Mi piace il rosa

[di Valentina Pellizzoni*]

Mio figlio ha sei anni. Ha appena cominciato a frequentare la scuola primaria e ha ventitré nuovi amici con cui interfacciarsi. È un bambino solare, ama molto ascoltare le letture di albi e romanzi, gioca a basket, e il suo colore preferito è il rosa. Mi ha chiesto un pigiama rosa, rosa è il topino porta denti che ha sul comodino, rosa le sue ciabattine. Il suo mondo dentro casa è rosa, fuori è di tutti colori. L'unico filo che lega il dentro e il fuori è la sua borraccia in ferro, rosa appunto, senza decori, dove campeggia il suo nome scritto con indelebile, eredità della scuola dell'infanzia.

Giona spiega spesso il perché di questa scelta autocensoria. Dice che è timido. Troppo timido per far capire al mondo che sì lui è un maschio a cui piace il rosa e non ha voglia di essere preso in giro. Mi dice, non ce la faccio a dirlo agli altri e dunque preferisco tenere tutto quel colore a casa.

Ma non sempre tutto è lineare e facile. Quando Giona disegna a scuola, disegna prevalentemente col rosa e così ricomincia lo scherno.

Un giorno in modo molto sereno mi racconta l'accaduto. Gli chiedo se lui sa perché lo prendano in giro e lui dice che non lo sa. Che il rosa è un colore bello. Forse, dice, il problema è che alcuni bambini e bambine non vedono il colore rosa, hanno come uno schermo; forse, aggiunge, loro vedono al posto del rosa il bianco e dunque ridono.

Il pomeriggio di quel giorno in libreria abbiamo come ospite Sergio Ruzzier che ci parla dei suoi lavori, Giona ascolta e guarda con attenzione. Ama molto i suoi libri. Quindi la sera riguardiamo le tavole di Stupido libro! e gli faccio notare quanto rosa usi Sergio. Giona, si illumina. Ricomincia da principio il libro e osserva tutte le parti rosa, che comprendono anche il musetto del protagonista, e poi cielo e le montagne. Vede che il rosa accompagna le tavole più serene, è tranquillo qui, dice. Sergio non viene preso in giro, nota ricordando l'incontro.

Così Giona, nei giorni successivi comincia a rileggere alcuni suoi libri prediletti sotto quest'ottica.

Osserva con attenzione Strana enciclopedia nella sezione degli animali Rosa Confetto. Me li porta. Mi chiede di leggere i nomi degli animali che non conosce. Dentro di sé comincia a farsi strada l'idea che è davvero strano che il rosa venga visto solo come un colore femminile. Dice che moltissime cose sono rosa, anche se non sono femmine.

Gli albi illustrati diventano la fonte del suo studio. E io gioco insieme a lui e con lui osservo un colore che al contrario, io non ho mai amato. Giona mi ha riconciliato col rosa, un colore così connotato e così diverso da come mi vedevo bambina, da darmi sui nervi. Ora io e lui scopriamo cose nuove insieme, usando la stessa strada io mi apro a un colore detestato e lui trova conforto.

Succede dunque che un argomento sul quale non avevo mai riflettuto fino in fondo - perché non amo il rosa? perché l'uso sociale di un colore è riuscito a condizionarmi così tanto? in fondo è proprio quello che lamenta Giona - emerge in me in modo latente, ma così presente da riuscire a variare il mio lo sguardo sulle cose. Capisco che questa modalità è esattamente uguale a quella del gioco. Come quando un bambino esaltato dalla figura del pirata, vede vascelli in ogni dove, sul divano, sotto il tavolo, sopra il letto di mamma e papà, io comincio a selezionare istintivamente dei libri in cui il rosa è protagonista. Voglio giocare con Giona, perché lui ha una competenza in materia molto più affinata della mia e io voglio vedere dove possiamo andare.

Undercover di Bastien Contraire, edito da Phaidon l'ho portato a casa appena arrivato in libreria. È un libro senza parole, fatto solo di immagini create attraverso l'uso stencil in quattro colori: rosa, marrone, verde e bianco. Occorre trovare l'intruso che in effetti è molto diverso nella sostanza dall'insieme, ma è così simile per forma e colori da ingannare facilmente lo sguardo. Il rosa è completamente destrutturato e decontestualizzato.

Giona lo sfoglia e lo osserva muto, cerca l'intruso. Il rosa è norma lì dentro. Non definisce sessi, non identifica oggetti al primo sguardo, non connota. E' come se fosse necessario resettare il surplus di caratteristiche dato al rosa. Togliere, togliere, buttare via per tornare allo sguardo puro. E in questo gli albi illustrati sono lo strumento migliore.

Tutta l'opera del Dr. Seuss è un proliferare di rosa. Nei paesaggi, nei personaggi, negli oggetti di uso comune. Abbiamo tutti i suoi libri usciti in italiano e anche un piccolo capolavoro in lingua (My Many Colored Days), ma quello più letto da Giona è Il ritorno del gatto col cappello. Il gattone protagonista si fa un bagno nell'accogliente vasca e quando finisce lascia sui bordi un anello rosa. Finalmente il riscatto del soave colore, finalmente il rosa in questo libro può essere tutto quello che non è mai stato: il colore dello sporco! E pure un colore monello, che di pagina in pagina si allarga indomito, buttando nell'afflizione i due fratellini preoccupati.

Un colore che scherza, dice Giona mentre a memoria ripete i versi del libro.

Libri! di M. Mc Lain e J. Alcorn l'abbiamo invece ripreso recentemente come albo benaugurale per l'ingresso a scuola. Giona è sempre molto divertito quando aggiungiamo altre parole alle 'parole difficili' elencate, oppure osserva attento i tipi di lettere che poi a scuola sul quaderno d'italiano scrive con precisione. È in fondo un libro sulla sua passione principale e scritto col suo colore preferito! Ed è in effetti l'unico libro su cui ha inciso chiaramente la proprietà.

Una sera rileggendolo Giona si è soffermato su una pagina, quella delle lettere. Silenzioso osservava. Cosa c'è?, chiedo. E lui mi risponde che non se lo aspettava. Non si aspettava che rosa e rosso potessero essere così belli insieme. Ma a ben vedere, ha aggiunto, è normale, sono fratelli.

Ogni libro ha un margine di potenziale imponderabile, tutto raccolto negli occhi del lettore, piccolo o grande che sia.

Giona ha esposto un problema: voglio poter dire ad alta voce che il rosa è il mio colore preferito, senza essere deriso. La tendenza nella quale si può cadere in questi casi è quella, tipica di noi adulti, di essere già al di là della domanda posta dal bambino. Di cercare risposte rovistando tra macro aree: il problema della sessualità oppure dell'identità di sé. In realtà lui sta chiedendo una risposta costruita sulla concretezza, non una paranoia. Noi adulti spesso pensiamo di risolvere un problema presumendo di andare al cuore, quando il problema è forse solo nella periferia.

Ho imparato nel tempo a rispondere alle domande dei bambini rimanendo nel campo circoscritto della richiesta ed è stato molto difficile per me che ho invece la tendenza a ricamare pensieri.

Confortare Giona, rassicurarlo circa il fatto che lui può amare tutti i colori che vuole, usare i tanto amati albi illustrati per fargli notare che buona parte del mondo non usa il rosa in modo strumentale, ma si approccia a quel colore in modo libero, dinamico, svincolato da coperte culturali.

In sostanza, porsi col bambino sullo stesso piano, un piano in cui alle nostre competenze più adulte – capacità di astrazione, collegamento intertestuale, vocabolario più ricco – aggiungiamo le sue competenze – capacità di osservazione, sguardo non catalogante, ricchezza emotiva.

Sì, ricchezza emotiva. Perché spesso davanti alla domanda di un bambino c'è un grumo emotivo che la muove, una ricerca di senso che parte dal proprio epidermico rapportarsi al mondo. Come se la richiesta nascesse da una vibrazione interna, che cerca un posto dove collocarsi. Gestire questa vibrazione da parte dell'adulto non è sempre semplice.

Un giorno di circa due anni fa, Giona mi ha detto che lui vuole vincere la timidezza del rosa per essere felice. Gli atti di conquista della felicità sono spesso molto concreti e minimi e circoscritti. Un libro che conferma una tua visione del mondo è uno di questi.

*Laureata in Storia del Cinema, ho passato i primi anni della mia carriera lavorativa cercando di sondare in ogni aspetto l'ambiente cinematografico. Ho fatto documentari, ho lavorato in una soap opera, ma la scrittura mi ha agganciato e ho cominciato a scrivere recensioni per la rivista Duel. Nel frattempo per sbarcare il lunario, fin dai primi anni universitari, ho lavorato in libreria. Il passaggio dalla bidimensionalità dello schermo alla tridimensionalità del libro è stata naturale. Ho cominciato così a costruire libri nelle scuole sulla scia munariana, comprendendo che quello che a me interessava veramente era il binomio libri/bambini. Ho così continuato a fare attività nelle scuole, lavorando nel frattempo in varie librerie. Finché ho deciso che i bambini mi sarebbero piaciuti anche dentro casa mia. Ne ho avuti tre e ho fatto dieci anni di pausa. O meglio a me pareva una pausa, in realtà ho continuato con loro, in un contesto diverso quale quello familiare, approfondendo la conoscenza del mondo infantile. Due anni fa sono finalmente approdata in un porto sicuro, lo Spazio Libri La Cornice, dove vendiamo libri, facciamo cornici, esponiamo opere e creiamo occasioni di incontro con illustratori e autori, lavorando spesso con e per i bambini.