Alfabeti naturali ovvero piccola guida alla creatività dell'Universo

Oggi vi presentiamo la penultima novità della prima parte dell'anno. Un nuovo, attesissimo volume della collana PiNO, Piccoli Naturalisti Osservatori, dedicata allo studio della natura. Lo ha scritto Federica Buglioni, già autrice dell'apprezzatissimo Naturalisti in cucina, realizzato insieme ad Anna Resmini; a illustrarlo, invece, è stato Luogo Comune, giovane e brillante disegnatore nonché street artist. Il libro si intitola Alfabeti naturali. Piccola guida all'osservazione della creatività dell'Universo, e si propone di introdurre i lettori alla bellezza delle forme, delle strutture e dei segni che danno ordine a quel complesso mistero che è il Cosmo, rendendolo agli umani un meraviglioso e leggibile spettacolo.

[di Federica Buglioni]

Nel 1899 il biologo tedesco Ernst Haeckel realizzava le prime stampe di quello che nel 1904 sarebbe diventato il libro Kunstformen der Natur (forme d’arte della natura), straordinaria fonte di ispirazione per l’Art Nouveau, oltre che per la biologia marina e per la ricerca tutta. Le cento tavole inserite nell’opera, impeccabili ponti tra arte e scienza, tra mondo fisico e metafisico, dimostravano che l’armonia delle strutture naturali non è altro che un’obbedienza ricorrente a principi fisici e matematici, tanto evidente quanto misteriosa. Più di un secolo dopo, quel libro non smette di incantare.

             

Oggi come allora, le forme del mondo organico e inorganico, così ordinate da risultare ipnotiche, ci meravigliano. Sedotti da tanta bellezza, tendiamo però a soffermarci più sulle infinite differenze e variazioni che su ciò che invece non cambia e si ripete, cioè su quelle reiterazioni di linee, proporzioni o comportamenti che chiamiamo pattern, come la spirale delle conchiglie, dei viticci, dei cicloni e delle galassie, il reticolo di rami, radici, fiumi, vene e capillari, la simmetria radiale delle margherite, delle stelle marine, dell’arancia tagliata a metà.

              

I naturalisti moderni leggono i pattern come indizi di crescite, trasformazioni, comportamenti, evoluzioni o strategie di adattamento agli ambienti, dunque come manifestazioni dell’intelligenza della natura. È facile ipotizzare che in passato, invece, le strutture regolari, che contrapponevano l’ordine al caos, apparissero piuttosto come forme intrise di magia o sacralità, perfino come prove dell’esistenza di entità divine. Non sorprende che i pattern naturali ricorrano nei linguaggi visivi e simbolici degli antichi e dei popoli nativi.

   

Nell'arte aborigena australiana i cerchi concentrici hanno più significati: possono indicare località, punti di riunione o d’incontro, fonti d’acqua. Le linee che li uniscono rappresentano spesso persone che viaggiano, se sono dritte, o corsi d’acqua, se sono ondeggianti. Segni a “u” attorno ai cerchi concentrici simboleggiano persone raccolte attorno a quel luogo, dunque riunioni, incontri. 

Sulla grande pietra che segna l’ingresso al monumento neolitico di Newgrange, in Irlanda (3200 a.C.), è incisa la triscele, cioè la tripla spirale.

Pattern di linee che formano triangoli di luce e ombra - probabile rappresentazione del sole - decorano un pendente d’oro, datato tra il 1000 e l’800 a.C., ritrovato nel 2018 nelle campagne dello Shropshire, in Inghilterra e soprannominato “bulla dello Shopshire”. 

Un ricco campionario di punti, linee, greche e onde è venuto alla luce su vaste estensioni di roccia nelle foreste colombiane.

Sbaglia chi pensa che i pattern siano rari e vadano cercati. Il difficile è, al contrario, trovare spazi che ne siano privi, come un cielo terso e senza nubi o una distesa di neve. Anche lì, l’omogeneità è solo apparente perché la neve è un insieme di cristalli simmetrici a sei punte e nell’aria si affollano strutture microscopiche ordinatissime. E il nostro corpo? Siamo animali simmetrici, disegnati da informazioni genetiche contenute in un pattern a doppia elica: il DNA.

Aggiungere questa consapevolezza allo sguardo del bambino è un invito al gioco, a far scivolare in secondo piano le forme e i colori e portare invece in primo piano gli elementi ripetitivi e ordinati: macchie, strisce, onde, linee parallele e simmetrie nel caso dei pattern fissi; nuvole, pioggia, stormi di uccelli nel caso dei pattern dinamici. I bambini colgono i pattern con immediatezza, come suggerisce anche questo disegno fatto durante un laboratorio dedicato al disegno scientifico, durante il quale di pattern non si era parlato affatto. L’unica indicazione era stata quella di copiare senza inventare nulla.

Il disegno solleva domande curiose su come noi umani osserviamo la natura:

- Com’è possibile che una bambina così attenta e accurata nel riprodurre i pattern (il margine a zigzag, la simmetria e le linee parallele), non si sia accorta che le nervature non erano orizzontali ma pressoché verticali?

- È plausibile pensare che i pattern ci colpiscano prima o di più di altre caratteristiche?

- Perché ciò che è ordinato e si ripete attira la nostra attenzione e solletica il nostro senso del bello?

- Quali informazioni fondamentali porta con sé il pattern naturale?

Proprio questo disegno è stato la scintilla che ha portato alla nascita di Alfabeti Naturali, un libro che si muove appunto in due direzioni: i pattern e il modo in cui li guardiamo. Da una parte, isola e descrive le singole strutture (strisce, macchie, frattali, spirali e così via) e, dall’altra, propone cinque tecniche diverse per osservare e allenare lo sguardo a percorrere il sentiero che porta dal “credere di vedere” al vedere davvero.

Quante volte, di fronte a una struttura naturale, crediamo di riconoscere una forma e invece ci sbagliamo? Durante le ricerche mi imbatto in quello che potremmo considerare un monumento alla superficialità dello sguardo. È l’epitaffio dedicato al matematico Jakob Bernoulli (1654-1705), il quale aveva espresso il desiderio di essere ricordato con l’immagine della spirale logaritmica (quella con le spire crescenti dell’immagine centrale) e non della spirale archimedea come quella che fu realizzata per errore.

Scrive Carlo Rovelli in Buchi bianchi:

Abbiamo capito che la terra è rotonda (due millenni fa); abbiamo capito che si muove (mezzo millennio fa). A prima vista sono idee assurde. La terra appare piatta e immobile. Per digerire simili idee, la difficoltà non è stata l'idea nuova: è stata liberarsi da una vecchia credenza che sembrava ovvia; metterla in dubbio sembrava inconcepibile. Siamo sempre convinti che le nostre intuizioni naturali siano giuste: è questo che ci impedisce di imparare. La difficoltà quindi non è imparare, è disimparare.”

Alfabeti Naturali vorrebbe essere un libro che invita prima di tutto a disimparare, a guardare la natura prossima con occhi nuovi per accorgersi di quanto il pattern sia un linguaggio naturale onnipresente, l’alfabeto di quel grande libro dell’Universo che, come scrisse Galileo, “…è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola”. 

Il lettore non si aspetti però un volume strettamente scientifico. I bambini sono interdisciplinari per loro natura e costituzione. E così è libro: una volta fatto proprio “il linguaggio” dei pattern, si inventa e si crea, magari ispirandosi alla land art.