«Se ovunque, nelle forestebrasiliane come nel deserto del Kalahari, nella Cina arcaica comenella Grecia Omerica, in Mesopotamia e in Egitto e nell'India vedica,la prima forma in cui si è manifestato il linguaggio, è stata quelladel racconto – e ogni volta di un racconto che parlava di esserinon del tutto umani -, questo presuppone che nessun altro uso dellaparola apparisse più efficace per stabilire un contatto con entitàche ci avvolgono e ci sopravanzano.»
Quando ho lettoquesta riflessione, contenuta in I libri unicidi Roberto Calasso (saggio che fa parte dell'imperdibile L'improntadell'editore),ho pensato subito al racconto LeHorla di Guyde Maupassant splendidamente illustrato da LucaCaimmi ed edito da Nuages, inmostra fino all'8 giugno, a Milano, nell'omonimagalleria. Avrei dovuto scriverne prima, di questa mostra, perpermettere agli interessati di visitarla con più agio, ma sonoriuscita ad andarci solo qualche giorno fa.
LeHorla, scritto nel 1886 in due versioni(quella edita da Nuages è la seconda), appartiene didiritto all'antichissina categoria di racconti che parlanodi esseri “non del tutto umani”.
Maupassant, che fu fraterno amico diGustave Flaubert e finì i suoi giorni, ancora giovane, in unoospedale psichiatrico, minato dalla malattia maledetta del secolodiciannovesimo, la sifilide, molto si occupò delle “entitàche ci avvolgono e ci sopravanzano” (in una produzione narrativache da alcuni anni è raccolta in volume da Einaudi col titolo Raccontidell'incubo).
A pieno titolo narratorecontemporaneo, lo scrittore francese indaga la relazione dell'uomocon quanto lo circonda soprattutto attraverso le dimensioni,interpretate come patologiche e terrorizzanti, del doppio edell'invisibile. In Le Horla, storia di unapossessione e del progressivo delirio che ne accompagna il rivelarsi,è l'angoscia la grande protagonista: la seduzione del manifestarsidell'inconoscibile, di quella dimensione altra che convive, parallelae minacciosamente prossima, accanto a quella familiare, solare eingenua, del conosciuto, e nel contempo la sua rimozione, la censuraradicale operata nei suoi confronti.
Esemplare,a questo proposito l'incipit del racconto:
8 maggio. - Che stupenda giornata! Hotrascorso l'intera mattina disteso sull'erba, davanti alla mia casa,sotto l'enorme platano che la protegge e la ricopre completamente conla sua ombra. Amo questo paese e amo viverci perché qui ho le mieradici, queste profonde e delicate radici, che legano un uomo allaterra in cui sono nati e morti i suoi antenati, che lo legano a quelche si pensa e a quel che si mangia, ai costumi come ai nutrimenti,ai modi di dire locali, alla cadenza dialettale dei contadini, agliodori del suolo, dei villaggi e dell'aria stessa.
Amo la casain cui sono cresciuto. Dalle mie finestre vedo la Senna che scivola,lungo il mio giardino, dietro la strada, e pare quasi entrare dentro lamia casa, la grande e larga Senna che va da Rouen a Le Havre, copertadi battelli che passano.
L'idillio dureràpoco, e il natio ostello, le sacre radici, contaminate da un demoniacapresenza giunta da lidi lontanissimi, riveleranno alprotagonista la loro duplicità, rivelandosi portatrici di malattiae angoscia.
12 maggio - Ho unpo' di febbre da qualche giorno; mi sento sofferente, o piuttosto misento triste.
Da dove provengono quegli influssi misteriosiche cambiano in scoramento il nostro buonumore e la nostra serenitàin angoscia? Si direbbe che l'aria, l'aria invisibile, sia piena diinconoscibili Forze, di cui subiamo la misteriosa vicinanza. Mi svegliopieno di allegria, con la voglia di cantare nella gola. - Perché? -Scendo lungo la riva del fiume e subito, dopo una breve passeggiata,rientro desolato, come se qualche disgrazia mi aspettasse a casa.
Perché? - È forse un brivido di freddo che, sfiorando la mia pelle,ha scosso i miei nervi e rabbuiato la mia anima? È forse la forma dellenuvole, o il colore del giorno, il colore delle cose, così mutevole, che,attraversando i miei occhi ha sconvolto il mio pensiero? Chissà, tuttoquello che ci avvolge, quello che vediamo senza guardarlo, quello chesfioriamo senza riconoscerlo, quello che tocchiamo senza percepirlo, tuttoquello in cui c'imbattiamo senza distinguerlo ha su di noi, sui nostriorgani e, attraverso di loro, sulle nostre idee, sul nostro stesso cuore,effetti rapidi, sorprendenti e inesplicabili.
Com'è profondoil mistero dell'Invisibile!
Secondo Valdimir Propp in Radicistoriche dei racconti delle fate: “Di tuttele specie di divieti coi quali ci si voleva proteggere dai démoniche appaiono nella fiaba in veste di serpenti, di corvi, di caproni,di diavoli, di spiriti, di turbini, di occhi, di maghi, di esseri cherapiscono le donne, le fanciulle e i bambini, quello che meglio èriflesso nel racconto di fiabe è il divieto di lasciare la casa.”Per l'uomo contemporaneo, da oltre un secolo, e come suggerisceLe Horla, la casa che è tabù abbandonare ela cui infrazione vale a precipitare nella demenza e nel ripudiosociale, è quella rassicurante delle certezze materiali, delvisibile, delle malintese conoscenze offerte da una desueta ideadi scienza, paradiso di verità incrollabili e date. Le radici,pilastro dell'identità e fonte di ogni bene, una volta esposte allapresenza di una alterità che sfugge al discorso delle certezze,si configurano come malattia mortale.
La portata diquesti temi, come si nota, è ampia. Il compito di chi si trova adare forma a questo immaginario, come ha fatto Luca Caimmi, non è nésemplice né scontato. Nelle tavole di Luca non vi è alcuna tracciadi quella iconografia di genere tanto vistosa, oggi: del gotico,nella odierna e baraccona versione dell'horror,non c'è traccia in queste pagine. Una scelta apprezzabile. Né vi ètraccia alcuna di compiacimento: quell'indulgere al mostruoso, alladeformità esibita, all'estetica del patologico che oggi è una dellestrade più frequentate della trasgressione di massa. L'illustrazionequi sembra riflettere con precisione su visibile e invisibile. Su unapercezione che definisce la realtà per opposizione, esemplificatadal conflitto fra bianco e nero.
La rappresentazionedell'incubo attraverso il conflitto fra ombra e luce non è sicuramenteun'invenzione di Luca Caimmi: da Gustave Doré ad Arthur Rackham, daAlberto Martini a Lorenzo Mattotti sono stati in molti a percorrerequesta strada. La raffinatezza e la sorpresa delle tavole di Luca,volutamente ingenue, un po' infantili, sta nell'offrire un bianco e nerosconvolto, ribaltato. Le sue immagini somigliano a negativi, quando inegativi facevano parte della pratica corrente della fotografia (ed èun peccato che tale esperienza oggi sia preclusa e ci tocchi vedere leimmagini che prendiamo del mondo - tutte, subito e sempre - a colori). Deinegativi, invece, le immagini di Le Horla, ci fannofare l'esperienza di disagio: improvvisamente e imprevedibilmente,i volumi della realtà sono aree sconosciute e illeggibili, campituredi buio. I soli segni percorribili, sono, insaspettamente, i profilidell'ombra, diventati luminosi, percepibili. Per un attimo, in questomodo, si ha l'impressione di cogliere un segreto sulla consistenzadel reale che tuttavia non si svela, gravato dal rifiuto, dalla pauradello sguardo di affrontare una realtà sconosciuta. In questa visionealiena, così, si finisce per cercare solo la realtà conosciuta e,per la frustrazione del suo non manifestarsi, per percepirne solol'aspetto temibile, mostruoso.
Quello che viene allaluce in queste tavole non è tanto il mistero, credo, quanto il limitestesso della nostra percezione. La paura di vedere, forse la piùangosciante fra tutte.
Ho l'impressione che Luca abbiapensato che fosse interessante far fare al lettore di LeHorla, un'esperienza simile a quella di entrare in un boscodotati di una apparecchiatura all'infrarosso per spiare gli animalinotturni. La mostruosità di quel che luce e ombra raccontano, nelrapporto invertito imposto dalla tecnologia, costringe l'osservatore auno sforzo estremo di controllo, di traduzione del terrore in immagineconosciuta. O pretesa tale. Un risultato non da poco. Luca Caimmi,che con noi nel 2008 ha pubblicato il suo primo albo illustrato, Lanave, è, a mio avviso, uno di quegli illustratoriil cui lavoro trova ragione d'essere solo in un'adesione, in unacorrispondenza totale con il testo. Sembra sia, questo, il caso.
"Non è forse vero che vediamo solo lacentomillesima parte di quello che esiste?" spiega un monacoal protagonista del racconto. "Ecco qua il vento, che èla più grande forza della natura, che fa cadere gli uomini, abbattegli edifici, sradica gli alberi, solleva il mare in montagne d'acqua,distrugge le rocce e scaglia contro gli scogli i grandi bastimenti,il vento che uccide, che sibila, che geme, che muggisce, - l'avetemai visto, e potete vederlo? Tuttavia, esiste".
Da oggi il nostro blog, avvicinandosi il periodoestivo, sarà aggiornato tre volte a settimana. (gz)