Ogni libro è legato a ogni libro
Fili di storie fra due miei libri Topipittori, uno passato e altri presenti e futuri
[di Bruno Tognolini]
Tanti hanno avvistato il fenomeno, lungo i millenni, e allibiti e incantati l’hanno segnalato: i libri si parlano l’uno con l’altro, a nostra insaputa. Si legano, si leggono, si scrivono, si sanno. Il cielo immenso della narrazione è rigato di fili scintillanti. Eccone quattro esempi: due fili fra due miei libri di Topipittori, un terzo con un libro ritornato dal passato, e tanti altri del presente e del futuro.
Primo filo: il Libro degli Animali Ricordati
I Topipittori mi chiesero, undici anni fa, di scrivere il racconto della mia infanzia per la loro bella collana Gli anni in tasca. Per istintiva riservatezza, dapprima recalcitrai: io racconto cose di vite di altri, altri fantastici e altri reali, a chi può fregar niente della mia vita vera? Loro insistettero, e io provai. Avevo sessant’anni, era la stagione giusta: il racconto scivolò giù ruscellante in quindici giorni.
Sono stato tentato in seguito di dire ai Topi, con un sorriso: visto che avevo ragione? Fra i miei cinquantasei libri tutti in catalogo, Doppio Blu è uno fra quelli che vendono meno. Non è qui il luogo di indagare i motivi di quest’avaro destino, voglio raccontar d’altro. Una cosa sola però voglio dirla, a onore di questo editore. Un giorno, facendo notare a Paolo Canton i malinconici numeri di quell’anno, gli chiesi se ci fosse per caso alle viste qualche rischio di macero. Lo escluse, stupito: no, mai. «Noi continuiamo a tenere in libreria i libri piacciono a noi». Gli dissi allora, e gli ripeto ora, tutta la mia gratitudine. Alla fine ho molto amato quel libro filosofico e gaglioffo, e – pochi ma molto – non solo io. E che dorma nascosto in quel limbo, dei libri vivi ma non tanto presenti, forse è buona e anche un po’ arcana cosa. «Non è morto ciò che in eterno può attendere…» scriveva Lovecraft.
Il primo filo fra i libri che si parlano fra loro è lanciato nel capitolo di Doppio Blu intitolato Gli Animali. Eccone due brevi stralci.
Il Libro degli Animali Ricordati
Quando il bambino era un bambino di quattro anni, rompeva la testa a tutti con noiosissime storie di animali. E soprattutto con ostinate e ripetitive domande su lotte furiose fra bestie feroci.
– Ma fra il leone e la tigre, chi vince?
– E fra il rinoceronte e l’ippopotamo?
– E fra l’elefante e il cammello?
– Ma se al cammello si aggiunge un leone, fra un cammello e un leone insieme contro un elefante, allora chi vince?
E così via con laboriose variazioni di lottatori e lotte.
[…] Il bambino aveva un grande Libro degli Animali, che spesso a casa posava in terra e squadernava, sfogliando senza mai stancarsi. Sapeva i nomi di tutti gli animali, e voleva che i grandi e i fratellini li puntassero col dito per interrogarlo e poterli nominare. “Tigre del Bengala”, diceva. “Mandrillo”, diceva. “Ay a tre dita”. Le Arie, quelle matasse luminose in movimento (i miei primissimi ricordi, sensoriali, visivi, di masse chiare che vedevo svegliandomi all’alba, forse a due anni; nota mia), erano scese dal cielo incarnandosi in Bestie Possenti, in lotta e sbranamento fra di loro. “Chino ai profondi lieviti, ripatisce ogni fase”, avrebbe letto decadi dopo in una poesia di Quasimodo. “Le bestie dell’anima sono la poesia”, avrebbe letto in un’altra del suo maestro Giuliano Scabia.
Vediamo dove arriva, a cosa va a legarsi questo primo filo.
Secondo filo: il Libro degli Animali Immaginati
Nove anni dopo quel libro autobiografico, nel maggio del 2020, spedii a Giovanna Zoboli le trentadue lunghe filastrocche di Versi di Bestie. Giovanna fu laconica ma esauriente: «Sono bellissime», disse. Dopo due anni – di mezzo i laboriosi calendari editoriali e la pandemia – il libro è uscito con le tavole di Viola Niccolai.
Altri due libri sono legati con fili di Bestie. Il primo è Il Giardino dei Musi Eterni (Salani), uno dei miei pochi romanzi, fortunatissimo questo in premi e tirature. Il secondo è un libro futuro, un racconto illustrato che uscirà forse alla fine del prossimo anno, e di cui, per scaramanzia e riservatezza editoriale, qui non dirò. Ma neanche di questi due libri parleremo. Non solo perché sono fuori dalla tana dei Topi, e qui siamo dentro: anche perché son legati da fili fratelli, sì, ma laterali, divergenti, che si allungano via verso altre figure, e non servono a questo racconto. Anche quei libri parlano di animali, ma in forme letterarie differenti, intrecciando il tema delle Bestie con le vicende umane, in romanzo e racconto. Versi di Bestie invece è un catalogo poetico, un bestiario in rima, un trattato elencatorio medievale. Le sue trentadue Bestie non parlano né lottano fra loro, né con l’uomo: o non direttamente, non in vicende e intrecci narrativi. Stanno lì in fila, una dopo l’altra, a farsi narrare dalla voce del poeta. E figurare dalla mano dell’illustratrice. Appunto: come nel mio vecchio Libro degli Animali.
Immagini di Bestie
Le prime prove d’illustrazione per Versi di Bestie, quando Giovanna me le mandò, mi piacquero subito. In una grande pagina doppia Viola Niccolai inghirlandava un layout provvisorio dei versi con figure di felini: tigre, giaguaro, puma (o gatto?), lince, leone, leopardo, pantera, giaguaro.
Eccola.
Che belli, mi dissi appena li vidi. Proprio così li speravo. Non stilizzati, semplificati, trasfigurati in modalità para-bambina: realistici invece, fedeli, esatti, appena e con grazia marcati dal tratto manuale umano della matita (non fotorealistici: disegnati!). Quasi scientifici e divulgativi. Quasi “non-fiction”. Insomma, avrei detto da bambino (da grande mi censuro): «Fatti bene». Anch’io disegnavo molto, da bambino, soprattutto animali, e ogni mio sforzo era teso a “farli bene”, più somiglianti possibile (vedi sotto). Somiglianti a cosa? A come apparivano, veri ed eterni, nel Libro degli Animali che avevo davanti, quello di cui racconta Doppio Blu.
In seguito, in quel cammino sapiente di prove e varianti che i Topipittori percorrono coi loro artisti, le Belle Bestie persero il colore. O almeno la policromia: presero tinte monocrome, blu, rosso, rosa, verde, giallo, bianco e nero; mantenendo la forza del disegno, e arricchendosi del gioco cromatico di tinte diverse combinate nelle pagine a fronte, e ripetute nei font dei titoli. Finezze, immagino, di cui non sono buon intenditore. Ecco, ad esempio, i Versi di Rondine e Echidna.
Ma permaneva l’incanto. Erano proprio loro, le riconoscevo: le Bestie, quelle che guardavo e riguardavo nel mio Librone Sacro, i cui versi ora suonavano in rima e metro lì accanto.
Ecco il secondo filo, fra i due libri dei Topi: in Doppio Blu avevo narrato di quelle Bestie della mia infanzia, in Versi di Bestie, nove anni dopo, davo loro voce in versi, in rima e metro.
Terzo filo: il Libro degli Animali Ritornati
Persistenza retinica immaginaria
Scrissi a Giovanna, in una delle mie solite mail papiresse, di questo filo. Le dissi che le figure della Niccolai mi ricordavano, in qualche vago modo, quelle del Libro degli Animali della mia infanzia, di cui si parla nel loro Doppio Blu. E che per questo forse, per quell’aura di Bestie Platoniche Primigenie, mi parevano “giuste”, proprio loro. Ma è possibile questo?
Io quel librone non l’ho sfogliato più, non l’ho nemmeno più visto in giro, per cinquanta, forse sessant’anni. Possibile che permanga, come una sorta di persistenza retinica dell’immaginario, una gestalt visiva profonda delle cose del mondo, quelle che abbiamo molto guardate, e sognate e magari disegnate da bambini? In quei pomeriggi, che nel ricordo paiono mille e forse sono stati molti meno, per qualità e non per quantità dell’esperienza, per intensità fresca dei sensi e della mente bambina, quelle figure di Bestie avevano preso dimora profonda nel mio immaginario, sopravvivendo incolumi, immutate, a miriadi di altre viste nei sessant’anni successivi in libri, foto e documentari.
Era così? Mancava la prova, il riscontro. Quel libro, per quanto io ne sapevo, era andato perduto. Non potevo osservare più quelle Bestie Primarie e confrontarle con queste della Niccolai, per verificare quell’eco visiva, se ancora suonasse.
Il Libro degli Animali Ritornati
E invece no, quel libro non era morto, ed è tornato. Dopo tutti quei decenni – i fili non filano a caso – proprio pochi mesi dopo l’uscita di Versi di Bestie.
All’inizio di quest’anno mia sorella, mio fratello e io abbiamo deciso di vendere la Casa dell’Infanzia cagliaritana. È partita la vasta impresa, nota a tutti, del Grande Svuotamento Inventariale delle Cose Famigliari del Passato. Io da lontano, dal Continente, non ho potuto avervi parte attiva, ho dovuto lasciare il peso del trasloco, e del lutto a esso connesso, ai fratelli; soprattutto, per lo spoglio delle care cose, alla sorella, per genere e stirpe destinataria del compito di Vestale custode dei Lari.
A lei, il 6 aprile scorso, parlavo in un Whastapp di quell’antico Libro degli Animali, che tirato dai fili che ho detto fin qui in quel periodo m’era tornato alla mente. «Sarà stato dato via – le scrivevo – smaltito, regalato, coi vecchi libri che stavano nella libreria, l’esiguo vano a muro che stava nella camera di nonna. Non esistono più da tempo quei libri, vero?»
Mio fratello rispose: «Sì, Bruno, ricordo benissimo quel libro. Chi vince? La tigre o il ghepardo? Chi è più veloce?». Mia sorella invece rispose con questa foto:
E sotto, questo testo: «È qui, ben conservato da me, da tempo, malridotto ma sempre lui».
Confesso che mi è salito un nodo in gola. Benedette le sorelle Vestali: il libro era vivo, incredibile! Ritornato dal Regno dei Morti.
Liber Monstrorum
Tanti anni fa, per un progetto teatrale mai realizzato, feci una lunga ricerca sul tema dei Mostri. Una delle fonti più ricche e incantevoli era il Liber Monstrorum de Diversis Generibus, un bestiario delle “creature portentose” (monstra), compilato da chissà che monaco naturalista nell’ottavo secolo.
La storia della zoologia antica, e in genere delle creature immaginarie, indica una delle cause principali di teratogenesi (creazione di mostri) nei celebri “errori dei copisti”: le sviste dei poveri monacelli che negli scriptoria medievali copiavano a poca luce i testi antichi (vedi la poesia Versi di Topotamo sbagliato in Versi di Bestie).
Le pagine di quel libro ritrovato erano in parte volanti, staccate dalla secca rilegatura, e la sorella, nella fretta di mettere via, le aveva assemblate un po’ a caso. Per cui le prime foto che mi inviò, scattate col cellulare, mi mossero al riso. Ecco ad esempio, in due pagine appaiate erroneamente, apparire due mostri degli errori: un grazioso Antilocastoro (al centro, sopra) e un pauroso Formicamoscio (al centro, sotto).
Ma prima di questo, ben altro sentimento mi aveva assalito nel rivedere quelle immagini dopo più di mezzo secolo. Impossibile e forse inutile descriverlo: l’ha fatto Proust con le celebri madeleinettes. E benché la vista sia senso meno arcaico e profondo del gusto, anche quella può scagliarci in un istante giù nel buio di un passato remotissimo, che splende vivido come in un lampo per un istante, e poi sbiadisce via di nuovo nell’oblio. E a riguardare ancora splende e poi sbiadisce, e così via ogni volta.
Quelle immagini antiche erano allo stesso tempo oneste figure didattiche e Mostri del Tempo: combinazioni ibride e fulminee di Oggi-Ieri, di Oggi-Oggi e di Oggi-Sempre.
A volte ritornano, però cambiati
La tavola che mi fulminò sopra le altre, una delle più amate e frequentate, fu quella dei grandi felini. Eccola qua.
Bene, ora si può tentare la prova sperimentale del quesito senza risposta di cui sopra: le Bestie disegnate da Viola Niccolai mi parevano giuste, mi parevano “loro”, perché mi ricordavano quelle archetipiche del mio caro Librone? Eccole qui, ditelo voi: grandi felini sopra, grandi felini sotto. Le richiamano? Si assomigliano? Forse no. Decisamente no poi quelle attuali, le figure che si vedono nel libro, non più a colori ma monocrome in tinte diverse. Però. Però per me, al di là dei confronti lucidi, critici, tecnici, dell’uomo scrittore di oggi, nello strato sottostante della mente, nelle stanze remote del bambino lettore di allora, le figure di Viola Niccolai continuano ostinate a essere “giuste”, a essere loro: le Bestie.
Lascio agli specialisti dell’illustrazione il confronto critico e storico esatto fra i disegni dei felini di oggi e di cento anni fa (quel libro io lo leggevo negli anni cinquanta, ma nel retro del frontespizio è riportato l’anno di edizione: “923”). Io posso solo azzardare un banale pensiero: per forza non sono simili, sono passati cento anni, ci mancherebbe. Ma non ci accade forse di riconoscere una persona cara che vediamo dopo vent’anni, dopo trenta?
A volte tornano, però cambiati.
Stanno andando o venendo?
Nel libro Versi di Bestie che va in libreria splende la forma finale dei disegni: ben diversi da quella prima tavola in bozza riportata sopra, coi suoi felini in cerchio, compiutamente tracciati e colorati. La successiva evoluzione di quelle figure, di prova in prova, ha reso infine le Bestie monocrome, e poi mano a mano schiarite, evanescenti, alcune incompiute, con zampe o terga o coda che svaniscono nel bianco, come da finire di disegnare.
E anche questo svanire a pezzi e parti ho accolto, e mi son narrato, con stupita armonia. E certo!, mi sono detto: perdono tratto, colore, forma e sostanza, perché vengono da lontano. Da lontanissimo nella memoria mia privata di individuo, e nella storia intera delle specie, delle forme di vita terrestri e dei loro rapporti. Sono a un tempo i miei antichi e personali Spiriti Guida, e i cari fratelli perduti della specie umana, lasciati indietro lungo ere innumerabili. Che si allontanano da noi sempre più in fretta, si estinguono a ritmi luttuosi, ci lasciano soli. Nella sciagura? Nell’estinzione? Forse. Ma anche «Magari no», come diceva Samvise Gangee ribattendo alle nefaste profezie di Frodo Baggins sugli esiti dell’Impresa dell’Anello, e delle loro stesse vite. «Magari no, Padron Frodo». Chi può dirlo? Questo fa le immagini d’arte più forti dei film. Perché son ferme, fisse nel loro mentre, nel frattempo di un divenire: ma chi può dire se una figura è evanescente perché sta sparendo o sta riapparendo? Se quelle Bestie ci stanno lasciando o stanno tornando?
Un’esperienza “incisiva”
A margine: un altro ricordo, portato a riva dalla risacca di quel libro.
Ho scritto sopra che non solo guardavo e studiavo, e fantasticavo e nominavo a memoria le mie Bestie, ma che anche le disegnavo; e che mi industriavo, da bambino diligente («Il bambino che si concentra è immensamente felice», scrive Maria Montessori), di “farle bene”, cioè somiglianti più che potevo all’originale. E come facevo, che risorse adottavo per farle bene? Eccole quelle risorse, perdute per lunghi decenni nell’oblio, e ritrovate nel retro bianco delle pagine illustrate di quel vecchio libro. Ecco la pagina sinistra della doppia tavola XIV, Uccelli Rapaci. Il recto illustrato, e il verso bianco.
Ricalcavo! Posavo un foglio bianco sotto la tavola illustrata e seguivo “calcando forte” con la matita il profilo e le forme dell’Aquila, imprimendone traccia così sul foglio sotto. Completavo il disegno poi seguendo a mano quei solchi di ricalco. E poi fuori le matite colorate. (Lo scarabocchio sull’aquila ricalcata, come altri sacrileghi in giro per il Libro Sacro, era, suppengo, l’apporto creativo del fratellino piccolo, che vedeva e voleva anche lui fare).
Oggi, mi rendo conto, qualunque editore (bibliotecario, libraio, insegnante, genitore) allibirebbe davanti a questa barbarie, e ne verrebbe fuori una sgridata. Ma allora i libri in casa erano, per paradosso, al tempo stesso pochissimi e fungibili, preziosi e utilizzabili, e multiuso. Se ne conclude che l’esperienza delle Bestie in questo antico libro, per l’immaginario di quel bambino futuro autore, è stata al di là di ogni dubbio alquanto “incisiva”.
Altri fili: i libri di Bestie Future
Ogni libro è legato a ogni altro libro
Un filo ben solido e chiaro legava dunque uno con l’altro due miei libri dei Topipittori: Doppio Blu, dove fra tante altre cose della mia infanzia narravo il mio amato Libro degli Animali; e Versi di Bestie, dove quel libro, coi suoi animali archetipi affondati nella memoria, trovava nuova narrazione in versi.
Un altro filo, più evanescente ed elusivo, che credevo perso e che invece, tirandosi da solo, mi ha riportato quel libro dal Regno dei Morti, legava le illustrazioni di Viola Niccolai per il nuovo libro con quelle antiche figure della mia infanzia.
Altri fili ancora, forse infiniti, legano quei tre libri con altri ancora, ognuno a ogni altro nel presente, e tutti insieme al futuro. In un post della loro pagina Facebook il 30 giugno scorso i Topipittori, con legittimo orgoglio, scrivevano: «Sono usciti da 20 giorni, e oggi abbiamo dovuto metterli in ristampa in fretta e in furia per evitare che le librerie e i lettori rimanessero senza. Sono i due nuovi titoli della collana PiNO- Piccoli naturalisti osservatori: Code pinne e branchie di Barbara Cuoghi, Emiliano Vizzi e Lorenza Natarella, e In riva al mare di Elisabetta Mitrovic. È una grande gioia che questa collana dedicata alla conoscenza della Natura abbia questo riscontro, che sia così amata».
Sì, è una grande gioia. Come ho scritto, quel mio antico Libro degli Animali è stato pubblicato cento anni fa, e io lo sfogliavo seduto per terra ormai quasi settanta anni fa. È una gioia scoprire che altri bambini, e tanti, un secolo dopo sfogliano e guardano e sognano figure di Bestie in altri libri: quei due dei Topipittori e infiniti altri. Accovacciati per terra in altre stanze, diversissime da quell’antica mia: ma sono, con diversissimi disegni, le stesse Bestie, e noi siamo, diversissimi, gli stessi bambini.
Ogni cosa è legata a ogni altra cosa
«Our lives are not our own. From womb to tomb, we are bound to others, past and present. And by each crime and every kindness, we birth our future».
(La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passato e presente. E da ogni crimine e ogni gentilezza noi generiamo il nostro futuro.)
Così enuncia la profetessa-clone Somni-451 in Cloud Atlas, film del 2012 scritto e diretto dai fratelli Wachowski, tratto dal romanzo L’atlante delle nuvole di David Mitchell. È grande gioia, e conforto e speranza, questa infinita processione di bambini che nei secoli guardano e sognano libri di Bestie, quei nostri fratelli perduti. E se da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il futuro, allora, c’è da credere, anche forse da ogni libro e ogni lettura.
L’antropologa ambientalista femminista californiana Donna Haraway, nel suo libro scritto in prosa lisergica Chtulucene, parla e straparla di “simbiogenesi multispecie”: rigenerare la vita del “pianeta danneggiato” insieme con le altre specie, “making kin”, costruendo nuove e vecchie parentele con le “companion species”, specie compagne abbandonate nei millenni. Dopo essersi spinti troppo avanti, e troppo soli, ed essersi cacciati in un gran guaio, alcuni umani ci stanno pensando: se ne esce con gli animali e con le piante. “Worlding” (intraducibile ma bellissimo: “mondulare”, “mondire”?) insieme a loro.
Riusciremo a farlo? O al contrario, letteralmente in senso opposto, ci ibrideremo sempre più a fondo con le macchine, per essere sempre più umani, enhanced, potenziati, come si augurano invece i transumanisti?
Quelle Bestie stanno partendo o stanno tornando?
Non lo sappiamo, non lo sapremo, non alla nostra età, non alla mia. Lo sapranno i bambini. Ci penseranno loro. E intanto che si preparano a pensarci, è grande gioia scoprire che sono lì che leggono e guardano assorti libri di Bestie, legati da fili fra loro e tutti al futuro. Come me, con me nel passato di un secolo fa, e nel presente di libro in libro, di filo in filo.