Costruttori di Libri. Conversazioni in pubblico sulla letteratura per l'infanzia contemporanea fa parte di quelle iniziative sorte intorno a un rinnovato interesse verso i libri con le figure che ha caratterizzato il settore della letteratura per l'infanzia negli ultimi vent'anni. Nasce da un'idea di Antonella Abbatiello, Lorenzo Cantatore, Martino Negri e Giovanna Zoboli, con l'obiettivo di approfondire e fornire strumenti adeguati alla conoscenza di questi libri e dei processi creativi che li rigardano. L'appuntamento della quarta edizione di Costruttori di Libri, si è tenuto a Roma, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, il 28 aprile 2023. Oggi pubblichiamo il testo di Elena Dolcini relativo al secondo intervento in programma, dedicato a Massimiliano Tappari e ai suoi libri fotografici. Sulle scorse edizioni di Costruttori trovate notizie qui. Il nostro blog ha pubblicato tutte le presentazioni di autori, illustratori, studiosi, editori, scritte, nel tempo dai partecipanti.
[di Elena Dolcini]
Massimiliano Tappari è un adulto-bambino, un autore che come pochi altri sa rapportarsi all’infanzia, divertirla, stimolarla, e accompagnarla in un percorso esplorativo unico, proprio perché non ha mai smesso di essere un bambino. Tappari, infatti, osserva il mondo con un’innocenza che non è ingenuità, ma sospensione di giudizio: guarda gli oggetti, gli artefatti dell’uomo e il mondo naturale con uno sguardo fresco, mobile, non appesantito dai luoghi comuni.
Infanzia di un fotografo, la sua autobiografia pubblicata nel 2021 da Topipittori, esemplifica perfettamente l’idea di un’infanzia non come un periodo specifico della vita, ma come un atteggiamento, un modus operandi, un’apertura curiosa al mondo e ai suoi fenomeni che Tappari osserva divertito, con la compassione che solo una persona onesta può provare, in maniera estroversa, accogliente delle antinomie dell’esistenza.
Non ci saremmo stupiti se il libro si fosse intitolato Vita di un fotografo, perché le situazioni ed esperienze vissute da Tappari in giovane età potrebbero contraddistinguere anche i suoi giorni di adulto.
Le cose osservate dall’autore sono al loro stadio zero, essenziali, senza sovrastrutture;
un universo vario la cui potenza espressiva sta semplicemente nell’essere, certamente interpretato, ma non nella sua composizione artificiosa. Tappari sa perfettamente che inquadrarlo è selezionare, indicare una porzione di mondo non completa e per questo per lui il fuori campo è importante tanto quanto il dentro.
Nel lavoro dell’autore le tante relazioni testo- immagine fotografica tornano costantemente: nello spirito di una dicotomia che lo caratterizzerebbe fin dalla nascita, Tappari è scrittore e fotografo; poesia e fotografia stanno fianco a fianco nei libri con Chiara Carminati; e infine, altre parole, questa volta invisibili ma presenti, sono quelle contenute nelle sue immagini, che lungi dall’essere mute, parlano lingue diverse a seconda di chi le guarda e della prossemica dello spettatore. Il tutto, piuttosto che a una dicotomia, fa pensare a una complementarità dei due linguaggi che, nel caso di Tappari, si può tradurre anche in una visione artistica anti-gerarchica radicale, per cui un medium non è mai bastevole a se stesso, ma ha bisogno di altro perché ne sia evidenziata la complessità.
Di Tappari si può essere facilmente derivativi, ma difficilmente si riesce nell’imitarlo: il suo modo di interpretare e presentare in veste editoriale ed artistica la pareidolia – che, come dice lui, è una parola difficile per indicare qualcosa di semplice – ha fatto scuola; ma definire un lavoro simile al suo è pressoché impossibile, perché il suo sguardo è leggero, il suo universo è l’infra-ordinario e come tale è microscopicamente differenziale.
La differenza di Tappari è sinonimo di dettaglio, che il lettore osserva sempre con stupore (a km zero, per citare i suoi laboratori): come in Coffee Break, libro pubblicato per la prima volta nel 2006 dalla casa editrice Despina e poi da Corraini, dove la sua macchina fotografica ritrae particolari dalle dimensioni quasi surreali, funzionando come una sineddoche sui generis, per cui la parte diventa tutto, ma un tutto diverso da quello realistico del quotidiano.
A fare da fil rouge nel lavoro di Tappari è il gioco, una dimensione ludica che non si contrappone al lavoro, al dovere – anzi, se di dovere dovessimo mai parlare, allora sarebbe proprio quello del gioco – ma che è sinonimo di impegno, di cura nei confronti di un mondo, che lungi dall’essere banale o sempre uguale a se stesso, si trasforma a seconda della prospettiva da cui lo si guarda e grazie alla curiosità. Non è un caso che Infanzia di un fotografo termini proprio con un pensiero dedicato a questa qualità, l’unica che permette a Tappari di “riconquistare la posizione eretta ogni mattina”.