Pubblichiamo questo articolo di Silvia Vecchini che identifica nel nostro catalogo il filo rosso di un tema importante: quello della ricerca ricerca spirituale e dell'intelligenza esistenziale. L'articolo è uscito su Il Folletto, rivista dell'Istituto Svizzero Media e Ragazzi, nel numero 2 del'anno 2016. Ringraziamo la responsabile di redazione, Letizia Bolzani, per averci concesso la sua pubblicazione.
[di Silvia Vecchini]
Nel panorama editoriale dedicato a bambini e ragazzi la casa editrice Topipittori, fondata a Milano nel 2004 da Giovanna Zoboli e Paolo Canton, si è distinta da subito per la qualità delle sue pubblicazioni. Tra le caratteristiche della proposta di Topipittori (selezione di testi rigorosa, intelligente e sempre originale, altissima ricerca grafica e dell’illustrazione, cura di ogni dettaglio nella fase di stampa), dal mio punto di vista ne esiste una che la rende pressoché unica e cioè l’attenzione alla dimensione spirituale dei bambini.
Con l’aggettivo spirituale non si intende qui “religiosa” o appartenente a una confessione in particolare ma proprio relativa allo spirito e alla ricerca personale. Re
centemente mi è capitato di leggere alcuni estratti di The spiritual child di Lisa Miller che tratta proprio dell’importanza della ricerca spirituale per la crescita dei bambini. «Spiritualità personale” nel libro è “una spiritualità intesa come una sensazione interiore di vivere un rapporto con un’ entità superiore (Dio, natura, spirito, universo, il creatore, o qualunque sia la vostra de nizione per la suprema e benevola forza vitale onnipotente)». Una risorsa, dice l’autrice, poco sfruttata ma che può essere fondamentale per lo sviluppo umano, la resilienza, la guarigione, la consapevolezza, la ricerca dell’identità e la capacità di relazione. Senza dimenticare che lo sviluppo spirituale dei bambini può svolgere anche un’importante funzione rispetto al futuro lavoro interiore dell’adolescente di fronte alle domande esistenziali.
A mio avviso la casa editrice Topipittori si dimostra una voce autentica nella divulgazione di temi che riguardano la spiritualità così intesa.
Aprire la fonte
Ho notato più volte che come si rinunci a proporre narrazioni che contemplano il richiamo alla spiritualità con i bambini, o semplicemente si indietreggi rispetto alla possibilità di aprire con loro una tale conversazione. Qualche volta questo accade perché non si vuole fornire loro una struttura, una determinata credenza, trasmettere una speci ca fede per non correre il rischio di compiere una scelta al posto loro.
A questo proposito dirò soltanto una cosa abbastanza scontata e cioè che non compiere nessuna scelta è già di per sé una scelta. Ignorare e scoraggiare le domande di un bambino in ambito spirituale è già una risposta che produce un effetto concreto. Il bambino sentirà che la spiritualità non è degna di ricerca, non è importante per la vita.
Altre volte invece si teme la propria insufficienza attorno alle domande che possono emergere trattando temi come l’origine e il senso della vita, la morte, il sacro, la divinità. Si teme d’inciampare.
Eppure, scrive Massimo Recalcati, «l’inciampo rende prezioso l’oggetto su cui si inciampa, ancora più dell’oggetto che si trasmette. Perché è lì che si gioca la vera partita. Allora la forza del maestro è, per un verso, portare la luce nel testo, per l’altro preservare l’impossibile da dire nel testo. Ma è questo impossibile che mantiene vivo il desiderio di sapere» (rivista Animazione sociale, 2015).
È proprio a partire dalla consapevolezza di non sapere tutto che si possono offrire testi che mettono al centro la ricerca spirituale, i temi della vita e della morte, dell’origine e della natura dell’universo, delle grandi domande di senso. Perché le risposte dovrebbero avere lo scopo di “aprire la fonte” invece di chiuderla.
Sabino Chialà, monaco della comunità monastica di Bose si è occupato, attraverso gli scritti di Efrem il siro e Afraate il persiano, della ricchezza dell’interpretazione della Scrittura nei primi secoli. Nel suo libro La perla dai molti riflessi (Edizioni Qiqajon, 2014) parla di una creatività ermeneutica che permette una visione straordinariamente moderna dell’esegesi e richiama l’esempio della sorgente. Scrive: «Compito dell’esegeta non è chiudere e arginare il testo, stabilirne e fissarne il significato ultimo e definitivo, bensì dischiuderne l’accesso, inducendo il lettore alla scoperta di un senso sempre ulteriore, di mistero in mistero, di nutrimento in nutrimento».
Vorrei avere, Giovanna Zoboli, Simona Mulazzani, Topipittori 2017.
Secondo me questo “aprire e non chiudere” ha profondamente a che fare anche con la fonte del mistero e del sacro, con la dimensione spirituale dei bambini che prima dell’essere una struttura imposta o sollecitata dall’esterno fa invece parte della loro natura. La prima infanzia, come scrive Karl Rahner, è «quella vita che è aperta, che attende l’inaspettato, che ha ducia nell’imponderabile».
Questa sorgente c’è indipendentemente dall’intervento dell’adulto che può contribuire a dischiuderla lasciando al bambino il gusto della scoperta oppure può insabbiarla, negandola e rendendola inaccessibile ma anche disseccarla, esaurirla pensando di poter dare tutte le risposte o irreggimentando le domande.
L’intelligenza esistenziale
Howard Gardner individuando sette tipi di intelligenza (linguistica, logico-matematica, visivo-spaziale, corporeo-cinestetica, musicale, interpersonale e interpersonale) ed esaminandole più dettagliatamente negli anni Novanta ha messo in evidenza l’importanza di un’altra intelligenza, l’intelligenza esistenziale. Questa intelligenza
si riferisce all’interiorità e alla spiritualità e riguarda grandi temi come la natura dell’universo e la coscienza morale. Gardner si concentra in particolare sullo «spirituale inteso come problema cosmico o questione esistenziale» e conclude che «non è giustificabile una decisione a priori di eliminare da qualsiasi considerazione l’intelligenza spirituale». Ancora, secondo Rebecca Nye e David Hay si possono distinguere tre grandi categorie di sensibilità spirituale. La prima consisterebbe nell’essere consapevoli di sé e della propria realtà, la seconda nella sensibilità per il mistero, per la nostra limitatezza e per ciò che ci supera da cui deriva meraviglia e apertura al trascendente, e la terza nella sensibilità per i valori.
Mi sembra che queste sfumature di sensibilità spirituale facciamo proprio parte del mondo dei bambini e del loro modo di sentire e conoscere e che siano importanti per la loro crescita al pari delle altre intelligenze da sviluppare, coltivare, proteggere e nutrire.
Per questo credo che la proposta avanzata negli anni dalla casa editrice Topipittori sia preziosa perché offre narrazioni aperte che affondano le radici nei testi sacri delle religioni come nel linguaggio della fiaba, nella tradizione come nell’esperienza e nell’interiorità dei bambini dove è ben presente il mistero e lo stupore.
A mio avviso dopo numerose pubblicazioni si può davvero parlare di un percorso.
Sceglierò alcuni testi pubblicati tra il 2010 e oggi per esplorare alcune delle indicazioni e dei suggerimenti.
Passeggiare
Il primo albo che prendo in esame è L’omino e Dio dove l’autrice Kitty Crowther mette in scena un incontro straordinario che avviene nel più banale dei modi. Un omino che passeggia e nella sua passeggiata incontra niente di meno che Dio. Rivolge domande e ottiene risposte in quella che è un’ alta, stimolante e bellissima conversazione.
Questo modo di proporre l’incontro con la divinità se da una parte può sembrare bizzarro, dall’altra è molto
rispettoso della visione del bambino che non ha pregiudizi ma solo curiosità verso ciò che o non viene affatto nominato oppure viene nominato (magari con reverenza o devozione) ma è sorprendentemente assente dalla realtà quotidiana.
Inoltre l’autrice durante il colloquio tra i due evidenzia un sapere o non saper fare tanto dell’omino quanto di Dio. Una sottolineatura che a mio avviso non ha a che vedere con una dissertazione sull’attributo dell’onnipotenza quanto con la delicatezza del divino che si propone con la possibilità di uno scambio, di una relazione, un ponte tra la propria dimensione e quella dell’umanità. Una kenosi (κένωσις), uno svuotamento per poter parlare la stessa lingua che al bambino più semplicemente sembrerà ricalcare il gioco del confronto (io so fare..., tu?) attraverso il quale conosce amici e impara nuove cose.
E, alla ne della storia, la permanenza nel pensiero dell’omino di quell’incontro misterioso si specchia con la riflessione che anche il bambino continuerà, tra sé e sé attorno a questa presenza.
Ma la cosa che rimane in mente dopo aver chiuso il libro è proprio la passeggiata. Insieme, fianco a fianco, le mani dietro la schiena o nelle tasche. È la passeggiata di Dio nell’Eden che scivola nel testo biblico come una cosa risaputa. Leggiamo così di Adamo e Eva nella Bibbia: «Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno» (Gen 3,8). Dopo il peccato originale l’uomo e la donna si nascondono tra gli alberi al passaggio di Dio, cosa che prima non doveva accadere se l’autore biblico ce la segnala come la rottura di un’abitudine. Magari passeggiavano insieme.
L'omino e Dio, Kitty Crowther, Topipittori 2011.
I bambini non sono forse queste creature che non temono di passeggiare con Dio? Che non si nascondono ma attaccano bottone e fanno domande pure a lui?
Ai giorni della creazione ci porta anche un altro albo, C’era una voce di Alessandra Berardi e Alessandro Gottardo. Anche qui il richiamo alla parola creatrice, alla voce che chiama all’esistenza è ben radicato nelle Scritture. Altrettanto presente è il gesto concreto di Dio che crea con le mani, da’ forma, corpo, parola pro- prio come avviene al bambino preso nel suo gioco. Anche in questo caso la divinità è presentata in relazione con la sua creatura tanto che la comparsa dell’uomo è quella di una seconda voce che interrompe il soliloquio: “Soffiandogli sul viso/ sussurra: «Figlio mio...»./ Lui apre occhi e sorriso: /«Sei mamma...babbo... Dio?»./ Quindi: C’era una voce/ -C’era una volta, prima....-/ prima c’era una voce,/ poi due voci. E una rima.”
Guardare e ascoltare
Anche il secondo esempio è doppio. Si tratta di Vorrei avere (di Giovanna Zoboli
e Simona Mulazzani) e Ascolta. Salmi per voci piccole (di Giusi Quarenghi e Anais Tonelli).
Il primo è un albo illustrato tutto giocato sull’osservazione delle creature, sullo
stupore che genera la loro bellezza e sul desiderio di “averne” una parte. Non si fa
riferimento al creatore né alla loro origine ma si avverte in tutto il libro, grazie alle
meravigliose illustrazioni e all’essenzialità delle parole, una tensione simile alla
preghiera che scaturisce dal guardare, un’enunciazione colma di sorpresa e ammirazione che sfocia nello slancio dell’imitazione così vicina al modo dei bambini.
Un accumulo di desideri che si avvicina alla ripetizione delle benedizioni. Una lode laica al creato che non a caso si chiude con «(Vorrei avere...) Le orecchie immense dell’elefante per intendere quel che dice il cielo».
In Ascolta ritroviamo i versi con cui Giusi Quarenghi ha tradotto e riscritto un’importante scelta dei salmi della Bibbia già pubblicati da San Paolo e ora riuniti da Topipittori in un unico volume che si presenta come un vero salterio per bambini.
Non spaventi il termine. La lingua ricca, meditata, fedele dell’autrice propone i testi in maniera splendida. Apre i significati più difficili ma non semplifica. Lascia alcune durezze, fa sbocciare la bellezza universale di questi testi perché sia accessibile ai bambini e cantabile da “voci piccole”. Lascia aperta la fonte.
Le immagini sorprendenti di Anais Tonelli vestono i margini del testo come fregi e moderne miniature, conservano il senso delle parole esaltandone a volte il lato più misterioso, altre quello più quotidiano come il gioco e le relazioni.
Importante il titolo scelto: Ascolta, “Shemà” (in ebraico עַמְׁש ).
Ascolta. Salmi per voci piccole, Giusi Quarenghi, Anais Tonelli, Topipittori 2016.
“Ascolta” è una delle parole più care alla tradizione ebraica, è la preghiera più sentita. L’autrice scrive: «Mi sono così trovata ad assumere lo sguardo all’insù di ogni creatura piccola che guarda a un grande, dal quale dipende, al quale deve/vuole fare riferimento, che gli compete e a cui compete, per ruoli stabiliti, per legame affettivo certo o presunto, assodato, rassicurante, fragile o minaccioso che sia. A volte è un tu generico, come a dire: ... ci dovrà pur essere da qualche parte qualcuno che ha colpa di tutto questo, e che dovrà rendere conto; ma anche:...ci sarà ben qualcuno che mi ascolta e capisce, qualcuno al quale rendere merito per tanta meraviglia, dire grazie, riconoscere capacità senza fine e dismisura di cuore...Ma il più delle volte è un tu certo: con sicurezza si sa che c’è, chiamarlo ne è la prova, una prova che lo obbliga a esserci, e a non mancare al compito di rispondere, ascoltare, ascoltarci. Sempre». In questo salterio il titolo Ascolta sembra anche un richiamo all’ascolto della dimensione spirituale che i bambini vivono naturalmente.
Sostare
Il libro I pani d’oro della vecchina (di Annamaria Gozzi e Violeta Lopiz) riveste secondo me un ruolo importante per la forza del suo linguaggio fiabesco che non teme di presentare il tema della morte, la realtà che più di tutte oggi si tende a tener nascosta ai bambini, quasi a vaporizzarla escludendoli da conversazioni e rituali. Realtà che però torna fuori con prepotenza attraverso le immagini, le parole e i tempi assolutamente inopportuni dei notiziari e dell’informazione.
La morte in questo libro è un personaggio che entra in scena, che parla e agisce. La fiaba riesce a fare questo e permette al bambino di sostare all’interno di una narrazione che contempla questo personaggio mentre va a cercare, aspetta, partecipa alla vita degli uomini e in ne porta a termine ciò per cui era arrivata.
Eppure, lungo la storia il bambino ha il tempo di meravigliarsi, spaventarsi un poco, rassicurarsi per la tempra della vecchina, la sua astuzia, il suo coraggio misto
a estrema gentilezza.
Fa in tempo a guardare da vicino questa presenza misteriosa, a intuirne la debolezza che risiede nella bellezza stessa della vita, la commozione di fronte all’imperfetta perfezione delle creature destinate a lasciare il mondo terreno e le loro piccole faccende che racchiudono sapienza e dolcezza (come il miele nell’impasto dei dolci della vecchina). E inoltre questa storia dà tempo al bambino di ascoltare la fine ed accoglierla con un senso di compiutezza, senza strappi. Ci offre insomma un lungo discorso sulla morte e sulla vita, più lungo di quanto ci potremmo aspettare di saper fare e sostenere con un bambino.
I pani d'oro della vecchina, Anna Maria Gozzi, Violeta Lopiz, Topipittori 2012.
Un altro titolo che propone un colloquio serrato con una presenza oscura e minacciosa è Dentro me. Questa volta la presenza non è esterna ma interna. È un orco. Ho avuto la fortuna di ascoltare l’autore del testo parlare della genesi del libro. Alex Cousseau raccontava proprio di come lo spunto per scrivere fosse nato da una frase e una rappresentazione che il suo bambino aveva fatto di se stesso, di come si vedeva fatto “dentro”. È un testo misterioso ma capace di rappresentare la difficoltà di comprendere i propri pensieri e i propri impulsi, della fatica necessaria di integrare le varie componenti della propria identità, le emozioni come la rabbia, l’aggressività, la paura, la tristezza e in fine la sfida di scegliere e dare parola al bene. Al termine di una vera e propria lotta c’è un segreto svelato. Una nuvola che diventa pioggia e poi arcobaleno e poi tante parole. “Dentro me, sono io che decido”. Una piccola parabola sulla nascita della coscienza morale.
Dentro me, Alex Cousseau, Kitty Crowther, Topipittori 2008.
Splendere
Infine l’ultima uscita di Topittori in questo principio di autunno, una sorprendente perla: Sole luna stella un libro di Kurt Vonnegut e Ivan Chermayeff (tradotto da Monica Pareschi), pubblicato per la prima volta nel 1980 e ora in Italia.
Una scrittura aderente al senso biblico e alla tradizione cristiana eppure assolutamente libera affronta la storia della natività da un’originale angolazione. L’autore ci presenta una delle conseguenze dell’incarnazione dal punto di vista (è proprio il caso di dirlo) del bambino divino appena nato. Prima, quando «Egli aveva conoscenza di tutte le cose ed Egli era tutte le cose», non aveva bisogno di occhi. Eccolo invece costretto ad aprire queste due fessure e a “vedere” imperfettamente per la prima volta come fanno i cuccioli d’uomo. A confondersi. A prendere per una stella il lume di una candela, per luna il volto della levatrice, per sole (un sole grande, caldo e luminoso che riempie in modo commovente tutta la pagina) il volto della madre.
È così per i bambini. Le persone che si prendono cura di loro con amorevolezza e dedizione sono per loro sole, luna e stelle.
Questi punti di riferimento, qualsiasi sia la loro scelta in proposito che deriva da anni di esperienze e incontri più o meno fortunati, possono lasciare aperta la via della crescita spirituale dei bambini, difenderla dall’appiattimento e dalla rinuncia a prescindere, dalla riduzione del mistero a qualcosa da scartare e smentire il più in fretta possibile, dal potere schiacciante di una cultura strettamente materiale, per nutrirla con parole e bellezza, con il gusto della ricerca personale, con la passione per le domande, l’esercizio della meraviglia. In altre parole, non tocca agli adulti far sì che i bambini possano conservare in qualche modo la loro perfetta visione delle cose invisibili?
Sole luna stella, Kurt Vonnegut, Ivan Chermayeff, Topipittori 2016.
Altri libri editi da Topipittori nei quali possiamo ritrovare tracce di questa ricerca: L’angelo delle scarpe, Storia piccola, Due ali, Una stella nel buio, Sufi, bestie, sultani, Storia di Ba, Casa di fiaba, Gli uccelli, Prima di me, Il signor Nessuno, Nove storie sull’amore, L’uomo dei palloncini, Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, In mezzo alla fiaba.