Pulgarcito

[di Giovanna Ranaldi]

Prima di partireper il Salone di Montreuil avevoconsultato la lista degli espositori e scoperto le edizioni Milimbo. Miaveva colpito molto il loro sito: lo stile, i libri e i giochi miincantavano.

Mi conquistava la semplicità,la sobrietà e la qualità della loro produzione. Nell'insieme forsepotrei dire la loro 'giocosa essenzialità'. E poi l'amore per ildettaglio, la materia: in questo caso la carta, gli inchiostri, icolori.

QueIlo che identificavo come progetto,come anima della casa editrice, mi conquistava.


Riconoscevo uno stile grafico diverso dal mio, macontemporaneamente c'era qualche cosa che sentivo molto vicino. Alloranon avrei saputo definirlo. Chiesi un appuntamento all'editoreinviando alcune immagini del mio lavoro su Alice nel Paesedelle Meraviglie. Gli piacquero molto.

Incontrai Juanjo Oller a Montreuil nel novembre2010. Ero emozionata e più che felice. Parlammo a lungo di fiabe, segni,simboli, intenzioni, aspirazioni e motivazioni.
Lo scambio fuintenso, la mia intuizione era esatta: avevamo molto da condividere. Allafine di quell'incontro mi propose di realizzare un libro insieme.
Ero piena di entusiasmo per quel progetto: un silentbook su una delle fiabe classiche.
Certamente perme era un sogno che si realizzava.

Credo che il mioamore per l'illustrazione nei libri sia motivato propriodalla presenza della parola, del racconto. Mel mio Pulgarcito di parole scrittenon ce ne sono. È sottinteso un invito alla parola cercata,scelta e detta; alla narrazione orale. Un libro senza testoè, per chi legge, un invito a raccontare, a riprendereil filo di questa tradizione. Per me, a raccontare con leimmagini: è stato esaltante.

Cominciòun lungo scambio di mail: c'era da scegliere la storia, e capire qualidesideri avevamo in comune per quel libro. Fu sempre più chiaro checondividevamo la passione per le fiabe classiche, la loro molteplicitàdi significati, l'analisi di Bettheleim sulle fiabe, il libro-la carta-gliinchiostri, la sintesi, le tracce (le tracce!), la comunicazione visuale,il gioco, i segni, i simboli, il rischio, la sorpresa, la sperimentazione,la sfida, la passione per la passione. E, infine, la convinzioneche le immagini abbiano un potere semiologico fortissimo,e l'intenzione di non porsi limiti, di andare a fondo, diaccettare la sfida e il rischio.

Se nonl'avessero già avuta in catalogo, io avrei proposto CappuccettoRosso. Scegliemmo Pollicino che erala favorita tra quelle prescelte. È stato importante pensare,disegnare e sentire un personaggio maschile. Ora mi piacerebbefosse l'eroe di tante bambine.
Scelta la fiaba insieme,cominciammo a individuare i punti salienti della storia come struttura,e i suoi significati come anima. Tutto cominciò a definirsi.
Juanjo mi indicò come traccia gli episodi più significatividella fiaba. Dovevo creare sedici immagini per raccontare una storia,nei fatti e nei contenuti: emarginazione, solitudine, povertà, fame,abbandono, pericolo, rischio, terrore, sfida, intelligenza, ingegno,generosità, rivendicazione, crescita, affermazione, condivisione.
Nella storia di Pollicino c'è una minaccia costante, una tensionecontinua, è una storia spaventosa, in comune avevamo anche l'intenzionedi non tradire questo dato di fatto.


Dall'editore ebbi libertà totale. Mi disse di affrontare il lavorocon calma, senza nessuna pressione, di sentirmi a mio agio, prenderetutto il tempo necessario per ricreare la storia nella mia mente, nel miomodo, mettendo attenzione ai dettagli. Lavorare pensando al libro comestrumento di libertà espressiva, di ricerca e di comunicazione: io laintesi così.
Questo mi ha portato a pormi moltissime domandesul mio lavoro. Il più delle volte la risposta a una domanda era un'altradomanda. L'effetto domino interrogativo.


La sintesi è stata la risposta. Volevo trovare il mioalfabeto visuale. La cosa meravigliosa era che, trattandosi diuna fiaba classica, la narrazione è fatta attraverso simboli,così che fatti e contenuti coincidano perfettamente. Questo èstato senz'altro un grande aiuto.

Avreipotuto usare il confine, lo spazio vuoto avrebbe avuto la stessaimportanza del pieno, la parte mancante di un viso avrebbe potuto direpiù di quella visibile. Il non detto avrebbe avuto forse più pesodel detto, e sicuramente detto o non detto si sarebbero arricchitinell'interpretazione dei lettori. Perché l'immagine è, per suanatura, meno precisa di una parola (è così?). Mettere in luce ununico dettaglio avrebbe potuto svelare o suggerire molto più chedefinire l'insieme.
Altre domande si formulavano nel fare:cercavo una composizione, un viso, una linea, un segno, una traccia,un graffio.
Ora mi rendo conto che quel lavoro è statotanto pensato quanto istintivo.

Per moltianni sono stata restauratrice di dipinti. Questo mi ha portato ad averela possibilità di entrare fisicamente e letterariamente nella materiapittorica. La consistenza del colore, lo spessore delle pennellate, ilpennello strusciato, il pennello morbido, le stratificazioni pittoriche,bagnato o asciutto, grasso o magro, Nel mio bagaglio iconograficoc'è tanta arte, anche antica. Sono sicura che a tratti questo emergaanche nel mio lavoro di illustratrice, ma non saprei dire come.

L'editoreè stato una guida costante. Mi ha sostenuto nella ricerca e nellasperimentazione. La sua fiducia e il suo continuo entusiasmo per il miolavoro sono state una spinta continua ad andare avanti. Inseguendo lasperimentazione, a volte perdevo il filo narrativo, l'intervento di Juanjoè stato fondamentale. La condivisione è stata intensa fin dall'inizio,ma quando ho consegnato l'ultima tavola, il lavoro è diventato veramentea due teste e quattro mani. Per me è stato fantastico. Passo moltotempo, sola, al tavolino che diventa il perimetro fisico del mio mondo,avere una condivisione così profonda con l'editore per la realizzazionedi questo libro è stata una gioia.