Prendere in mano il proprio destino

«Ho scritto il mioprimo racconto quando avevo dieci anni: il titolo era Overde Rainbow. [...] Il Mago di Oz (ilfilm, non il libro che non lessi da bambino) fu la mia primissimainfluenza letteraria.»
Quanto contino gli incontri con lestorie che si hanno da bambini, è noto. E come tutte le cose note,finisce per diventare scontato. Ma se è un personaggio come Salman Rushdie ad affermare questaverità, l'attenzione si ferma. Qualche tempo fa leggendo unsaggio sui colori, ho scoperto che si deve al film del 1939 Il Mago di Oz,diretto da diretto da Victor Fleming, l'inizio della carrieradi scrittore di questo colosso della letteratura contemporanea,come si legge nel brano che ho appena riportato.
Lacitazione viene dal breve scritto che Rushdie ha dedicato al film Il Mago di Oz, saggio omonimo uscitonel 1992 per Linea d'Ombra Edizioni e poi riedito da PiccolaBiblioteca Oscar Mondadori, e oggi esaurito. Un volume dal miopunto di vista interessante perché in esso Rushdie analizza uno deipiù famosi film della storia del cinema a partire dall'esperienzaprofonda che ne fece da bambino, prospettiva che lo mette nellecondizioni di riflettere su molti e rilevanti fatti inerentiall'infanzia e alla scrittura a essa dedicata. Valga, prima fratutte, questa, a titolo di esempio:


«Il Mago di Oz fece di me uno scrittore. Moltianni dopo, quando incominciai a pensare al racconto che diventòpoi Harun e il Mare delle Storie, avevo la fortesensazione che se avessi saputo cogliere il tono giusto sarebbe statopossibile scrivere il racconto in modo tale da renderlo interessanteper i bambini e per gli adulti; o, per usare la frase cara a quelliche scrivono i risvolti di copertina, ai “bambini dai sette aisettant'anni”. Il mondo del libro è diventato una faccenda dominatada rigide categorie e demarcazioni, in cui i libri per bambini non sonosoltanto una specie di ghetto, ma un ghetto suddiviso in base a un certonumero di fasce di età. Il cinema, tuttavia, ha regolarmente scavalcatotali distinzioni. Da Spielberg a Scwarzenegger, da Disney a Gilliam,ha offerto film che bambini e adulti si godono seduti fianco a fianco,uniti da ciò che stanno guardando. Mi è capitato di vedere Chiha incastrato Roger Rabbit? in uno spettacolo pomeridianopieno di bambini gaiamente turbolenti, e di tornare la sera dopo,a un'ora troppo tarda per un pubblico infantile, per potermi goderetutte le battute, gli scherzi e stupirmi una volta di più dinanzialla genialità del concetto di Cartoonia. Ma tra tutti i film quelloche più mi ha aiutato a trovare il tono giusto per Harun è statoIl Mago di Oz


In seguito, ripercorrendo la trama del film(e in parte del libro da cui è tratto, cioè Il meraviglioso mago diOz, di Frank Baum), Rushdie osserva:
«IlKansas descritto da Frank Baum è un luogo deprimente in cui tuttoè grigio, a perdita d'occhio: è grigia la prateria ed è grigia lacasa in cui abita Dorothy. E per quanto riguarda Zia Emma e Zio Henry,“il sole e il vento avevano tolto ogni luminosità ai loro occhie li avevano fatti diventare di un grigio smorto; avevano portatovia il rosso dalle loro guance e dalle loro labbra, che erano grigieanch'esse. Lei era magra e scarna e non sorrideva mai”. In quanto aZio Henry “Non rideva mai; anche lui era grigio, dalla lunga barbaagli stivali”. Il cielo? Era persino più grigio del solito. Totofortunatamente non era grigio. Aveva salvato “Dorothy dal diventaregrigia come tutto ciò che la circondava”. Neanche lui aveva dei beicolori vivaci, sebbene i suoi occhi fossero scintillanti e avesse un belpelo lucente come la seta: Toto era nero.

È dalquel grigiore - il grigiore di quel mondo desolato che si accumulava, ilgrigiore che si aggiungeva al grigiore – che giunge la sventura. Iltornado è il grigiore concentrato, trascinato in un turbine eliberato, per così dire, contro se stesso. A questo il film èsorprendentemente fedele: le scene del Kansas sono girate in quel che sichiama bianco e nero, ma che in realtà è fatto di una molteplicitàdi sfumature di grigio, e le immagini si oscurano sino a quando iltornado le risucchia e le fa a pezzi.»

Da questomondo plumbeo, la protagonista è catapultata, per volontà del tornadodescritto da Rushdie, nel mondo di Oz, dove ogni cosa è, all'opposto,accesa di vividi colori, e dove il colore è talmente importanteche tutti gli elementi centrali della storia trovano una connotazionecromatica: il sentiero dorato, la Città di Smeraldo, le scarpette rosse(che nel libro, però, sono d'argento).

Rushdie aproposito di questo passaggio che è, a un tempo, cromatico e psicologico,nota: «Dorothy ha fatto ben più che uscire dal grigiore...» è entrata«nel Technicolor. Il suo non essere a casa è sottolineato dal fattoche [..]  non entrerà più in nessun interno fino a quandonon arriverà alla città di Smeraldo. Dal tornado al Mago, Dorothy nonviene mai a trovarsi sotto a un tetto.»

Ericordando la sua esperienza di piccolo spettatore, mettendo a confrontoi due mondi in opposizione, quello cromatico di Oz e quello acromatico dacui proviene Dorothy, assunti a metafora dell'esperienza umana, si chiede:«E questo sarebbe il posto “che non ha pari al mondo”? Sarebbe questoil Paradiso Perduto che ci viene chiesto di preferire (come fa Dorothy)al mondo di Oz?
Ricordo, o immagino di ricordare che, quandovidi per la prima volta il film, e allora abitavo in una bella casa,quella di Dorothy mi sembrò una topaia. Ovviamente, pensavo, se iofossi stato sbattuto su Oz avrei naturalmente voluto ritornare a casa,ma allora io avevo un sacco di buoni motivi per volerci tornare. MaDorothy? Forse si sarebbe dovuto invitarla a restare: qualunqueposto sembra migliore di quello.»

Eprosegue, implacabile, dopo una attenta disamina del come e delperché questo famoso film hollywodiano fu realizzato, fra imprevisti,contraddizioni, errori e conflitti di ogni tipo:
«Chiunqueabbia accettato l'idea degli scenggiatori che questo sia un film sullasuperiorità della propria casetta rispetto a luoghi lontani, che lamorale del Mago di Oz sia così vomitevolmente dolciastra, farebbebene ad ascoltare il tono struggente di desiderio della voce di JudyGarland mentre il suo viso si volge all'insù verso il cielo. Ciòche esprime in quel momento, ciò che incarna con la purezza diun archetipo, è il sogno di partire, un sogno almeno altrettantoforte del sogno opposto delle radici.

Alla basedel Mago di Oz c'è una forte tensione tra questi due sogni; ma quandosale la musica e quella voce grande e limpida vola tra gli intensissimidesideri espressi dalla canzone, chi potrebbe avere dei dubbi su qualedei due messaggi è il più forte? Nel suo momento emotivamente piùintenso questo è indiscutibilmente un film sulla gioia dell'andare via,del lasciare il grigiore e entrare nel colore, del farsi una nuovavita in un posto “dove non ci sono guai”. Over theRainbow è, o dovrebbe essere, l'inno degli emigranti ditutto il mondo, di tutti coloro che vanno in cerca di un mondo dove“i sogni più impossibili diventano realtà”. È una celebrazionedell'Evasione, un grande Peana all'Io senza Radici, un inno – l'innoper eccellenza – all'Altrove.»

Nelleprime pagine del saggio, Rushdie scrive:
«Ho incominciatocon questi ricordi personali perché Il Mago di Ozè un film la cui forza sta nel mostrare l'inadeguatezza degli adulti,anche degli adulti buoni, e nel farci vedere come la debolezza deigrandi costringa i bambini a prendere in mano il loro destino e quindia diventare grandi loro stessi. Il viaggio dal Kansas a Oz è un ritodi passaggio da un mondo in cui Zia Emma e Zio Henry, che fanno dagenitori a Dorothy, sono impotenti ad aiutarla a salvare il suo caneToto dalle grinfie di Miss Gulch, a un mondo i cui abitanti hannole sue stesse dimensioni e in cui non viene mai, assolutamente maitrattata come una bambina, bensì come un'eroina.»
Eccoperché un inno all'Altrove è un inno molto adatto ai bambini e allaloro crescita. Le parole di questo libro mi sono apparse molto adeguateper cominciare il 2014 di questo blog.
Buon anno e buonlavoro a tutti.