[a cura di Antonella Abbatiello e Bruno Tognolini]
IL LIBRO
Lo scrittore Bruno Tognolini e l’illustratrice Antonella Abbatiello, in quest’opera, hanno lasciato il loro cerchio di luce per avventurarsi in zone ignote, ciascuno per conto suo e l’una con l’altro.
L’una con l’altro, prima di tutto, ribaltando i ruoli consueti: non è l’illustratrice che legge i testi per dar loro visioni, ma lo scrittore che guarda le figure per dar loro parole.
Non era la prima volta: già l’albo Maremè (Fatatrac) era nato così nel 2007. Ci riprovano tredici anni dopo, nel 2020. Abbatiello lascia il cerchio di luce delle sue opere attuali, con la loro temperie di stile e segno e sogno del mondo, e “scende in miniera” nel buio dei suoi archivi. Propone a Tognolini una scelta di tavole inedite, create per pubblicazioni o mostre fra venti e trent’anni fa. E quelle che emergono dalle miniere son scene scure, drammatiche, narrative: “fiabe nere”, le chiamerà Gardini.
LA DISTRATTA
L’essenza mi è fuggita fra le dita
Persa in cieli distanti, indifferente
E nella vita ho corso avanti senza
Capirci niente
Stavo attenta, in ascolto, stavo attenta
Sentivo il canto chiaro del creato
Mi voltavo a guardarlo: troppo lenta
S’era spostato
Ero paziente, mite, silenziosa
Camminavo i miei giorni sorridendo
Come sorride chi non sa bene cosa
Sta succedendo
Guardavo il mondo come un cane il suo padrone
In ansia di capire cosa pensa
Delirio calmo dell’interpretazione
Attesa densa
L’amore è stato un sogno indecifrabile
I figli visi cari ma lontani
Tutto il resto un disegno inafferrabile
Fra le mie mani
E le cose sfumavano i contorni
I paesaggi slittavano di scatto
Le stagioni stingevano nei giorni
Di un anno astratto
Non sono matta, la sento, la indovino
L’armonia della vita, intensa, intatta
Forse ci son passata anche vicino
Ma ero distratta
Ho proseguito, su quella via che porta
Sempre appena più in là di ciò che vedo
E infine a un certo punto sono morta
Almeno credo
LA TORRE
I miei giorni son cani impazziti
Io non ho mai amato nessuno
Le stagioni deserti
Giardini appassiti
E sconcerti e tormenti e digiuno
Sono il re che non ride
Il re disperato
La mia vita mi uccide
Il tempo è bruciato
La noia mi esaspera
Senza respiro
Dispero dovunque mi giro
Pure sotto le falde del male
Nell’inverno di ogni scontento
Vidi un giorno un barlume
Un brillare di lume
Uno scarno tardivo portento
Occhieggiava incredibile – io lo sapevo
Una cosa impossibile – io la volevo
Ad ognuno invisibile – io la vedevo
Sotto il danno, il malanno, la noia
Una piccola strana tranquilla
Scintilla di gioia
E io allora ho rizzato la torre
Per difendere dalla sciagura
Per murare di roccia
Ferrare di sbarre
Laggiù quella goccia futura
L’ho protetta con tutte le arti
E da allora, da qui alla mia morte
Ora guardo a vedetta
Da tutte le parti
Ora veglio da tutte le porte
Il mio abbaglio di gioia mi aspetta
Sotto pietra su pietra laggiù
La scintilla perfetta
Promessa tenuta
Mia tanto protetta
Mia tanto voluta
Che non l’ho veduta mai più
Il poeta guarda e interroga quelle figure, in attesa che gli parlino, gli dettino. Lo sguardo attraversa gli strati di senso che affondano concentrici giù nel buio di ogni opera viva. Ciò che trova e porta alla luce, alla fine del tuffo, sono versi ancora scuri e narrativi. Rime e storie che lo portano lontano dal suo cerchio di luce consueto: le forme lucenti di gioia del mondo della sua poesia per i bambini.
Il risultato di queste spedizioni, solitarie e condivise, è Rime Buie: un libro che canta e mostra, in rime battenti e scure come vecchie ballate celtiche, e in figure che accendono visioni di notti millenarie, diciotto umane vicende di sciagura.
Verso un barlume, forse, in fondo al buio: il lumicino in fondo al bosco delle fiabe. Difficile da scorgere, come «è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire» – canta Battiato. Ma lo incoraggia Leonard Cohen: «C’è una crepa in tutte le cose: ed è da lì che entra la luce».
L’ANGELO
Sono l’angelo buio, avvelenato
Dalla tenebra
Che sempre ti ho lavato
Sono l’angelo soldato, taciturno
Sono addestrato
Nel volo notturno
Sono l’angelo scrivano, il messaggero
Lascio una scia
Di canzoniere nero
Volo dentro le vene del tuo buio
Io son la penna
Tu sei il calamaio
Nel buio che c’è dentro il cuore vostro
Io son la penna
Lui è l’inchiostro
Le mie ali sono carta temeraria
Scampate al fuoco
Campate in aria
Sono filo di salvezza anche per te
Io dico il buio
Lui non dice me
Una battaglia di cui l’angelo è degno
Tu mi cancelli, buio
Io ti disegno
Per mille secoli la lotta è una soltanto
Mi ammutolisci, buio
E io ti canto
Tu mi consumi, ma io resto vivo
Se tu mi bruci, buio
Io ti scrivo
L’inchiostro è nero, ma la carta è bianca
Vieni tenebra
Vediamo chi si stanca
L’ISOLA
Sei arrivato sull’isola
Da dove non si parte
Una pietra di nuvola
Ferma nel vento forte
Una terra matrigna
Intrisa goccia a goccia
Con alghe nella vigna
E mare nella roccia
Una luce di sonno
Su ricordi imprecisi
Con la pace del danno
Impietrita nei visi
Una pietra che vive
Nutrendosi di vite
Di sostanze cattive
Di speranze finite
I suoi abitanti danzano
Nel grande sole estremo
Senza parole cantano
« Un giorno partiremo »
Il vento fa stramare
Il canto e lo confonde
Loro guardano il mare
E contano le onde
E l’isola li abbraccia
È lì sempre la stessa
Volge a loro la faccia
Di terra compromessa
Nipoti di pirati, dice
Fantasmi marinai
Non siete mai sbarcati
Non partirete mai
LE SCALE
Fu allora che vidi le scale
Che portano in cielo
La vita era lago di sale
Era fango di gelo
Un soffio dorato di brezza
Aprì uno spiraglio nel male
E fu la salvezza
Fu allora che vidi le scale
Non era né indietro né avanti
La via della vita
In corse e cammini fiammanti
Cercavo l’uscita
La favola di cui ti fidi
La nuvola di cui t’incanti
Ma quando la vidi
Non era né indietro né avanti
La via dell’uscita era in alto
La vita era in su
Tracciata in quel cielo di smalto
Nel sempre di più
Le belle utopie dell’altezza
Apparvero in un soprassalto
E fu la certezza
La via dell’uscita era in alto
E presi a salire le scale
Mio nuovo cammino
Non vidi il tranello mortale
Ogni nuovo gradino
La scala del cielo infinita
La luce diritta che sale
Lasciai la mia vita
E presi a salire le scale
E ora sono troppo avanti
Per tornare indietro
E ancora sono troppo indietro
Per giungere in cima
Non ho più la forza di prima
Gli uomini sono distanti
Il buio è più tetro
E ora sono troppo avanti
LA MOSTRA
La mostra sfoglia e sparpaglia quest’Opera al Nero in giro per la Libreria del Palazzo delle Esposizioni (Instagram, Facebook). E il libro buio, come persuaso da tutti quei libri fratelli, si scioglie, si apre e si mostra: grandi pannelli riproducono le sue pagine, figure e versi; teche mostrano gli originali delle illustrazioni.
Ma la mostra fa di più. Si dice spesso, al giorno d’oggi 'mostra immersiva', e questa volta l’immersione è letterale. Il libro non si limita ad aprirsi, ma si rende per barlumi trasparente, offrendo in mostra i primi brevi scorci degli infiniti strati sottostanti. Le fonti di ispirazione dei due autori, le poche di cui sono consapevoli, affiorano dal buio oltre la pagina, dove lo sguardo del lettore non arriva, e appaiono in mostra. Come ha scritto qualche giorno fa Simone Di Biasio su Minima et Moralia a proposito di questa esposizione: «Lo spazio della libreria in cui il libro si mostra, l’illustrazione si illumina e la parola si disegna diventa la dimora ideale in cui rintracciare ancora altri fili, perché rintracciamo anche alcune fonti letterarie del poeta. Ma i fili più visibili sono quelli delle aderenze artistiche, delle influenze pittoriche, come quelli della pittura fiamminga o di Adolphe Appia, scenografo svizzero alla cui fonte Abbatiello si è nutrita copiosamente.»
Non temono i due autori, svelando i fili nascosti, il disincanto? No, per nulla. Come i marionettisti che alla fine dello spettacolo levano i veli di fondali e quinte, e il pubblico vede i fili, e dalle bocche nascono gli “Oh!” di un nuovo incanto. I fili d’arte sono vene di maestria, che legano ogni opera a ogni altra. Vedere che la ragazza ha gli occhi del nonno non la rende ai nostri occhi meno bella. E quando i marionettisti svelatori caleranno di nuovo i veli, Orlando riprenderà a piroettare più vivo di prima, i fili nuovamente spariranno, e il canto della poesia tornerà incanto. Forse, la mostra ci conta, più incanto di prima.