Gli hobbydegli altri, si sa, sono la cosa più noiosa sulla faccia dellaterra. Trovarsi a condividere uno scompartimento ferroviario,un divano a casa di amici o un tavolo di pizzeria con qualcuno chepretende di trasmetterti la sua passione per i francobolli indiani delperiodo coloniale, o i minerali di quarzo delle valli canavesane o lemountain bike con ruote da 29” (o qualsiasi altra cosa, fate voi)è un toccasana per gli insonni e una tortura insopportabile per ibeneducati.
Perriuscire a rendere il proprio pallino qualcosa di digeribile aglialtri ci vuole del talento. Per riuscire a renderlo divertente, se nonaddirittura appassionante, ci va del genio. Genio vero. Come quello diDinoBuzzati.
Il giovane Buzzati, infatti, eraappassionato di pipe. E nella sua passione era assecondato dal cognato,Eppe Ramazzotti. E si sa che a pedalare in tandem si va più velocie sembra di non fare alcuna fatica, così, i due impavidi, un belgiorno di primavera del 1946, freschi della recentemente conquistatalibertà, prendono il coraggio a due mani, vanno da Carlo Pastoredella Editrice Antonioli e gli propongono Il libro dellepipe.
Ilsignor Pastore doveva essere altrettanto appassionatoall'argomento, perché il libro vide la luce in quello stessoanno «Stampato dalla tipografia dell'Unione Artistica IndustrieGrafiche di Pietro Vera, in Milano, con copertina di ErbertoCarboni e disegni degli autori,incisi in legno da Giuseppe Molteni». Ne vengono realizzate«325 copie numerate da 1 a 325 e 15 copie non numerate fuoricommercio» (il nostro esemplare appartiene a quest'ultimaserie).
Come la coppia Buzzati/Ramazzottiriesca a compiere il miracolo è presto detto: sicuramente cisarà stato lo zampino della Santa Rita del Santuario della ValMorel, dei cui miracoli Buzzati era sicuramente giàesperto allora; ma un ruolo ha avuto anche proprio il sensodi come l'argomento, necessariamente noioso per quasi tutto ilgenere umano, si prestasse proprio all'ironia, alla burla, alloscherzo.
Così, in questo libro stralunato siincontrano strane usanze, buffi oggetti e altre sorprese. Per esempio, apagina 14 si incontra il nappione. Ecco un nappione della razzaSpreafico. Il Duca Oddo degli Agronati ne possedeva due, di naso tantoappuntito che era una disperazione: la consorte Duchessa Armellina ne futrafitta più di una volta, ed anche amiche di casa e cameriere: tanto chedovettero assumere gonne lunghe. Cosa c'entri questo con le pipenon è dato sapere, né intuire. Ma per noi è fonte di gran divertimentoe identificazione (per via del naso appuntito)
Di ambitopiù specifico il caso della Pipa di pellirosse in catlinite(che è una pietra speciale). I musei d'oltre Atlantico ne allineanopiù d'una nelle loro bacheche. La presente non è delle peggiori: siosservino gli avidi rai del gatto mammone all'orciuolo (fornello) oveesso crede forse celinsi interiora di pollo.
Comequello della Pipa a forno: la pipa primordiale tuttora in voganelle tribù selvatiche del Continente Nero e pure in certi distrettidell'Asia, è fatta di un pertugio circondato da terra: null'altro. Ericorda i vulcani (Natura fu pur sempre maestra!) Da noi non si usaed è un peccato. Perché, ci domandiamo, non si ripristina nellecampagne e nei civici giardini l'antica usanza? Perché non ritentarecosì una tal quale verginità d'animo? In quanti stolti trastullisi perdono invece i benpensanti; come ad esempio nell'appiccicarsia certe sottanelle, a certe svergognate matrone! (diporto di cui inrealtà non riusciamo a capacitarci).
Insomma,così come basta un poco di zucchero per inghiottir lapillola, come cantava l'incantevole Julie Andrews nella MaryPoppins disneyana, una dose massiccia di ironia cipermette di sorbire – fra le righe, si badi bene – unaquantità sorprendente di informazioni, notizie e nozioni suuno strumento da fumo che non accoglieremmo benevolmente, seacceso, fra le pareti di casa. E se vi sembra poco, provatecivoi.
Di questo bel libro esistono almenotre edizioni. La prima, rarissima, alla quale appartiene ilnostro esemplare. Una, meno bella ma ancora sopportabile, del1966, per i tipi di Aldo Martello. E un'ultima, cinicissima eal limite dell'inguardabile, del 1986 (Giunti), ma dotata di vastiapparati.