[di Diletta Colombo]
"Allora, per domani a mezzogiorno, va bene?"
"Sì, dopo il temporale c'è sempre bel tempo."
"E il luogo dell'appuntamento?"
"Davanti a questa capanna ti va bene?"
"Ok. Ma se non ti riconosco dalla faccia?".
"Già, per sicurezza diremo: Sono chi ti è diventato amico in una notte di temporale".
La pioggia è finita, la capra e il lupo, protagonisti del famosissimo libro di Yuichi Kimura (In una notte di temporale, Salani 1998), si danno appuntamento per il giorno seguente e lasciano la capanna in cui entrambi si erano rifugiati nel buio più completo.
Alla luce del sole chissà che cosa potrà succedere ai due amici, si trasformeranno in nemici come la storia e la letteratura sempre dimostrano?
Ho ripreso in mano il libro per caso dalla libreria di un’amica per accompagnare il sonno di mia figlia in una sera di vacanza.
Quella domanda "Allora, per domani a mezzogiorno, va bene?" mi ha illuminato, ricordandomi il finale di Duello al sole (Orecchio Acerbo 2020): “Domani stessa ora?” chiede l’indiano al cowboy dopo un’intera giornata passata a tentare di colpirsi con freccia e pistola sotto il sole cocente del Far West.
Qualche settimana fa ho iniziato a raccontare della guerra a mia figlia che ora ha due anni e mezzo, mostrandole anche alcuni video per darle una dimensione di verità.
"Sono tristi?"
"Perché scappano dalla vita mamma?"
"Dove vanno?"
"Fammi rivedere le case che sono distrutte"
"Questo metà a me e metà all'Ukraina" dice Lia (2 anni e mezzo), con in mano una merendina.
Poco dopo mi ha detto, per associazione di idee, "Quella volta mamma che sei uscita e non ti trovavo, sennò così ti perdo". Ho capito che per lei guerra significa perdita.
Non mi sono chiesta se un bambino piccolo è pronto a vedere e a sapere della guerra, e i bambini che la vivono? Loro invece? Sono pronti? Solo chi vive qualcosa è costretto a parlarne?
Ogni famiglia ha i suoi tabù, chi non ha mai condiviso parole sulla morte, chi sul sesso, chi sull'amore, chi altro e infiniti silenzi. In una conferenza online su come parlare ai bambini della guerra, è stato citato Franco Lorenzoni: «La guerra è il peggior tradimento dell’infanzia, una ferita che non si può e non si deve nascondere. Una comunità che sa sostare di fronte ai dubbi e alle domande, incarna la speranza».
Abbiamo iniziato anche a leggere Duello al sole, uno dei più begli albi dal dopo guerra a oggi, per parlare di guerra, di conflitto, di quante cose più interessanti ci possono essere nella vita (qui la recensione di B**k per Circi). Ha iniziato a giocare con una tenda degli indiani che prima guardava poco. Forse c'è un circolo vitale tra le cose, tra i video, i libri, i giochi, anche sulla guerra. Per non lasciare che le cose passino, che riguardino solo gli altri, per condividerle, per sentirsi più liberi, per capire cosa sentono i bambini anche piccolissimi di fronte alle cose che accadono e a che cosa le associano per esprimersi.
Qualche giorno fa, poi, nel cortile del nostro palazzo, si scambiavano alcune parole coi vicini sulla scuola elementare del quartiere e una mamma raccontava di essere stata chiamata da un’altra perché “suo figlio aveva spaventato il compagno parlandogli della guerra”. Anche solo parlare della guerra è pericoloso, crea “spavento”. Perché intorno non c’è “una comunità che sa sostare di fronte ai dubbi” ma, in gran parte, il vuoto di genitori e maestri che non raccolgono quanto accade nella realtà come occasione per creare un confronto collettivo e intergenerazionale (da non perdere la rubrica quotidiana Rassegna stampa per bambini). Perché c’è il vuoto di un paese che non si spaventa di fronte all’aumento della spesa militare fino al 2% del Pil, mentre la spesa pubblica per la scuola diminuirà dal 4% al 3,5% nel 2025 con la motivazione del calo demografico.
Che cosa fa paura a noi adulti del parlare di guerra? Che i bambini si spaventino e ci chiedano più attenzione e cura? O che ci fa paura essere messi allo scoperto su tutte le forme di guerra quotidiana, create e lasciate irrisolte a livello politico ed educativo?
Anch’io di Chenxino (Topipittori 2022), dopo una collezione di desideri liberi di una bambina, si chiude con il desiderio di diventare grande e, nell’ultima doppia pagina, una grande “io” saluta una piccola “io” nella sua mano. Un finale spiazzante che guarda all’adulto che è in ogni bambino, più che al bambino che è in noi. Una prospettiva necessaria anche per parlare di guerra e sfoderare tutti i silenzi di cui gli adulti coprono i bambini come una morbida coperta con cui andare a fare la nanna. “Il sonno della ragione genera mostri” titolava Goya a fine Settecento.
Se In una notte di temporale il buio permette di riconoscersi al di là di ogni differenza e stereotipo, lasciando aperta la domanda su cosa accadrà di giorno, è solo con un duello alla luce del sole che si può giocare alla guerra, entrare in conflitto (e poi parlarne) con rispetto e cura dell’altro, con regole chiare e condivise. Forse con un Duello al sole possiamo essere, in fondo, sereni e avere fiducia, anche di fronte a ogni male che potrà capitare, dolore o spavento.