Sole luna stella, originale interpretazione della natività, scritta da Kurt Vonnegut e illustrata da Ivan Chermayeff, è una delle nostre novità per questo autunno 2016. Dopo Monica Pareschi che l'ha tradotto, oggi è Riccardo Falcinelli a cui abbiamo affidato la copertina del libro, a parlarne. Lo ringraziamo per il contributo che mette a fuoco importanti questioni relative all'estetica dei libri.
[di Riccardo Falcinelli]
La prima cosa che mi domando quando mi viene affidato un progetto è a chi sto parlando, chi guarderà quello che disegno. Non è un fatto scontato: chi si occupa di grafica editoriale, cioè di libri, deve tener conto che c’è qualcuno che quei libri li comprerà e non tutta la grafica è rivolta in maniera così diretta a un pubblico preciso. Ovvero se si progetta un marchio aziendale si sta mettendo in scena il brand del produttore, ma quel disegno non è direttamente la merce che verrà acquistata. Nel caso delle copertine di libri sì: quello che disegni è quello che arriva ai lettori. E poi c’è una questione vertiginosa e poetica: i libri sono solo accidentalmente merci. I libri sono sempre anche un’altra cosa. Nel caso di Sole Luna Stelle di Vonnegut e Chermayeff la domanda era dunque, ancora una volta, chi fosse il lettore oggi di questo piccolo classico.
La copertina originale dell'edizione Harper & Row del 1980.
Poster promozionale uscito in occasione della prima edizione.
Alcuni marchi realizzati da Ivan Chermayeff.
Sono stato chiamato dai Topipittori perché avevano visto un’altra copertina di Vonnegut che avevo disegnato per minimum fax, qui però non c’era da disegnare: il libro in questione era infatti un illustrato e di quelli bellissimi. Testi di Vonnegut, disegni, layout e impaginazione di Ivan Chermayeff, uno dei grandissimi del Novecento, un maestro di concisione e di eleganza: sono suoi i marchi del Moma, di Pan-Am, di Mobil, di Harper Collins e più recentemente quello dell’emittente televisiva Showtime. È stato subito chiaro parlando con gli editori che per la copertina si sarebbe usata una tavola interna al libro. La copertina originale – indubbiamente splendida – era infatti un po’ invecchiata: da questa riflessione si capiva chi era il lettore a cui bisognava parlare, qualcuno a cui proporre un classico ma con un linguaggio contemporaneo. La copertina aveva insomma bisogno di essere un po’ (appena un po’) spolverata. E trattandosi di Chermayeff era una responsabilità, nel mondo del design è come essere incaricati di ritoccare la Gioconda.
Prove di copertina r copertina definitiva.
Per esempio da un punto di vista tecnico – e diciamo pure commerciale – il lettering della cover storica risultava un po’ esile rispetto al tono dei libri in vendita oggi dove si parla a voce un po’ più alta. Così, dopo aver scelto dall’interno del volume le tavole papabili, tutta la riflessione si è concentrata sul lettering. Ho provato a scriverlo a mano, ho provato delle font e ho anche provato a comporlo con delle striscioline di carta ritagliata, assecondando lo stile delle immagini di Chermayeff che sono appunto dei collage, riportando cioè nel lettering l’estetica della carta sforbiciata senza troppa precisione, come di chi sta anzitutto giocando e raccontando.
Altre prove alla copertina.
Si trattava poi di assecondare anche il registro cromatico del libro in cui le tinte sono poche, semplici, costanti: per esempio giallo il sole, bianche le stelle, grigio argentato la luna, blu scuro, quasi violaceo, il cielo. Insomma l’idea è stata di costruire una copertina originale, ma in assoluta continuità con le pagine interne e in cui i nomi dei due autori fossero chiari e ben visibili: anche perché mica capita tutti i giorni un libro per l’infanzia scritto da Vonnegut.
Prove alla copertina.
Alla fine, dopo varie prove, si è scelta una strada tipografica, o quasi: un carattere sopra tutti ha convinto me e poi l’editore, ed è quello che è finito in copertina: si tratta dell’Ed Roman disegnato dal gruppo House Industries – una delle fonderie digitali più alla moda degli ultimi quindici anni – ispirato e disegnato insieme a un mostro sacro del type design: Ed Benguiat, classe 1927. E di Benguiat c’è infatti quel tono apertamente pubblicitario in senso statunitense, dove tutto è gioco, dove tutto è vivace. L’Ed Roman è sì una font, ma più che un carattere è la digitalizzazione di un lettering manuale, da insegna commerciale. Questo tono, con tutto quello che di scanzonato comporta, da una parte restituiva il giusto tono retrò, anni Sessanta, dall’altra echeggiava un certo gusto squisitamente “non europeo” che ci pareva legarsi bene allo spirito di Vonnegut e Chermayeff: il primo, acuto critico dei limiti politici e umani del capitalismo americano; il secondo, intento per oltre quarant’anni a dare volto ad alcune delle major culturali di quello stesso capitalismo. In un epoca in cui quelli bravi facevano le cose fatte bene. Speriamo di essere stati all’altezza del compito.
Prime prove di copertina.