[di Anna Masini]
A Palermo, nel cuore della Kalsa ea pochi passi dai secolari Ficus (elastica, per la precisione)di piazza Marina, vale davvero la pena lasciarsi alle spalle leincredibili radici di quegli alberi maestosi, e arrampicarsi super la salita dell’Intendenza, alla ricerca del piccolo vicoloNiscemi. Trovatolo, infilarvisi e camminare piano piano, finché allavostra destra la strada non si allargherà un poco, lasciando spazioall’antico edificio che fu dell’Hotel de France e che ospitò,nell’epoca del suo splendore, personaggi come Sigmund Freud o EdmondoDe Amicis, che erano soliti alloggiare lì quando si trovavano invisita in Sicilia.
Oggi l’Hotel deFrance non esiste più. Al suo posto troverete invece lameta vivamente raccomandata da questo post: il Museo Internazionaledelle Marionette, che porta il nome diAntonio Pasqualino.
Pasqualino fu medico, antropologoe studioso della storia e delle tradizioni popolari della Sicilia;nel 1965 fondò, insieme a un gruppo di studiosi ed intellettuali,l’Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari, acui seguì, dieci anni dopo, l’apertura del Museo.
Al suointerno, la collezione conta circa quattromila pezzi, fra marionette,burattini, ombre, attrezzature sceniche e cartelloni provenienti datutto il mondo, nonché la più vasta e completa collezione di pupi(siciliani, catanesi e napoletani) a cui Pasqualino si era dedicatoper molti anni, con l’intento di reintegrare l’opera dei pupi nellacultura siciliana a lui contemporanea.
Ci siamo. Siete entrati, avetefatto il biglietto, e ora: le scale.
Salite lentamente,e con il naso all’insù, per ammirare e osservare le grandi ombreindonesiane che si lasciano indovinare attraverso una sottile pareteche accompagna la scalinata e diventa soffitto. Fabbricate con pelleanimale, le figure bidimensionali sono snodate nelle giunture evanno immaginate nelle rappresentazioni teatrali di Giava e Bali,ovvero animate per mezzo di bacchette, mentre una fonte di luce(in genere una lampada a olio) ne proietta l’ombra su di unoschermo. L’accompagnamento musicale tradizionale è dato da un ritmodi percussioni, mentre le storie narrano solitamente di mitologiae della lotta tra il bene e il male.
Secondo piano. Sorridenti eun po’ enigmatiche, le marionette da tavolo di Baj vi salutano ingruppo, vocianti eppur silenziose, come dei bambini a cui è statointerrotto, all’improvviso, il gioco. Intorno, a piccoli gruppi,serafiche e terrificanti maschere cinesi e africane vi guardano conindifferenza. Voi però avvicinatevi…
Un grande salonearredato con panche di legno ospita le scenografie, le quinte e icartelloni per le rappresentazioni dell’opera dei pupi. La storia deipupi affonda le sue radici nella cultura popolare siciliana, e dallametà dell'Ottocento le testimonianze e la documentazione di questaattività si fanno meno sporadiche: il genere inizia ad affermarsistabilmente e in breve tempo la città di Palermo e quella di Cataniadiventano i fulcri di due diverse scuole.
Scolpiti nel legno e differenti per misure(più piccoli e agili i pupi palermitani, un po’ più alti e rigidiquelli catanesi, meno mobili, ma proprio per questo più facili damanovrare quando si mettono in scena i combattimenti) i pupi incarnano ipaladini del ciclo carolingio, di cui indossano le luccicanti armature enarrano le eroiche gesta. Le differenze tra l'opera dei pupi palermitanae catanese si riscontrano anche nell'allestimento degli spettacoli:a Palermo il boccascena porta decorazioni più ricche e un cartellone“a scacchiera” con otto riquadri.
A Catania lo sfondo è dato da una singola scena e ununico cartellone. Anche le manovre di scena sono differenti: a causadel peso e delle dimensioni dei pupi della scuola catanese, che possonoraggiungere i trentacinque chili per un metro e quaranta di altezza,a Catania i pupi vengono manovrati dall'alto di un ponte montato dietroal fondale.
A Palermo invece, i pupi più agili(non più di novanta centimetri di altezza per quindici chili di peso)vengono animati ai lati del boccascena, cosa che consente di avereun palco con vari piani di scena.
Continuiamo il nostro girodel mondo: dall'altra parte della parete, alcune piccole stanzeci rivelano nuovi tesori segreti. Nella prima, l’impressione èquella di entrare in una taverna dove si stia tenendo una festa dimusiche e di canti. Un pianista con le dita nell’aria, danzatoriche riprendono il fiato dopo l’ennesimo giravolta, coppie indisparte, forse già stanche. Poi, due scrigni del lontano oriente:India, Thailandia, Birmania, Cina, Giappone... ombre, marionettee burattini dalla lunga storia e tradizione. Infine, la sala deicavalli e dei cavalieri. In due lunghe doppie file ai due lati dellastanza, c’è un esercito di guerrieri, armato di tutto punto e conle corazze scintillanti, addormentato nel silenzio di una finestraaperta sul cortile, mentre un raggio di sole illumina il didietrobardato dei loro fedeli destrieri.
In questa stanza, la primavolta che ero in visita al Museo Antonio Pasqualino, una signora mi èpassata accanto dicendo a bassa voce al marito che teneva sottobraccio:È orrendo, sembrano tutti morti.
Nonsono riuscita a risponderle, perché io invece avevo il fiato spezzatodall’emozione.
Le marionette di quella stanza le sentivotutte vive, dal respiro lento e addormentato sì, ma sul punto disvegliarsi da un momento all’altro, pronte a saltare in groppa al lorocavallo o a iniziare una danza appassionata con la loro dama. Gli scuditintinnano contro le spade al primo filo di vento. Le maschere orientalisussurrano storie in una lingua incomprensibile. I cavalli agitano la codanon appena smetti di guardarli, e i pupi si sgranchiscono volentierile gambe, quando nessuno li vede.