una rivista stampata ha un sapore antico, certo, ma Awand guarda decisamente in avanti, nella direzione indicata da due che consideriamo un po’ i nostri numi tutelari, Munari e Rodari. Gioco, consapevolezza e fantasia.
«Ogni volta che ti guardo / sei tu che mi apri gli occhi» è l’apertura di Ogni volta, meraviglioso libro di Silvia Vecchini e Daniela Tieni che i lettori e le lettrici di questo blog conosceranno bene. Lì è una mamma o un papà a rivolgersi alla creatura che ha messo al mondo, su Awand siamo noi che intervistiamo, insieme a chi legge, a rivolgerci a chi rende più preziose e interessanti le nostre esistenze: artiste e artisti che con le loro opere ci aprono gli occhi, la mente e lo spirito.