Oggi vi presentiamo "Bestiario familiare", la nuova uscita della collana di narrativa Gli anni in tasca. Lo fa per noi la sua autrice Lilith Moscon. Le illustrazioni al volume sono di Francesco Chiacchio. Vi segnaliamo alcuni appuntamenti in cui Lilith Moscon presenterà il libro: a Firenze, il 10 giugno, ore 18.30, Platea Retro Villa, con Francesco Chiacchio e Vera Gheno. A Arezzo, il 26 giugno, ore 17.30, Casa Museo Ivan Bruschi, con Francesco Chiacchio. A Lucca, l'8 luglio, a Palazzo Pfanner, ore 19.00, in dialogo con Ilaria Gaspari: Topografie sentimentali, percorso tra le pagine delle nuove pubblicazioni delle autrici. Tutti gli eventi fanno parte del programma La città dei lettori.
[di Lilith Moscon]
Quando Giovanna Zoboli mi ha proposto di scrivere un libro per la collana Gli anni in tasca, sapevo che avrei dovuto lavorare a una narrazione autobiografica sull’esperienza dell’infanzia e dell'adolescenza. Conoscevo la collana, alcuni suoi titoli.
Quello che non potevo sapere è che mi sarei sentita, in un primo momento, del tutto persa.
I ricordi non compiono il gesto di ordinarsi, di mettersi in fila indiana, quando ci interessiamo a loro per raccontare il passato.
Nel cominciare a scrivere le pagine che poi avrebbero preso il titolo di Bestiario familiare, ho trovato i miei ricordi sparpagliati a terra, come i reperti di un museo archeologico in costruzione. Stanze piene di ricordi da pulire, contestualizzare, datare.
Mi aggiravo tra loro con la paura di romperli.
Ho impiegato del tempo, prima di riuscire a toccarli senza sentirmi un’intrusa, una trafugatrice.
Procedevo con timore perché la domanda “Chi ero?” conduce inevitabilmente alla domanda “Chi sono?” - che genera sempre un bel trambusto. I bambini e le bambine s’interrogano spesso sulla loro identità. E interrogano pure noi: “Indovina chi sono oggi?”.
Anche io, da piccola, non ero insensibile alle domande sull’essere. E cercavo la mia immagine come Fabrizia Ramondino, allo specchio della zia, nel suo romanzo Althénopis.
Mi è stato chiaro, fin da subito, che il soggetto di Bestiario familiare era plurale.
Non sarei stata io la protagonista, ma un noi che nel racconto chiamo il branco.
La casa della mia infanzia era, infatti, sempre popolata di ospiti, ragazzi e ragazze alla pari, animali. Era per me casa anche la cooperativa sociale Le Rose che mia madre fondò, con un gruppo di amiche e amici, per accogliere persone con disabilità, tra cui, mio fratello Gorkij.
Gorkij è presente nella mia scrittura, per la prima volta.
Mi sono chiesta come mai non avessi già parlato di lui, di noi, di cosa significa avere un fratello cui è stata diagnosticata una sindrome.
Ho trovato la risposta in un passo dell’opera Alexis di Marguerite Yourcenar:
«Si parla della sofferenza come si parla del piacere, ma se ne parla quando non ci dominano, quando non ci dominano più.»
Ho potuto scrivere Bestiario familiare da una distanza nutritiva.
Desideravo dare un mio apporto genuino, sano, schietto alla narrazione della disabilità.
Volevo essere seria senza diventare seriosa e raccontare di mio fratello con l’ironia e l’acume con cui Claudia Durastanti ritrae i suoi genitori in quel bellissimo romanzo che è La straniera.
Volevo ridere e far ridere - anche di un riso amaro - come i film Ovo Sodo di Paolo Virzì e Ivo il tardivo di Alessandro Benvenuti.
Da bambina e da adolescente, cercavo disperatamente tutto ciò che non mi facesse vivere la malattia di mio fratello come una gravosa spada di Damocle: libri, film, articoli, corsi.
In questo senso, spero che Bestiario familiare possa essere d’aiuto a chi divide le proprie mura o è a stretto contatto con persone disabili o malate.
La postura con cui ho scritto di mio fratello, è la stessa con cui ho trattato gli altri temi del libro - sia quelli privati, riguardanti la mia infanzia e la mia famiglia, sia quelli collettivi, riguardanti l’Italia dal dopoguerra agli anni Novanta.
Platone fa dire a Socrate, nel Fedro, che la potenza dell’ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante. Io ho provato a portare in alto ogni tema trattato, perché volasse anche se pesante.
Per scrivere Bestiario familiare sono dovuta diventare tutti i personaggi del libro e, diventare loro, ha gettato luce su di me. Del resto, sia nella scrittura sia nella vita fuori dai libri, noi ci conosciamo attraverso un esercizio di alterità.
Ogni personaggio aveva un odore e una voce: nobili, minatori, gatti, contadini, vampiri, streghe, maestre.
Non è stato facile cucire assieme le loro storie.
Il materiale che raccoglievo mi sembrava lacunoso e disorganico.
Ringrazio la mia editrice, Giovanna Zoboli, per avermi detto - in un momento in cui mi ero arenata - che probabilmente quello era l’incedere della memoria: lacunoso, disorganico.
E ringrazio anche i primi quattro versi della poesia Gli assenti di Michael Rosen:
Ci sono buchi,
ci sono vuoti,
nella casa
della mia vita.
Avrei continuato a scrivere, assecondando i buchi e i vuoti.
Avrei accostato un ricordo all’altro, un lembo di tessuto all’altro, secondo la logica del patchwork.
Mi è venuto naturale intrecciare eventi personali a eventi di carattere storico e sociale.
Attraversano Bestiario familiare: la seconda guerra mondiale, la Resistenza, l’emigrazione italiana in Belgio, la nascita dell’azienda Moto Guzzi, l’affermarsi dell’agricoltura industriale, la strage di via dei Georgofili, la Repubblica democratica tedesca.
Volevo dare un senso collettivo al libro che rompesse le maglie del mio passato.
Simonetta Agnello Hornby, intervistata da Antonio Gnoli, afferma di preferire la parola “storia” alla parola “passato”, perché la storia non produce nostalgia, ma conoscenza.
Sono d’accordo con lei.
Allo stesso modo, mi premeva evitare che la mia condizione di figlia di genitori separati e sorella di un disabile suscitasse pietà. Le famiglie sono piene di ostacoli, problemi, intoppi.
La vita ne è piena.
La mia situazione era sì particolare, ma affatto unica, e questo l’ho sempre sentito, respirato.
Per questo, i fatti narrati in Bestiario familiare appartengono e sono rivolti ai bambini tutti. Ai bambini e alle bambine che «sanno trovare dappertutto briciole di felicità, come una pianta attira a sé dal terreno più ingrato gli elementi nutritivi che le consentono di sopravvivere» - così scrive Irène Némirovsky ne La vita di Čechov.
Ringrazio il lavoro grafico di Anna Martinucci.
La sua pazienza davanti alle mie richieste.
L’eleganza con cui ha messo in dialogo immagini e testo.
Ringrazio Giovanna Zoboli e Paolo Canton per la fiducia che mi hanno accordato.
Per la calma con cui ho potuto scrivere e la cura su cui potevo contare.
I bestiari sono opere illustrate. Ringrazio dunque Francesco Chiacchio per avere accettato d’illustrare il mio bestiario dando segno e vita ai suoi personaggi. E Fulvia Monguzzi per la tigre sulla copertina. È dalle sue fauci che esce il titolo.
Nella stesura di Bestiario familiare sono riuscita, poi, a costruire il museo archeologico dei ricordi e a scoprire - come afferma la scrittrice Valeria Parrella nell’articolo Pompei. Il museo ritrovato uscito su Robinson - che «ciò che sembra fragilissimo è resistente, e che ciò che vale resta, oltrepassa le sciagure.»