Avete letto il post di ieri su coniglie campane pasquali? Ecco, in questo vi chiariremo quella stranafaccenda delle campane che volano dall'Italia per bombardare laFrancia di uova di cioccolato.
Come abbiamo scrittoieri, lo schema dei post di Natale ci era piaciuto e, quindi,per Pasqua abbiamo deciso di replicarlo.
Così, dopoI Quindici, eccovi un brano sceltissimo di DavidSedaris, giusto per dissacrare un po’ l’atmosferafestiva, per la verità come quella di tutte le feste cristiane,ampiamente venata di paganesimo.
Quindi, come dire, sirimane in tema.
Di Sedaris, a Natale, avevamo riportato unbrano di Confessioni di un elfofotografo. Quello che vi proponiamo oggi è trattoda uno dei suoi racconti più divertenti in assoluto, a mio avviso: Meparlare bello un giorno (che dà il titolo alvolume).
Non ho ancora capito se effettivamente lo trovoesilarante perché lo è, punto, o se mi fa ridere alle lacrime perchédescrive con acuminata e irresistibile perfidia gli sforzi titanicidi una classe di morchie che disperatamente arranca fra demenzialiconversazioni nel tentativo di imparare una lingua straniera. Esperienzache mi è familiare.
Credo siano le due cose le insieme. Ilracconto è assolutamente autobiografico: Sedaris, americano, vive partedell'anno in Francia, dove ha acquistato una casa insieme al suo fidanzato(per intenderci, quel mostro di efficienza a cui per orientarsi in unpaese straniero è sufficiente gettare una rapida occhiata dal finestrinodell’aereo). Da quel che ho capito, i corsi intrapresi per impadronirsidel francese, lingua a Sedaris totalmente sconosciuta, sono stati adir poco traumatici. In Me parlare bello un giorno(titolo significativo), sono descritte le atmosfere surreali che sicreano quando un gruppo di adulti provenienti dai quattro angoli delmondo, poco inclini alle lingue e misteriosamente portati dalla vitasui banchi di una scuola di francese, finiscono fra le grinfie di unainsegnante matta e sadica. Io, digiuna di inglese, a un certo punto dellamia vita ho deciso che era giunto il momento di riparare alla lacuna. Percinque anni ho frequentato un corso. La mia insegnante non era mattané sadica, anzi era adorabile e bravissima, ma quello che noi allieviriuscivamo a dire in quelle folli conversazioni in lingua era veramenteimpagabile.
Buona lettura!
Labambinaia italiana stava tentando di rispondere all’ultimadomanda della professoressa, quando la nostra compagna marocchina lainterruppe strillando: «Scusi, cos’è una Pasqua?»
Uno penserebbe che, pur essendo cresciuta in un paesemusulmano, almeno una o due volte in vita sua quel termine dovesse averlosentito, e invece no. «Dico sul serio» proseguì. «Non ho idea dicosa stiate parlando.»
La professoressachiese a noi di spiegarglielo.
A guidarel’assalto, facendo del loro meglio, furono le polacche. «È» attaccòuna delle due «un festa per piccolo figlio di Dio che chiama sé Gesùe ... merda.» Cominciò a incespicare, e la sua compatriota le diedeman forte.
«Lui che chiama sé Gesùpoi un giorno muore su... due... pezzi di legno.»
A quel punto intervenne più o meno tutta la classeoffrendo tutta una serie di informazioni che avrebbero fatto venireun aneurisma al papa.
«Lui un giornomuore e poi va su sopra testa a vivere con il padre.»
«Aveva capelli lunghi, e dopo che muore il primo giornodopo ritorna di nuovo a dire ciao a persone.»
«Lui bravo,Gesù.»
«Fa cose buone, e alla Pasquanoi tutti tristi perché qualcuno uccide lui, oggi.»
In parte era un problema di vocabolario. Se già terminisemplici come croce e resurrezioneerano al di fuori della nostra portata, figuriamoci espressionicome “Unigenito figlio di Dio”. Di fronte all’impresa dispiegare quello che era il fondamento della cristianità, facemmociò che qualsiasi altro gruppo di individui con un briciolo diamor proprio avrebbe fatto. Parlammo di cibo.
«Pasqua è festa dove mangia l’agnello» spiegòla bambinaia italiana. «È festa dove si mangia cioccolato.»
«E il cioccolato chi lo porta?» chiesela professoressa.
Conoscevola risposta, perciò alzai la mano e dissi: «Il coniglio dellaPasqua. Lui porta cioccolato.»
«Unconiglio?» La professoressa, convinta che avessi usato la parolasbagliata, si posizionò gli indici sulla testa e prese ad agitarlisimulando un paio di orecchie.
«Uno diquesti, dici? Proprio un coniglio-coniglio?»
«Be’, sì» risposi. «Lui arrivaa notte, quando si dorme sul letto. Con una mano lui ha cesto ecibo.»
La professoressa fece un sospiro escosse la testa. Ai suoi occhi era come se avessi appena palesato tuttociò che di male il mio paese rappresentava. «No, no» disse. «Quiin Francia il cioccolato lo porta una grande campana che arriva da Romavolando.»
Chiesi una pausa. «Ma campanacome sa dove tu abiti?»
«Be’» ribattélei, «e un coniglio, invece?»
Nonaveva tutti i torti, ma almeno un coniglio gli occhi ce li ha. Ègià qualcosa. I conigli vanno di qua e di là, mentre di solitole campane fanno solo avanti e indietro, e nemmeno ci riescono dasole.
E poi il conigliettopasquale ha una sua personalità. È un tipo che ti piacerebbe conoscere,a cui vorresti stringere la mano. Una campana ha la personalità di unapadella di ghisa. Sarebbe come dire che la notte di Natale un badilemagico viene giù dal Polo Nord trainato da otto blocchi di calcestruzzovolanti. Chi ha voglia di stare alzato tutta la notte ad aspettareuna campana? E poi perché mai farsene mandare una da Roma, quando quia Parigi ne hanno già tante che non sanno dove metterle? È proprioquesto l'aspetto meno plausibile di tutta la faccenda: figuriamoci sele campane francesi permetterebbero a una straniera di venirgli a rubareil lavoro. Sarebbe già tanto se la campana di Roma riuscisse a trovarelavoro come dog-sitter di un cane francese. E comunque le servirebberoi documenti. No, no, proprio non stava in piedi.
Nulla di ciò che dicemmo fu d’aiuto alla studentessamarocchina. Un capellone morto che pare che viva con il padre, zamped’agnello servite con foglie di palma e cioccolato; con uno sguardo ametà fra il confuso e il disgustato, la studentessa marocchina si strinsenelle spalle massicce e tornò a concentrarsi sul fumetto che tenevanascosto dietro il quadernone ad anelli.»
(Trad. MatteoColombo)
Le immagini che corredanol’articolo sono tratte dal meraviglioso Madelinedi Ludwig Bemelmans. Pittore, illustratore e scrittore,Bemelmans visse la sua vita fra New York e Parigi,un po’ come Sedaris.