Il grande gioco del corpo

In dialogo con Albertine e Germano Zullo

[di Francesca Romana Grasso]

Illustrazione di Albertine tratta da À la mer (Germano Zullo e Albertine, La Joie de Lire, 2008).

Si è appena conclusa la quindicesima edizione del Festival Tuttestorie: il tema di quest’anno - definito prima dell’emergenza sanitaria - è stato CORPO A CORPO. Racconti, visioni e libri dentro e fuori di me. In questa cornice ho dialogato con Albertine e Germano Zullo: ciò che leggete è un sunto dell’incontro.

Germano - italiano di origini - parla benissimo la nostra lingua, e Albertine lo capisce. Si sono incontrati nel 1993 e, pochi anni dopo, sposati. Non era nei loro piani lavorare insieme: è capitato un po’ per caso, avviando una collaborazione che è stata premiata più e più volte. I loro lavori sono esposti in vari Paesi. In Italia sono pubblicati da Topipittori, Bompiani, Mondadori, Fatatrac. Il 2020 ha portato ad Albertine anche il Premio alla carriera Hans Christian Andersen.


Illustrazione di Albertine tratta da Gli uccelli (Germano Zullo e Albertine, Topipittori, 2010).

Come nascono le vostre storie e i personaggi?

Albertine
: La mia parola è il disegno, quella di Germano mi porta l'ossatura, il ritmo. La nostra relazione è dialogica, si apre alla sorpresa: abbiamo bisogno di incontrarci e nei rispettivi linguaggi espressivi.

Germano: Quando abbiamo una buona idea, ne parliamo per tutto il tempo necessario, anche anni, finché non è matura. Allora iniziamo a scrivere la sceneggiatura. Io scrivo, poi Albertine procede con la narrazione visiva. Abbiano ritmi diversi: Albertine è molto generosa, rapida, spontanea; io invece rifletto a lungo, sono più introverso, lento, e questa differenza di ritmo ha richiesto del tempo perché imparassimo ad ascoltarci, a capirci. Abbiamo dovuto trovare una terza via per lavorare insieme, l’abbiamo costruita negli anni.

Una specifica attenzione a corporeità, movimento e posture attraversa trasversalmente il lavoro di Albertine.

Albertine: Vengo da una famiglia che parla molto, la parola è quasi invadente, per me invece è complicato. Fin da piccola ho osservato più che parlato, da adolescente ero talmente timida che praticamente non aprivo bocca. L’osservazione mi ha salvata da molte cose, dalla mia famiglia (che io amo) e anche da me stessa. Vedo le cose che mi circondano: il corpo, la postura e il movimento svelano molto dell'essere umano. Osservare qualcuno, il modo in cui si muove, parla, si veste, in cui si tiene, sviluppa un’immensa ricchezza di emozioni e forse è questo l’aspetto che mi interessa maggiormente: il lato umano e la sua ricchezza emozionale. Il disegno permette di indagarlo e consente addirittura di esagerare le cose, ad esempio: per rappresentare un uomo che ama moltissimo una donna si può fare in modo che le sue mani si allunghino tantissimo, fino a congiungersi con questa donna; si può amplificare qualche aspetto della postura per renderla più eloquente.

Negli anni Settanta, nei libri per l’infanzia comparivano talvolta dei nudi, non di rado anche in maniera un po’ ideologica per ribadirne la naturalezza e contrastare tabù. Poi, con il passare degli anni, solo pochi editori hanno osato pubblicare corpi di bambini nudi. Dal 2011 alcuni editori italiani hanno mosso dei passi in questa direzione (Kalandraka, Canicola, Topipittori e oggi anche Adelphi e La pulce). Tra i titoli più interessanti che erodono il tabù c’è il tuo Il Re nudo (Topipittori, 2019). Avete avuto difficoltà a pubblicare nudi con editori che si rivolgono all’infanzia? Qual è la vostra esperienza?

Albertine: Ho un rapporto con Germano e con la mia casa editrice che è molto aperto, speriamo che le cose rimangano così perché si ha bisogno della libertà quando si è disegnatori o autori: non siamo al servizio di un’idea o di un dogma. 
Ho disegnato la nudità fin da piccola, disegnavo coppie nude sulla spiaggia: eravamo negli anni Settanta, si viveva una libertà che non ritroviamo più, oggi. Durante l’infanzia era naturale stare nudi sulla riva di un fiume. 
Poi, a una certa età, ci si scopre pudici, oppure si ha voglia di mostrarsi, ma non si può più fare -,ci si può scoprire curiosi di sapere cosa fa l’altro, come si muove, come vive il sentimento amoroso. Già da bambini è molto presente questa sfera di interessi.

Illustrazione di Albertine tratta da Il Re nudo (Topipittori, 2019).

Nel 2011, la levata di scudi contro il libro tous à poil! (di Claire Franek e Marc Daniau, Rouergue) ha fotografato in maniera eclatante il cambiamento: la nudità era divenuta un problema, non per illustratori ed editori, ma per i politici. Qualcuno iniziò ad affermare che la nudità non è ammissibile perché sciocca la gente. Con la censura l’adulto si mette al posto del bambino: noi cerchiamo di fare il contrario.

Germano: Sono nato nel 1968, in una famiglia non particolarmente colta, per cui  sono cresciuto negli anni di piombo sfogliando le edizioni che si trovavano all’epoca: Pinocchio, Topolibri... cercavo di procurarmi anche dei fumetti che circolavano in Italia, in cui l’erotismo si mescolava con horror e fantasy, reinventando un fantastico tradizionale. Negli anni Novanta la società è cambiata, è arrivato il neoliberismo e l’erotismo si è inquadrato in una via più glamour, chic, trasferendosi nel sistema moda: non era più  destinato ai giovani.

Oggi le narrazioni si sono moltiplicate, anche dal punto di vista dell’educazione sessuale: si dibatte molto su come farla a scuola, alcune persone sono reticenti e infastidite. 
Noi in genere siamo contro qualsiasi tipo di censura. Pensiamo che se le persone sono intelligenti sanno bene come interpretare un nudo.

Albertine: 
Da piccola mi piaceva moltissimo la fiaba di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore e apprezzavo il fatto che un bambino fosse il personaggio al centro della narrazione, quello che dice la verità quando tutti tacciono. Nelle varie edizioni il Re non è mai nudo: io avevo voglia di disegnare tutti i suoi begli attributi di signore e di Re, rendendolo elegante anche nella sua nudità - per questo l’ho anche disegnato snello. 
Penso che quando un lettore bambino incontra un libro si interessa e desidera scoprire delle cose: sarà intrigato da una certa immagine, farà una ricerca su una pagina particolare che libera un’emozione; noi adulti non possiamo decidere nulla riguardo a questa emozione, non possiamo sostituirci al lettore, perché ogni bambino è una persona che si costruisce a modo proprio: dobbiamo lasciargli questo spazio. 
Germano e io siamo adulti che non hanno dimenticato la propria infanzia: ogni artista creare mantenendosi in contatto con il bambino che ha in sé.

Pagina tratta da La cucina della notte di Maurice Sendak (Adelphi, 2020).

Illustrazione di Alicia Baladan tratta da La prima risata (di Gioconda Belli e Alicia Baladan,Topipittori 2017).

Illustrazione di Eilika Mühlenberg tratta da Camping (Pulce Edizione, 2020).

Albertine esplora le dimensioni amorose, erotiche, l’oscenità.

Albertine: Nella mia pratica artistica ho bisogno di uno spazio libero da qualsiasi convenzione, un luogo di esplorazione dove il disegno possa andare altrove, affinarsi ed evolvere. La relazione amorosa e l’erotismo sono temi che mi attraversano da molto tempo: come si va verso l’altro? Come si è sedotti? Cosa è l’amore? Cosa la sessualità? E lo slancio amoroso? Ho sempre disegnato le storie di coppia e lo faccio con l’ottimismo di chi osserva la ricerca dell’armonia tra due persone, ma mi appartiene anche una nota melanconica, interessata alla profondità, a ciò che rimane sotto, nascosto: ho voglia di esprimere la felicità, ma allo stesso tempo sono interessata all’oscenità. Quando da bambina mi sono costruita il mio immaginario, ho visto anche libri per l’infanzia che avevano un effetto molto potente, ad esempio in Buster Brown un ragazzino si fa sculacciare dalla madre: naturalmente questa immagine ha costruito il mio universo, anche erotico e fantasmatico.

Germano: L’erotismo non è un mio tema, rispetto alla mia costruzione ed educazione l’accesso all’altro è stato più complicato perché mia madre era più pudica e ho impiegato un po’ per capire che alcune distanze erano barriere erette per ostacolare l’incontro.

Albertine, nel tuo lavoro trionfano vestiti, maschere, fantasie di possibili rappresentazioni. 
Spesso la moda viene etichettata come superflua e fine a sé stessa, destinata a scomparire senza lasciar traccia. Invece la moda produce un circolo di rappresentazioni che muta attraverso l’incontro delle persone: la società si racconta da sempre attraverso costumi e abiti, e da sempre sollecitano mutamenti, per questo si parla di sistema moda. Marina Petruzio mi ha ricordato che Roland Barthes ne ha dato conto con minuzia. Il sistema moda intercetta prima del senso comune importanti mutamenti di costume e morale: basti pensare a come oggi viene messa in discussione l’idea di bellezza, o come si sposti concretamente attraverso gli oggetti una visione di genere che da binaria muove verso una fluidità via via sempre più capace di affermarsi, nonostante una forte opposizione in direzione contraria e retrograda.

Albertine: Nella mia infanzia frequentavo la sala costumi di un teatro. Avevo un vestito da principessa che abbinavo a stivali di plastica, ero persuasa che questa tenuta mi stesse benissimo: ci andavo anche a scuola. Si trattava di un abito teatrale, ma per me era un vestito normale. 
Avevo anche un mio maglioncino di nylon, che mia madre mi metteva tutti i giorni.
Ho sempre amato l'eccentricità, per la strada amo vedere le persone che escono un po’ dall’ordinario, che amano il colore e che sanno valorizzarsi malgrado il loro corpo quando questo non è ben fatto: vestirsi è un modo per prepararsi per l’esterno. Ho sempre provato interesse verso la relazione con l’eleganza: cosa è? Come si può giocare con ciò che si indossa? La maschera, con la sua valenza sociale, è anche tutto questo: del resto dietro alle maschere si è legittimati a nascondersi. E così si rinegoziano le regole, ad esempio il ballo in maschera cambia le regole della seduzione. In effetti mi piacerebbe che tutti fossimo completamente liberi nel vestirci, come al circo.

La pandemia ci ha costretto a ripensare il nostro rapporto con persone e spazi.

Germano: Lavoriamo molto a casa, nella nostra fattoria ristrutturata in campagna, quindi da questo punto di vista non è cambiato molto, sarebbe stato più complicato in una situazione meno generosa, avremmo potuto soffrirne di più. Siamo limitati invece negli spostamenti: non so ancora come questa crisi impatterà sul nostro lavoro, perché i miei tempi sono estremamente lunghi:  ho bisogno di integrare ciò che viviamo, di digerirlo e distaccarmene. Non so se questo tema diventerà soggetto del mio lavoro.

Albertine: Il problema è che tutte le nostre idee le troviamo fuori, all’esterno: basta un piatto di spaghetti a Roma perché spunti un’idea. Fuori succede subito qualcosa, sempre. È sufficiente un viaggio, uno spostamento, anche solo una tratta in treno. Un’avventura, anche piccola, all’esterno, per dare avvio a un’idea. Se non potremo uscire, se saremo privati dell’esterno, potremmo inaridirci. È importante in questa situazione essere riflessivi e coltivare la libertà di pensiero: anche quella di dissentire da ciò che si dice intorno.
Tutti abbiamo bisogno, nel processo creativo, di nutrirci di qualcosa, non si può perdere questo aspetto, altrimenti diventeremmo molto tristi. 
Già prima del Covid ho esplorato spesso il tema della solitudine: il vuoto mi interessa, mi parla molto. Divento sempre più solitaria, ma pur sempre aperta sul mondo, attenta a ciò che accade intorno. La nostra società porta alla solitudine: ci sono persone che non sono più in connessione tra di loro. Non so cosa succede in Italia in questo momento, ma da noi la società sta cambiando.

Solitude, illustrazione di Albertine.

Nei vostri wimmelbücher convivono una precisa indagine socioantropologica con una postura faceta, onirica.

Germano: Albertine ha realizzato l’ultimo da sola, agli altri quattro ho collaborato. È stata la nostra editrice a commissionarceli: quando il lavoro dell’editore è svolto con intelligenza, gli artisti possono sviluppare la loro creatività confrontandosi con nuove opportunità e approfittarne per reinventarsi. Dato che non ci sono testi, le persone mi chiedono quale sia il mio contributo: mi occupo della sceneggiatura e dei personaggi.

Albertine: Ciò che amiamo nei nostri libri è dare spazio ai lettori: non esiste mai un finale univoco, vi è sempre una parte aperta, attraverso cui il lettore possa trovare ciò di cui ha bisogno e voglia in quel momento. Per noi è importante.

Come vedete le relazioni tra adulti e infanzia?

Germano: Uno dei temi che cerchiamo di esplorare è legato alle dinamiche intergenerazionali. Ci irrita e preoccupa vedere nella letteratura per l'infanzia una tendenza a categorizzare i bambini per favorire una sorta di trasmissione di massa di nozioni. Noi non ci poniamo in questa logica, anzi ne diffidiamo parecchio. Gli adulti stabiliscono cosa i bambini dovrebbe imparare, come, a quale età. Quando eravamo piccoli noi le cose erano diverse: oggi bambini e bambine sono scortati a scuola, a varie attività. L’adulto vuole sempre più mantenere il controllo sull’infanzia. Noi operiamo scelte diverse attraverso i nostri libri: i bambini hanno bisogno di acquisire competenze per diventare autonomi, velocemente anche. A quattro anni non leggevo libri per bambini, ma libri di cucina, ed ero molto contento.

Illustrazione di Albertine.