ovvero La strategia del pattino. Una mostra di Francesca Crisafulli a cura di Chiara Capodici
[di Chiara Capodici]
«Questa è una mostra su un libro che non c’è. Quello che vedete è, per la maggior parte, ciò che è stato scartato lungo il suo processo di costruzione, dalle singole immagini alle intere versioni precedenti. Tutto quello che è stato lasciato andare, proprio come la zavorra gettata in acqua per far andare il pattino alla deriva, il più lontano possibile dalle comode sdraio della spiaggia. E così gli scarti, portati fuori dalla dimensione editoriale, hanno dato vita a molteplici soluzioni espositive, diversi livelli di lettura che hanno prodotto un mare di onde blu sul marciapiede, un tavolo pieno di vecchie foto al mare sul pattino, gli scatti fotografici appiccicati sul pavimento (d’altronde venivano tutti da lì), una serie di poster attaccati su un brutto muro che aveva voglia di colore, le maquette del libro nelle versioni scartate e, ovviamente, le stampe e i collage originali esposti non nella loro composizione editoriale, ma come singoli quadri che hanno vita propria.
Ognuno, a questo punto, è libero di tracciare connessioni e fare le sue associazioni!»
Cosa succede quando siete un poco al largo e lasciate andare il vostro pattino alla deriva? Tirando i remi in barca, ci si lascia trasportare dalla corrente, sporgendosi verso un mondo dove dalla superficie dell’acqua si affacciano sorprese, altre forme di vita, esseri altri, essere altro.
Lo sappiamo, le immagini, in generale, si prestano bene a libere associazioni. Ma ogni tanto bisogna anche cercare strategie che aprano altre vie.
La fotografia è in questa mostra che si è tenuta a Roma lo scorso ottobre, presso Leporello, che poi è il mio spazio espositivo al Pigneto, un trampolino, a volte un sassolino, o perlomeno è stata utilizzata come tale. Un po’ come la scala della famosa proposizione di Wittgenstein: «Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso su essa.) / Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo.»
Francesca Crisafulli ha iniziato qualche anno fa a fotografare forme incontrate per la strada. Con lo sguardo vaga a terra e riprende disegni spontanei che rimandano solo in maniera vaga, aperta, a immagini e oggetti, che poi ricostruisce facendo riferimento alla sola memoria, attraverso una declinazione di riscrittura automatica, ma metodica, e lontana, almeno in parte, dalla riproduzione mimetica, o da quella che può sembrare la sua forma più diretta.
Nella progettazione del libro, ideato per la casa editrice Topipittori e ancora in fase di elaborazione definitiva, a una prima fase, in cui la selezione delle immagini coinvolgeva solo le fotografie realizzate da Francesca lungo il suo cammino, se n’è gradualmente integrata una seconda, in cui alle foto si sono aggiunti una serie di monotipi, collage, lavori in cui sono confluiti differenti tecniche e approcci costruiti per sovrapposizioni di elementi e forme. Le immagini fungono qui da punti di partenza per possibili ricostruzioni di mondi che sono una commistione di reale e immaginario e dove si intrecciano più, potenziali, narrative: l’immaginario interagisce con il reale in una forma attiva di tracciatura relazionale, sequenziale e continuamente trasformativa.
I bambini non hanno difficoltà a seguire questi fili intrecciati in più modi. Riconoscere la molteplicità dei livelli associativi che mettiamo in atto nel trasformare la memoria di un’immagine e i suoi effetti sul nostro essere al mondo ci aiuta a confrontarci con la sua complessità, a non sentirci persi se non seguiamo percorsi preordinati. E così, se mostrare molteplici tracce e l’apertura di possibilità narrative può confondere le idee, fatti i primi passi insieme, si può proseguire per percorsi separati e intersecare da una parte i segni delle immagini fotografiche, come sassolini di una caccia al tesoro, mentre dall’altra seguirne la deriva, tirando i remi in barca e osservando cosa succede oltre i loro bordi.
La selezione e l’allestimento delle immagini di questa mostra hanno avuto anche un altro intento, quello di mettere in luce un processo creativo e confrontarlo con un editing funzionale a una pubblicazione: una forma di ricerca sulle possibilità di differenti orizzonti associativi e dei loro spazi d’azione, in forma di libro, nei volumi architettonici dentro e fuori la libreria, e sempre nelle forme della carta.
Come prende forma un’immagine e quali configurazioni narrative possiamo articolare? Come decifrare i vari piani di lettura delle immagini e farne nuove cifrature? Molte delle immagini esposte alla fine sono state scartate dalla versione definitiva del libro, a testimonianza di quel processo “a levare” indispensabile in un progetto editoriale. Ancor più necessario quando navighiamo nel mondo dei libri per bambini.
Oltre ad essere inizi di possibili sentieri, le fotografie rappresentano dei pattìni da cui è bello affacciarsi ai bordi, delle piattaforme, dei trampolini, delle scale che non è necessario gettar via. Le immagini che scorgiamo fuori bordo hanno una vita che è slegata dalla nostra base galleggiante, vanno lasciate fluttuare alla deriva.
Gli spazi di Leporello le hanno ospitate offrendo uno spazio di sperimentazione per nuove relazioni. E voi, seguite mai la strategia del pattino?