Cosa fa di me, me?

Siamo alla terzultima novità di questo autunno. Si tratta di Le vite di Ada, di Gaia Formenti, scrittrice, sceneggiatrice e regista, e Marco Piccarreda, regista. Si tratta di un racconto lungo, illustrato splendidamente da Sarah Mazzetti, che apre una serie di analoghe pubblicazioni di narrativa illustrata attualmente in preparazione. Qui i suoi autori lo presentano.

[di Gaia Formenti e Marco Piccarreda]

Ada si ritrova nel buio.

Ma non si deve pensare che per dire il buio basti dire che è buio. Sì, è buio, di certo, ma ci sono vari tipi di buio. C’è il buio che ti sta di fronte come una tela nera, ed è così piatto che non lo puoi squarciare e dopo un po’ non si sa più che ore sono. C’è il buio spesso e morbido, che lo puoi toccare, quello che si muove e fa rumore, come un fango sporco pieno di grumi. C’è un buio fatto di direzioni, di sopra e sotto, di corridoi e porte che non si aprono, di serrature scintillanti dove metter gli occhi. E poi c'è il buio-brodo dove sta Ada ora.

Fin dalla sua prima, gelatinosa vita di medusa nel brodo primordiale, Ada, la costola di Adamo, possiede tutte le qualità e il carattere di una bambina di 10 anni. Curiosa, Inquieta, energica, chiassosa. E insofferente ai limiti.

Le vite di Ada racconta del suo viaggio metamorfico di morte e rinascita attraverso il tempo e gli stati della materia. Una storia evolutiva in cui non esistono condizioni di linearità o necessità ma solo l'irresistibile richiamo della scoperta che ogni nuova trasformazione comporta. Nelle sue vite Ada scopre di possedere un nuovo corpo e nuove possibilità meravigliose che impara a conoscere con lo sguardo stupito e la voglia di mischiarsi col mondo. In una vita è capace di nuotare, in un'altra può strisciare, in un'altra cambiare colore, in un'altra ancora rimanere immobile per l'eternità.

– Sei sempre tu? – fa Ada.

– Tu chi?

– Quello di prima?

– Prima quando?

– Quello che prima era foglia e poi corteccia?

– Chi può dirlo... – fa il camaleonte-cielo-stellato – sono stato così tante cose che non mi ricordo più neanche come sono fatto.

– Non riesci a essere semplicemente camaleonte? – chiede Ada.

– Impossibile! –

Ma ci sono limiti dolorosi che ogni nuova forma impone e non appena Ada impara la sua nuova condizione, subito ne sente le ristrettezze. Non sta più nella pelle. Letteralmente. Ma per superarsi deve accedere a dimensioni proibite, violare i limiti del corpo,  le leggi di natura, le regole del branco, il confine marchiato dal tabù. E per cambiare, per conoscere,  è costretta a morire. Ma come muore Ada? Ci siamo interrogati a lungo sul passaggio da una vita all'altra. Ada trova la morte? O la morte trova Ada? La soluzione a questo enigma è venuta smettendo di pensare alla parola morte e accedendo a un vocabolario più ambiguo e metafisico: dissoluzione, metamorfosi, passaggio di stato.

Rimarrò per sempre così! Non riuscirò mai più a tornare Una!- si lamenta Ada.

Ma mai e sempre sono due parole delicate.

Ed ecco che un poderoso alito di vento si infila nella gola, la abbraccia e la solleva in aria soffiandola lontano dove non si può più ritrovare.

C'è un film del 1957, The incredible shrinking man di Jack Arnold, basato su un romanzo di Richard Matheson, che consigliamo a tutti di vedere. È la storia di un uomo che in seguito all'esposizione a radiazioni misteriose improvvisamente comincia a rimpicciolire. Nel romanzo sono tre millimetri al giorno. Nel film, per ragioni narrative, il rimpicciolimento avviene più velocemente. Ma conserva tutta la bellezza del dettaglio: il disperato tentativo di riorganizzare la vita attorno al nuovo corpo, trovare espedienti per affrontare la quotidianità, per stare al passo con il proprio rimpicciolimento. Diventato ormai grande come il palmo di una mano, la moglie  costretta a nasconderlo nella casa delle bambole della figlia, per evitare che il gatto di casa possa mangiarselo. Ma qualcosa va storto e il protagonista si ritrova costretto a fuggire in cantina, minacciato da un ragno enorme.

È ormai davvero minuscolo quando, con un ultimo sforzo, riesce a uscire da una grata e si ritrova nel giardino di casa, divenuta per lui una specie di foresta tropicale millenaria. In quel momento, della dimensione di pochi millimetri, l'uomo guarda il cielo e si rende conto che infinitamente grande e infinitamente piccolo si toccano (so close the infinitesimo and the infinite), e che quella che lui chiama morte, o sparizione, non  è nient'altro che un riassorbimento, una forma di comunione e beatitudine. La beatitudine di diventare niente come soggetto, e tutto come parte infinitesimale dell'infinito. È un film inquietante, ma grandioso dove angoscia e scoperta, gioia e frustrazione vanno di pari passo.

Come the shrinking man, Ada letteralmente sparisce nel paesaggio diventandone parte. Sarah Mazzetti ha colto molto bene questa chimica della trasformazione inanellando disegni che sembrano stazioni di un unico lunghissimo binario metamorfico.

Il tema della morte e dissoluzione del soggetto, della reincarnazione, si portava dietro anche il tema della memoria e dell'identità.

Cosa fa di me, me? si chiede, seppure obliquamente, l'anima di Ada. Non ha risposta, ma di sicuro, i ricordi e il corpo fanno grumo di identità. I ricordi e il corpo come sede, luogo dove si incidono le cose, le esperienze. Ada ricorda le sue vite precedenti? Il fatto di cambiare corpo le garantisce di restare comunque se stessa? Volevamo che il movimento narrativo della storia fosse un continuo resistere e lasciar andare, come Ada medusa che stringe e molla, stringe e molla. Come la crescita di un bambino, che non diversamente dall'adulto, ma forse più vertiginosamente, si ritrova sempre spostato un po' più in là, sfasato rispetto al proprio corpo e al proprio cuore, indeciso sul posto da occupare, fisico e metafisico, del suo angolo di mondo.

– Ma che fretta avete? – dice Ada che vuole solo dormire e ha la buccia ancora stropicciata di sonno.

– Dobbiamo maturare! – rispondono i fichi in coro.

– Che significa? – biascica Ada.

– Che le nostra pance si gonfieranno di latte succoso e dentro diventeremo rossi e zuccherosi come miele, la nostra buccia si farà morbida e sottile e un giorno ci staccheremo dall’albero!

– Ci staccheremo dall’albero? – chiede Ada e a quell’idea sente un brivido arrivarle fino al picciolo.

L'attimo prima di trovarsi nella pancia della mamma, Ada è un frutto di fico costretto a condividere lo stesso albero con altri frutti, vogliosi di maturare. E qui, per la prima volta, è Ada a essere reticente. A non voler superare la linea di confine. Nonostante millenni di noia passati sul fondo di una gola nella sua vita minerale, la dimensione generativa del vegetale la angoscia. Mentre gli altri frutti tirano verso il sole per produrre latte zuccherino e finalmente cadere dall'albero, Ada resiste strenuamente. Fa ostruzionismo, chiude il picciolo. Ma inevitabilmente, scaldata dal sole, Ada matura  e cade dal ramo direttamente dentro la pancia umana della sua futura mamma. Il dado è  tratto.

Il resto della storia, la vita di Ada bambina, è ancora tutta da scrivere.

 

Illustrazioni di Sarah Mazzetti.