Buffamente e impropriamente nominato in certi ambienti "l'erede di Gianni Rodari", per i tre convegni rodariani a cui ero stato invitato prima della Grande Cancellazione avevo preparato un intervento forse un po' fuori dal coro, intitolato più o meno così: Etica pelètica pelèm-pèm-pètica.
[di Bruno Tognolini]
L’incolpevole e travisata eredità di Gianni Rodari nella proliferazione di poesia grigia, ricca di contenuto 'valoriale' e povera di bellezza, nella letteratura per l’infanzia.
Le difese immunitarie poetiche nelle rime di gioco dei bambini.
Il problema dell'epigonismo e della maestria.
Non potrò parlarne in quei convegni cancellati: forse in altri, e per ora solo con un breve intervento a Radio Tre in una delle molte commemorazioni rodariane. Questa mia è una commemorazione ex post, uno sguardo da qui, non da lì: in poche parole, un discorso sull'epigonismo.
Chi come me batte (batteva fino a quattro mesi fa) le scuole italiane dal Trentino alla Sicilia ha visto negli anni dilagare un colata di filastroccheria valoriale ubiqua e impoverita, di sciatta matrice post-rodariana, saldamente fondata sulla rima cardine guerra/terra, che dice al lettore come deve pensare senza divertirlo, con versi-rotaie senza scambi, senza mai uno scarto divergente di bellezza, una sorpresa, un'allegria. In sostanza, la versione attuale e politically correct delle poesiole edificanti degli inizi del secolo. Contro cui Rodari stesso probabilmente, tornato dal regno dei morti, lancerebbe divertite e divergenti invettive.
Arduo e complesso è l'argomento dell'epigonismo. Ne sa qualcosa proprio lui, Giuliano Scabia, maestro bravissimo a scrollarsi dalla manica discepoli ed epigoni, a cominciare da me. Che dopo due esami di drammaturgia e la tesi e seminari e altre vaghe imprese alla sua sequela, una sera in Strada Maggiore gli avevo chiesto: «E ora, Giuliano, cosa facciamo?», e intendevo: insieme. E lui col suo sorrido diavoligno: «Ora tu te ne vai per la tua strada». Così parlano i veri maestri, e così ho fatto.
La mia vecchia miscellanea formazione teatrale mi riporta alla mente poi un'altra frase, sentita stavolta da Eugenio Barba forse quaranta anni fa, e che avevo avidamente annotato: «Praticate questi esercizi con intelligenza, non con diligenza». Ecco: Rodari non ha fatto in tempo a dirlo.
Lo stesso intenso ramingaggio nelle scuole d'Italia, tuttavia, mi lascia intravvedere lucenti spiragli in questo grigiore. Parlo della produzione Poetica Orale Puerile Ludica Aborigena DOC: una congerie innumerevole di conte, rime di gioco, battimani, invettive, invenzioni verbali che mescolano a pasticcio filastrocche dei nonni e inglese degli spot, dialetti e glossolalie non-sense, litanie di santi e improperi puerili. Un patrimonio orale che da anni raccolgo e registro in tutta Italia in lingua nazionale e nei dialetti.
Ecco, in questa produzione poetica nativa io intuisco, o spero, un mimetico apparato immunitario, che con piccoli anticorpi poetici verbali, divertentissimi e divergentissimi, velocissimi nelle mutazioni di città in città, occupa i recettori culturali a cui si agganciano le poesiole edificanti post rodariane di cui sopra, causandone lo scivolamento senza danno sulla membrana culturale dei bambini.
Per finire con un'ultima usurpazione, di queste batterie poetiche anti-rime post rodariane Rodari riderebbe probabilmente di gusto, con me e soprattutto con loro.
Domenica 10 maggio, sono stato invitato al programma di Radio Tre Pantheon. Cento anni di Gianni Rodari, andato in onda alle 18. Ho partecipato con due pensieri. Uno in versi e uno in prosa.
Quello in versi è la mia Filastrocca per Gianni Rodari, che qui si può ascoltare e qui si può leggere.
Quello in prosa non parla del Rodari di allora, di cui tante voci più titolate della mia largamente discettano in questo anniversario. Io ragiono del Rodari di oggi, "visto da qui", del rodarismo, epigonismo, manierismo rodariano nelle scuole e nell'editoria alta e bassa del nostro tempo. Questo contributo (2'40"), si può ascoltare qui.
Infine, suggerisco la lettura di questo articolo di Giuliano Scabia uscito su Doppiozero, in cui si racconta dell'incursione di Gutenberg in persona, complice Rodari e Giulio Einaudi suo editore, alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, nel 1974, per festeggiare La grammatica della fantasia.
Gli appassionati osservatori del mondo della letteratura per l'infanzia, e delle sue leggendarie origini in Italia, possono spingersi a leggerlo. Dove si vede con abbagliante chiarezza ciò che io intendo per 'maestria', come antidoto al post rodarismo. Nelle note autografe di Rodari al lavoro teatrale di Scabia e dei suoi ragazzi, riesumate dal mio vecchio prof in chissà che suoi fogli antichi, si vede la mano di un poeta narratore che molto ha studiato e molto sa.
Prima di prendere la penna e far rimare guerra e terra, le centinaia di rimatori rodariani, rodarioidi e rodarioti di oggi dovrebbero porsi qualche domanda sui cammini della loro formazione fino a lì.
E altre e più urgenti dovrebbero porsele gli insegnanti che propinano ai loro alunni (quando non le scrivono direttamente loro) quelle mille e mille rime rodarioidi invece che quelle di Rodari. E di Piumini, Carminati, Vecchini, Quarenghi, Formentini e qualche altro, fra cui pure Tognolini.