«Su alcuni grava l’obbligo
di pagare le ali.»
Wisława Szymborska
[di Cristina Bellemo]
Quando incontro i bambini, spesso mi chiedono come nascono le mie storie.
Conservo solitamente memoria cristallina del luogo, del tempo, di alcuni particolari apparentemente secondari (una tonalità di colore, un’espressione su un viso, un oggetto), dello stato d’animo, perfino, in cui un’idea è germogliata, e di come poi il racconto ha preso a fluire. Non di Due ali, però.
L’unico dettaglio che ricordo con un po’ di nitidezza è il verso di Szymborska riportato qui sopra, attinto dalla poesia Nulla è in regalo: ho la certezza che ha contribuito a far scoccare la scintilla, perché la potenza poetica di quei versi mi aveva disarmato. La poesia che ci denuda. Poi la nebbia, intorno a Due ali. Ricordo il mettermi al computer, la storia che quasi si faceva da sé, scritta in più riprese. Tutto molto sfuocato. E questo è singolare.
Perché c’è un’altra domanda che quasi sempre i bambini mi rivolgono: «Qual è, tra le tue storie, quella che ti piace di più?».
Rispondo che è davvero difficile fare una graduatoria, per motivi diversi sono legata a tutto ciò che scrivo, e non rinnego nulla del mio percorso, perché so che tutto ha avuto un valore, una sua esatta necessità.
Ma per Due ali è un’altra faccenda. La leggevo e la rileggevo, ancora inedita, e mi sorprendeva il trovare sulla pagina qualcosa di così vicino al mio sentire, così somigliante. A questa storia voglio un bene speciale, ma a un affetto tanto diverso nell’intensità non so dare ancora spiegazione compiuta. Resto inerme, e anche un po’ sopraffatta.
Rifletto per far affiorare al livello della consapevolezza questo slancio istintivo: è vero che gli affetti non si spiegano, si sentono e si vivono, ma credo che sarebbe importante per me capire. Forse questa storia custodisce in sé, nella figura della metafora, molto della mia storia. Della ricerca delle ali.
Mariachiara Di Giorgio, studio per Due ali.
Che ali ho cercato? E di quale piume sarebbero mai state tessute? Nei momenti più faticosi ho addirittura sperato che qualcun altro, qualcos’altro decidesse al posto mio. Intanto, però, non ho smesso di riporre nella mia scatoladeltesoro tutto ciò che avvertivo come prezioso, ciò che avrebbe potuto esserlo nel viaggio: cose incontrate allontanate capite attraversate toccate sfiorate raggiunte rifiutate appartenute. In quei momenti c’è stato qualcuno che ha creduto al posto mio. Qualcuno a cui devo infinita gratitudine, ha rimpiazzato le mie titubanze con una fiducia senza riserve.
Quando sono stati pubblicati i miei primi libri, non volevo crederci: non poteva essere che capitasse a me. Sentivo tutta la gioia sconcertante di quel sentiero, la sua attrazione di giardino segreto. Però mi mancava il coraggio.
Ricordo le parole di una persona cara, rimaste impresse a mo’ di tatuaggio: «Se si scoprono questi doni, bisogna solo togliersi le scarpe, per rispetto, ed entrare» (nel disegno di Mariachiara, il signor Guglielmo perde una ciabatta quando prende il volo, l’altra si sta sfilando, resta scalzo…).
Così mi sono affacciata, a quel giardino segreto. E forse è stato in quel momento che mi sono accorta delle ali. Candide, come di una storia tutta nuova da scrivere.
Mariachiara Di Giorgio, studio per Due ali.
All’inizio ho fatto proprio come il signor Guglielmo: mi sono detta che erano certamente di qualcun altro, che erano state dimenticate, lasciate per sbaglio. Che dovevano essere restituite, pagate almeno («l’obbligo di pagare le ali»). Tuttavia ho continuato a prendermene cura. E poi, insomma, a un certo punto, mi sono arrischiata a indossarle (ecco, fino al punto di constatarne le radici e lo sbocciare nel mio stesso giardino non credo che avrei potuto arrivare…).
Mi sono accorta, ma non molto tempo fa, che le mie storie hanno sempre a che fare con le altezze, e il cadere, e i voli e le leggerezze, e i cieli e le pesantezze, il blu, i decolli, le ascese, i boschi da attraversare per uscirne nuovi, i viaggi da intraprendere. Sono storie piccole che fluttuano nell’universo.
Mariachiara Di Giorgio, storyboard per Due ali.
Giovanna Zoboli, con la sua consueta genialità negli abbinamenti, ha tenuto d’occhio Mariachiara Di Giorgio e ha pensato che lei fosse la persona giusta per illustrare Due ali. Che levità, che poesia, che meraviglia nel lavoro di Mariachiara: ora nel mio immaginario il signor Guglielmo ha le sembianze che lei ha disegnato. Eppure, scrivendo la storia, non l’avevo immaginato anziano, né stempiato, né rotondetto. Ci sono alcune pagine in cui vorrei stare, stare proprio in quel posto lì, con quella luce: la potenza di Mariachiara nel restituire la luce, certi momenti di luce! Il signor Guglielmo è una creatura di luce, che splende incessantemente.
Alla fiera di Bologna, al momento delle firme alla libreria internazionale, una lunga fila di persone di tante diverse nazionalità (Italia, Cina, Corea, Hong Kong, Spagna, Irlanda, San Marino…): attendevano una dedica sul proprio libro. Mi sono chiesta che cosa, di questa storia, sia capace di parlare con tanta forza in maniera così trasversale.
Forse tutto sta nella ricerca delle ali. Che riguarda tutti noi, creature terrestri con l’attitudine al volo, a sollevarci, la curiosità di guardare le cose da altre prospettive, di riuscire a vedere ciò che dalla terra e dalla terrestrità non è (sempre) vedibile.
Mariachiara Di Giorgio, studi per Due ali.
Quando Due ali è arrivato nelle mani dei lettori è stato come sempre sorprendente. Ci siamo divertiti e pensare alle nostre scatoledeltesoro, e vi abbiamo trovato dentro le cose più strane: una bicicletta, un anello, un pupazzetto, un quaderno, un regalo, una parola, uno strumento musicale, un colore, un ricordo, una fotografia.
E le ali? Che cosa faremmo, se trovassimo un paio di ali nel nostro giardino? Dove andremmo? Che cosa fareste? Dove andreste?
Ci sono stati bambini e adulti che mi hanno raccontato la loro lettura di Due ali come di una storia sulla morte.
«Alla fine il signor Guglielmo muore, e va in cielo, vero?»
«Come mai hai deciso di affrontare questo tema in un albo illustrato?»
In fase di scrittura non ho mai, mai pensato alla morte come alla chiusa della storia. Ho immaginato l’emozione del primo volo, il riporre poi le ali solo fino a un nuovo decollo, e chissà poi a quanti altri. Fino a che le ali diventassero quasi una estensione del corpo, e del muoversi nella vita. Le ali hanno avuto per me, almeno consapevolmente, il valore dello sporgersi, anche con audacia, su un futuro.
Mariachiara Di Giorgio, studi per Due ali.
E però, ancora e ancora, mi confermo nella convinzione che una storia appartiene ai lettori, più ancora che a chi la scrive.
E che poco senso ha l’idea delle storie «a tema», perché ciascuno, in una storia, trova i temi che più gli parlano, che parlano alla sua personale storia.
«Forse perché il nome Guglielmo richiama un nonno, e tanti bambini hanno già fatto esperienza della morte di un nonno», mi ha detto una mamma la cui bambina aveva interpretato il volo del protagonista come l’ultimo viaggio, quello definitivo.
La scelta dei nomi, quando scrivo, ha per me un’importanza fondamentale: se non è il nome giusto, la narrazione langue, non procede. Guglielmo mi richiama una nobiltà d’animo, che si staglia e si eleva sulla mediocrità di chi, intorno a lui, non sa riconoscere la possibilità delle ali («noi siamo gente con i piedi per terra»). E mi piace l’idea implicata dall’etimologia, che mette in gioco una determinazione agguerrita a proteggere una volontà.
Un’ultima cosa. Tra i lettori di Due ali c’è stata anche Stefania Liverini, che gli ha dedicato una recensione nel suo blog La coda dei libri. Con l’abituale intelligenza, Stefania si è soffermata anche sulla dedica, che dice così: «Alla mia maestra Franca, che ha custodito le mie parole. E così le mie ali».
Leggo sempre le dediche che gli autori pongono davanti alle loro storie, come elementi niente affatto accessori, anzi strutturali, e rivelatori.
«Hai mai dedicato un libro alla tua maestra?» mi avevano domandato i bambini dopo aver ascoltato un aneddoto della mia infanzia che spesso racconto.
Mariachiara Di Giorgio, studi per Due ali.
Avevo dieci anni, era l’inizio della quinta elementare, la fine dell’estate.
Accade che c’è una festa di compleanno da un bambino vicino di casa. Una famiglia arrivata di recente dall’America, il fascino allora di venire a contatto con un mondo altro, lontano. Una casa bellissima, con la piscina nientemeno (per quei tempi, una vera rarità).
Dunque, alla festa vengono invitati tutti i bambini del vicinato, perfino mio fratello.
Tranne me. Io no.
Non ho memoria di aver litigato con qualcuno, ero una bambina socievole. Forse non si trattava che di una dimenticanza: comunque io me ne resto a casa.
Dalle finestre spalancate mi arrivano le risate, le grida, le esclamazioni di tutti i bambini che si divertono come pazzi.
E io a casa. Sola.
Cosa faccio?
Ora piango per tutto il pomeriggio.
Anzi scaglio qualcosa dalla finestra, per la rabbia.
Urlo fino a grattarmi la gola.
Meglio se vado a letto, ché quando dormi ti pare che il tempo passi più in fretta. Così ti svegli e, clic, la festa è già finita.
Non so cosa accadde, non so quale fu il motore preciso. Prendo una penna e un foglio, e scrivo una poesia. Tristezza, la intitolo.
Poi vado nell’altra stanza, dove la mamma stira.
«Ti leggo una poesia.»
«Ma che brava! Domani devi portarla a scuola, alla maestra Franca.»
Così faccio, preparo la cartella e ci infilo il foglio.
A scuola aspetto il momento giusto.
«Maestra, posso leggerti una poesia?»
«È molto bella! Chi è l’autore?»
«Veramente, maestra, l’ho scritta io.»
E la maestra Franca: «Ora, bambini, prendete tutti il quaderno delle poesie (avevamo un quaderno speciale) e scrivete: Tristezza, di Cristina Bellemo».
Mariachiara Di Giorgio, tavola definitiva per Due ali.
Dico sempre ai bambini che quella è stata la mia prima scrittura pubblicata: non era più solo mia, era di chi la voleva.
Ora penso che la mia maestra, con quel gesto, ha detto più forte di tante parole che le mie parole avevano valore, era importante custodirle perché potessero essere condivise.
Ecco: magari tutto è incominciato da lì, magari il semino del narrare, che custodisce per condividere, l’abbiamo deposto nella terra allora. Poi ci è voluto il tempo perché si radicasse, e trovasse lo slancio di far capolino, e la voglia di resistere.
Scrive Stefania Liverini, a proposito della dedica: «non solo un pezzetto di una storia personale ma, anche, un modo discreto per dire della grandezza di un mestiere, fatto apposta per custodire tesori e maturare ali».
Subito dopo la pubblicazione ho portato in dono Due ali alla maestra Franca che adesso ha ottantanove anni: l’anno scorso, a una rimpatriata di classe a distanza di trentacinque anni (trentacinque!), aveva voluto regalare a ciascuno dei miei compagni un mio libro.
Mariachiara Di Giorgio, tavola definitva per Due ali.
Il quaderno di Tristezza io ce l’ho ancora, l’ho scovato insperatamente, sollecitata dalla richiesta di un bambino.
«Cristina, quel quaderno io lo vorrei proprio vedere.»
I bambini lo guardano a bocca aperta: chissà quante volte a ciascuno è capitato di sentirsi escluso da un’esperienza desiderata. Dallo sperimentare le ali. In quelle pagine ingiallite e assottigliate dal tempo c’è proprio una piccola promessa di ali: certo non poteva immaginarlo quella bambina di dieci anni, verso la quale sono capace di sentire una tenerezza che non ho ancora mai concesso all’adulta che è diventata.
Mariachiara Di Giorgio, schizzo per Due ali.