Parole che volano

Abbiamo inseguito questo libro per anni. Fin da quando Antonella Toffolo ci mostrò le prime tavole e noi, che avevamo avviato proprio in quei mesi la nostra collana di fumetti autobiografici Gli anni in tasca Graphic, insistemmo per pubblicare la storia. Ma Gina cammina era stata promessa a un altro editore, e le promesse si devono mantenere. Così, Gina cammina uscì per i tipi del Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona e noi ce ne facemmo una ragione. Anzi, ne fummo felici. Per lei, ma anche per noi che potevamo comunque leggerla. Oggi, finalmente, a distanza di un decennio, l'inseguimento è finito, grazie a Elena e Antonino Bertolami, eredi di Antonella, e alla cortesia di Michele Ginevra, la Gina e Antonella finalmente camminano insieme a noi. In occasione dell'uscita del libro, abbiamo chiesto a Lorenzo Sartori - a lungo compagno di Antonella e coordinatore del corso di fumetto della Scuola Superiore di Arti Applicate del Castello Sforzesco - di raccontare il libro ai lettori del nostro blog. E così Lorenzo scrisse. Ed ecco ciò che scrisse.

[di Lorenzo Sartori]

Non so se sia una banalità già molte volte detta: scripta manent, sì… ma verba volant!

La parola pronunciata vola. Anche se non abbiamo più tempo per radunarci e ascoltarci raccontare storie, anche noi formiche operaie di questa società tanto social, che pur di non descrivere a parole un luogo visitato ne mostriamo, smartphone alla mano, un’intera gallery fotografica, anche noi siamo figli di una storia e di una cultura del mondo intero trasmesse di bocca in bocca. Storie raccontate e ascoltate sono forse il cibo genuino per la fame del nostro corpo culturale: la fame che oggi il cinema si sforza di saziare con proposte da banco dei surgelati di un supermercato.

Provo a immaginare (e mi ci perdo) le miriadi e miriadi di voci, di abilità specifiche d’interpretazione, di magie oratorie e narrative che nel corso dei secoli si sono tramandate e infinitamente intrecciate (arricchite, completate, variegate)… e mi pare lo stesso fatto delle moltitudini di semi, delle tantissime varietà di piante commestibili e utili che i contadini del mondo si sono sempre scambiati. Come ancora qualcuno di loro s’impegna a fare nelle nicchie di resistenza alle monocolture. Così, speriamo, sacche di resistenza di cultura orale, germogliate e cresciute sulle specificità dei terreni, si oppongono all’altrettanto pervasiva monocultura mediatica.

La Gina era una narratrice di razza. Nel vero senso della parola: tutta la sua stirpe di contadini montanari lo era: i suoi fratelli, i suoi due figli. Anche sua nipote Elena lo è. Per gli Arrighi era un punto d’onore saper raccontare storie, così come lo era saper ballare. Si trovavano a chiacchiera d’estate dopo un pasto, si raccontavano le cose da ridere. E poi qualcuno raccoglieva uno spunto o un ricordo e attaccava a raccontare. E tutti gli altri ad ascoltare attenti, anche se la sapevano già, come i bambini. Perché una storia raccontata bene non la ascolti per sapere come va a finire. La gusti parola per parola.

Erano i giorni della morte di Antonella. Sergio, l’altro figlio della Gina, istigò la madre come sapeva fare a imbarcarsi in un racconto che ci rapì e ci portò in un mondo di fiaba, pur raccontando fatti successi davvero, all’epoca che la Gina era bambina, forse prima del viaggio di cui parla Gina cammina. Erano i fatti davvero strani, erano i batticuori di una bambina nelle strade di montagna la notte, era il mistero dei fenomeni oscuri, erano le vicende bizzarre e incredibili che scioglievano l’enigma… ma era soprattutto una grazia speciale della narratrice. Che non so descrivere altrimenti. Quando sei nel racconto di chi ti sta narrando, quando sei nella sua voce, quando la sua voce accompagna la tua fantasia tenendola per mano e vivi una sospensione che vorresti non finisse mai.

La Gina era una narratrice affascinante. Aveva la simpatia, la leggerezza dell’umorismo e il peso umano di una vita faticata e dura, tutto il retaggio della ricchezza dialettale e la sua personale creatività, comprensiva d’involontarie, buffissime storpiature di parole. Ogni vero narratore è una benedizione per il suo uditorio.

La parola pronunciata vola. E la parola scritta, quando vuole conservare un alito di vita, si sforza di non giacere ghiacciata e inerte, si lascia ariosa di suggestioni e altri sensi, a volte si nutre di vuoti, ellissi, salti, a volte di ritmi e musiche, a volte di magie sotterranee.

Gina cammina è il racconto sgrammaticato (dal punto di vista del linguaggio del fumetto e da quello della stessa lingua) di un racconto orale, che è per sua natura sgrammaticato. Tutto ciò che non è ortodosso, tutto ciò che non ti aspetti in un racconto a fumetti è ciò che pulsa di vita vera in Gina Cammina. Scarti e sbalzi, cambi di registro, sintesi e deformazioni… sembra un’opera partorita di getto, e non lo è affatto.

Antonella sa restare al contempo fedele alla materia del racconto (con tanto di colori, odori e sostanze) e fedele alla sua voce originale di narratrice, capace di mantenere la sintonia con l’impulso primo lungo tutto il tempo che una tavola a fumetti può costare, e nonostante le moltissime improvvisazioni che il disegno non nasconde.

Ma c’è soprattutto (e anche in questo: nelle improvvisazioni) una sintonia mirabile fra il parlato scritto e il disegnato. Il pop, naif ruspante, spesso possente, al tempo stesso raffinatissimo e consapevole di Antonella sa accompagnarsi al parlato sintetico, ellittico, semidialettale, ruvido e lirico insieme. Così come l’ocarina dello zio Ernesto accompagnava la fisarmonica di suo fratello Carlìn. E tutta la contrada della Ca’ d’Olina a ballare. E tutti noi a leggere e godere!