Focus sul lavoro realizzato insieme alle sezioni 5 A e 5 B della scuola d’infanzia comunale Querzoli di Forlì
[di Elena Dolcini, curatrice della mostra]
Abbecedario Fotografico è stata una mostra collettiva di ventisei fotografi italiani, storicizzati ed emergenti, da me curata e allestita ad Arte al Monte, sede della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, che ha promosso l'evento e gli incontri ad esso correlati.
La relazione tra parola e immagine fotografica è stata al centro dell'esposizione: ad ogni fotografia, una per autore, è stata associata una parola di pertinenza fotografica, con l'obiettivo di avvicinare i non addetti ai lavori, tra cui i bambini, ai vari linguaggi fotografici. Ad esempio, la fotografia di Guido Guidi ha rappresentato la C di Cogliere, quella di Nino Migliori la R di Raccordi, quella di Piergiorgio Casotti la W di Weight. Tranne nel caso della lettera Y e X, dove si è scelto di concentrare l'attenzione sulla polivalenza del segno grafico, senza riferirsi a un'unica parola: una Y "munarianamente" è un albero, può essere un bivio, ad esempio, mentre la X può stare per l'incognita matematica, ma anche per l'errore, l'essere chiuso, o anche "baci”, per una persona che scrive in inglese.
Durante la mostra, che è stata visitabile dal 17 settembre 2022 al 6 gennaio 2023, sono stati organizzati laboratori, visite guidate per tutti, incontri ad hoc per insegnanti ed educatori; Abbecedario fotografico è stata un'occasione per creare un dialogo intorno al tema del vedere e, nello specifico, intorno alla fotografia.
Questi i fotografi coinvolti: Nicola Baldazzi, Emanuele Brutti, Luca Capuano, Piergiorgio Casotti, Valeria Cherchi, Matteo di Giovanni, Giuseppe De Mattia, Alessandra Dragoni, Karim El Maktafi, Cesare Fabbri, Marcello Galvani, Luca Gambi, Stefano Graziani, Guido Guidi, Alessandro Imbriaco, Luca Massaro, Nino Migliori, Elena Negri, Chiara Pavolucci, Piero Percoco, Andrea Simonato, Massimo Sordi, Massimiliano Tappari, Massimiliano Tommaso Rezza, Filippo Venturi, Alba Zari.
Uno degli obiettivi di Abbecedario Fotografico è stato coinvolgere i bambini in un dialogo intorno all’arte e, in particolare, alla fotografia.
Alba Zari e Luca Massaro
La mostra è stata visitata da singole persone interessate alla fotografia contemporanea, da gruppi, associazioni, atelieriste, e classi appartenenti a scuole dell’infanzia ed elementari di Forlì e di Cesena.
In particolare, grazie al concreto impegno delle insegnanti delle due sezioni dei 5 anni della scuola d’infanzia comunale Querzoli di Forlì - Tina Santoro, Elisabetta D’Errico e Silvia Cicognani - ho potuto svolgere un lavoro al di là della curatela classica della mostra, coinvolgendo attivamente i bambini, i cui sguardi, commenti, impressioni, emozioni e giudizi hanno reso possibile un’esperienza profonda, riflessiva e trasformativa del progetto espositivo.
Se l’obiettivo di Abbecedario Fotografico, ovvero quello di un’inclusività attiva, di essere una mostra leggibile e godibile anche dai bambini, è stato raggiunto, lo devo alle insegnanti che hanno fatto della mostra un organismo relazionale in continua evoluzione; comportandoci da mediatrici culturali, insieme abbiamo tradotto lo studio compositivo delle immagini, la loro simbologia e varie implicazioni teoriche, adattando il tutto a un pubblico bambino.
Il nostro lavoro è iniziato alcuni mesi prima dell’inaugurazione della mostra, quando ho descritto il progetto alle insegnanti che hanno poi deciso di parlarne a scuola: da qui abbiamo attivato un costante dialogo tra dentro e fuori, tra ambienti e professioni diverse, accumunate da un obiettivo comune: l’avvicinare i bambini al linguaggio della fotografia.
Massimiliano Tommaso Rezza e Alessandro Imbriaco
I mesi precedenti all’inaugurazione sono stati da loro utilizzati per definire un programma scolastico che includesse i temi di cui avevamo parlato; l’elemento dell’alfabeto presente in mostra ha permesso di coniugare l’indagine sulla fotografia e il pregrafismo, con cui i bambini si cimentano nel corso dell’ultimo anno di scuola materna.
Una volta inaugurata la mostra, ci siamo incontrate per una visita guidata mirata: ho cercato di raccontare loro cosa mi avesse spinto a curare Abbecedario Fotografico, quali fossero state le mie intenzioni e desideri, descrivendo l’allestimento così come le singole opere.
Mi sembra importante fornire un identikit delle insegnanti: donne creative, con un interesse spiccato verso le arti poetiche e visuali, in generale verso la bellezza, ma non addette ai lavori, non specialiste nel campo dell’arte contemporanea; questo nostro dialogo transdisciplinare, eteronomo, di ampio respiro, che si è andato costituendo di elementi pedagogici e artistici, è fondamentale per poter intravedere l’insolito, il nuovo, per poter abitare la trasformazione di cui parliamo tanto in via teorica, e comprendere i bambini più profondamente.
Una volta date loro alcune informazioni di base sulla mia scelta curatoriale, sui tanti idioletti della fotografia, sugli autori presenti in mostra, il loro lavoro si è fatto autonomo. A scuola hanno messo a disposizione dei bambini le fotocopie delle opere: ogni bambino ha avuto la possibilità di scegliere ciò che più lo incuriosiva. Questa associazione opera-bambino si è rivelata molto importante: ho infatti ascoltato i discorsi dei bambini e spesso ho sentito uno dire all’altro: “Guarda, questa fotografia è quella di Ethan, questa quella di Dylan, di Diana” ecc.
Le insegnanti hanno appeso le fotocopie delle immagini alle pareti della sezione, riorganizzando l’ambiente educativo quotidiano, invitando i bambini a un’osservazione attiva dello spazio e mettendo a loro disposizione l’oggetto di quella che sarebbe stata la loro futura uscita scolastica.
L’ora e mezza circa in cui le classi hanno visitato la mostra è stata molto intensa, sia per gli adulti sia per i bambini: un ambiente dalla forte personalità come un palazzo del XVI secolo, con un grande affresco alla parete, un’illuminazione artificiale importante, allestito con 26 fotografie di diverse dimensioni, di autori diversi, è di per sé un universo enorme da esplorare; inoltre, le considerazioni che abbiamo condiviso hanno sicuramente arricchito l’esperienza di tutti, canalizzando l’attenzione su certi temi. L’adulto ha infatti l’arduo compito di soppesare costantemente le informazioni che si mettono a disposizione dei bambini, in modo che non siano né troppe né troppo poche.
Di questi momenti mi ricordo bene perché ho cercato di appuntarmi alcune considerazioni, di scattare foto e di approfondire certe conversazioni con i bambini; mi ha colpito una riflessione di Ibrahim, un bambino di 5 anni, sull’impressione di tridimensionalità di una foto con uno “splash”, uno spruzzo d’acqua al centro, e lo spaesamento divertito provato da un altro bambino, Gioele, sempre 5 anni, che si è sorpreso di come le fotografie fossero molto più grandi delle fotocopie con cui aveva lavorato in classe.
In generale, l’associazione opera-bambino proposta dalle insegnanti ha permesso più facilmente il riconoscimento da parte dei bambini della loro fotografia, all’interno di un allestimento e di un luogo mai visto prima; li ha aiutati, guidati, supportati nel passaggio da una situazione familiare a una nuova, ed è quindi stato fondamentale.
Degno di nota, ai fini di una didattica dell’arte ma non solo, mi sembra il fatto che nessun bambino abbia scelto la fotografia di Chiara Pavolucci, composta da alcuni still life di foglie, sassi, pigne, oggetti quotidiani nella vita dei bambini, che qui l’artista ha trasformato in objet-trouvé su sfondo neutro, quasi chirurgico; un’opera molto amata da me e da tutte le insegnanti, ma che dai bambini, in questa precisa occasione, è però stata scartata.
around me, 2021, Chiara Pavolucci
Molto interessante è chiedersi il perché; che sia forse perché il suo soggetto è una sorta di riflesso della quotidianità dei bambini, che reperiscono pigne, foglie e sassi con estrema facilità? I bambini in questione hanno infatti cinque anni, quasi tutti compiuti, e hanno probabilmente superato la fase in cui prediligono una fotografia rassicurante, specchio del reale che stanno imparando a conoscere; forse, in questa precisa fase di crescita, non hanno bisogno di essere presi per mano dalle immagini nella loro constatazione del quotidiano? Forse a questa età sono già pronti per avventurarsi nell’insolito e per interpretare le immagini utilizzando la loro stupefacente fantasia? I loro commenti lo testimonierebbero: nelle immagini vedono moltissimo, anche l’invisibile, utile per impreziosire i vari racconti che associano quasi sempre alle fotografie.
Inoltre, come, mi sembra giustamente, ritiene Chiara Pavolucci, lo sfondo freddo da lei scelto potrebbe non aver permesso una naturale empatia tra l’immagine e i bambini che invece vanno in cerca di calore ed elementi narrativi contestualizzanti.
Ma queste sono solo congetture che necessitano di essere verificate con continuità e in occasioni diverse.
Sono state le insegnanti a svolgere il vero lavoro documentativo: si sono costantemente appuntate frasi e riflessioni dei bambini e hanno scattato foto, sia a loro che a me. Tutte queste informazioni sono poi confluite in una mostra parietale nella loro anti-sezione a scuola, che è stata osservabile per alcune settimane anche da tutti coloro che accompagnano i bambini a scuola. Qui le insegnanti hanno appeso le fotocopie delle fotografie, le parole dei bambini, che hanno dato un loro titolo a ogni opera, i loro disegni e le fotografie del giorno dell’uscita scolastica alla mostra. Questa è stata una mostra multimediale, dove il bianco e nero si univa ai colori delle grafiche dei bambini, dove ciò che si è visto è diventato tutt’uno con ciò che si è immaginato e, non da ultimo, dove testo e immagine sono stati di nuovo co-protagonisti, come in Abbecedario Fotografico.
Il loro lavoro è in progress: Abbecedario Fotografico è stata una sorta di miccia, di occasione per avvicinarsi alla fotografia, per porre le basi di un discorso intorno a un’educazione all’immagine sempre più necessaria nella società di oggi.
Alcune le intuizioni che ha confermato, altre quelle che ha invalidato; moltissimo è ancora in fase di valutazione, a cominciare da uno studio sulla differenza di percezione nel bambino tra disegno e fotografia, o sulla specificità strutturale di quest’ultima, che ha un legame molto ambiguo con il cosiddetto vero.
Abbecedario fotografico si è dimostrato un progetto relazionale, il cui funzionamento dipende dall’interazione tra soggetti diversi, tra adulti dalle diverse competenze e bambini che hanno una naturale apertura verso il mondo e i linguaggi artistici.
La fotografia si è confermata un prezioso strumento di interpretazione del pensiero e dell’immaginazione dell’infanzia: quando i bambini parlano delle fotografie, raccontano i loro stupori, gusti, emozioni e desideri. La fotografia diventa allora un luogo d’indagine, di scoperte, di apertura verso l’infanzia, una possibilità conoscitiva ed ermeneutica, nonché un’occasione per ammirare e parlare di bellezza.