“La prima neve” era la mia storia preferita

Prima novità del 2021. Una storia iraniana, riscritta da Elham Asadi, e illustrata dalla francese Sylvie Bello. Un libro di grande formato che dall'inverno sfuma alla primavera e dalla primavera all'inverno, e racconta la dolcezza degli incontri sognati e l'incanto del tempo nel suo incessante svanire e ritornare. Qui lo racconta la sua autrice, che ringraziamo.

[di Elham Asadi]

La copertina di La prima neve (Elham Asadi e Sylvie Bello, Topipittori 2021).

La prima neve (Neneh Sarma) è il racconto che ha accompagnato le fredde notti d’inverno della mia infanzia a Mashhad, una città nel nord-est dell’Iran, lungo l’antica Via della seta. Ogni sera, ci riunivamo intorno al korsi*, sotto una grande coperta che nascondeva una stufa, con tutta la famiglia. Poi, mentre le finestre si coprivano di condensa e il giardino, con i suoi alti alberi, veniva inghiottito dal buio, mia nonna iniziava a raccontare le sue storie: storie di eroi e di demoni, di creature dai poteri soprannaturali, di animali dotati di saggezza e bontà, dell’eterna lotta tra gli eserciti della luce e dell’oscurità. Sapeva a memoria tutto il libro de Le mille e una notte. Mi diceva di chiudere gli occhi, contare fino a tre e sarei diventata Sherazade. Sherazade, la fantastica, stravagante eroina di Le mille e una notte; nella mia mente una dea che, attraverso il potere del racconto e la magia della finzione, non solo riesce ad ammaliare il sultano tiranno Shahriyār, ma anche a placare la sua sete omicida. Non dimenticherò mai il calore di quelle notti invernali, l’odore del cibo che cuoce lentamente sulla stufa, i voli sconfinati della mia immaginazione, persa in quei mondi fantastici e incantati e, soprattutto, il modo in cui m’immedesimavo in Sherazade quando raccontavo quelle storie ai miei amici, il giorno dopo, a scuola.      

La prima neve era la mia storia preferita, perché sentivo la primavera e l’estate ormai lontane, così come la gioia e a libertà di stare all’aria aperta. Sarebbero mai più tornate? Neneh Sarma parlava ai miei desideri e alle mie paure. La immaginavo sulle nuvole, mentre tremava di freddo e lavorava senza sosta, come mia madre: triste, ma speranzosa, in perenne attesa. Di cosa, non l’ho mai capito. Se ripenso adesso a quelle magiche notti d’inverno, Neneh Sarma e Nurooz mi sembrano lo yin e lo yang di questo mondo e della condizione umana.

In tutti i posti in cui ho viaggiato, con climi e ambienti diversi, mi sono poi resa conto che in diverse culture ha posto una particolare versione di Neneh Sarma e Nurooz. Gli inverni possono essere più lunghi e duri, le primavere e le estati più lussureggianti e generose, i cieli più cupi, la terra impietosa e brutale, eppure, il potere dell’immaginazione umana trionfa ovunque. Neneh Sarma e Nurooz esistono solo nella loro paradossale unità. Il loro vigore e la loro energia nascono dalla separazione e dal desiderio; la forza nuda al centro del mistero della natura, della vita, del desiderio è ciò che muove ognuno di noi. Come in ogni storia d’amore che si rispetti, l’amore non si realizza, perciò la speranza rimane nel desiderio. La pazienza è la ricompensa e l’aspettare, il supremo atto degli Dei.

*Il korsí è un tavolo basso tipico della tradizione persiana. È riscaldato da una stufa elettrica o da un braciere collocato sotto il tavolo; una coperta posta al di sopra di esso sporge fino a poggiare sul pavimento mantenendo caldo l'ambiente sottostante.