Quando arrivano le tate

Il nuovo numero di Hamelin ci è arrivatoda qualche giorno. Tema: Nuovi tabù: l'infanzia ovvero“mettere i bambini dappertutto per non metterne nessuno da nessunaparte”. Tante le cose interessanti. Nicola Galli Laforestanalizza la perversa e invalsa abitudine degli editori italiani disbattere in copertina di romanzi, esangui e malinconici visetti diragazzini, sollecitando il fanciullino mai sopito che dorme in ogniadulto. Sua e di Barbara Servidori anche una interessante intervistaalla come sempre angolosissima Anne Fine. Giordana Piccinini riflettesu cosa significa raccontare l'infanzia, soffermandosi sul pensiero che“i racconti di infanzia più autentici sono quelli in cui non accadequasi nulla in superficie”, e trattando anche della nostra collanaGli anni in tasca. Poici sono belle pagine di Mariangela Gualtieri a proposito di cosasia la poesia. Altrettanto belle e interessanti quelle di NicolettaGramantieri su cosa poi ce ne facciamo di questa benedetta poesia. Euna nota speciale meritano le magnifiche illustrazioni di ViolaNiccolai, disseminate per tutto il numero per la gioia degliocchi dei lettori.
Illogo della trasmissione italiana, S.O.STata.

Mal'articolo su cui oggi soffermo l'attenzione èS.O.S. Arrivano le tate di Ilaria Tontardini,dedicato alla  celeberrima trasmissioneS.O.S Tata (format Usa,Nanny 911). E lo faccio per diverse ragioni. La primaè che, proprio come Ilaria, finché ho avuto la TV ho seguito questoprogramma. La seconda è che una delle persone di cui nell'articoloIlaria fa menzione sono io (“Non avevo dato tanto peso alle tatefino a che non ho sentito da più voci – stimate e molto diversefra loro – apprezzamenti positivi di vario genere.”). La terza èche l'articolo affronta un medium che nel nostro ambiente è poco presoin considerazione, la televisione, in cui i bambini non solo appaionocon frequenza, ma di cui sono avidi consumatori (come dimostrano anchequelli della trasmissione in oggetto). La quarta è che l'articolo diIlaria è brillante e interessante. La quinta è che il mio punto divista sulla trasmissione è sensibilmente diverso dal suo. 

Il logo della trasmissioneamericana, Nanny911

 L'articolodi Ilaria si sofferma sulla modalità di svolgimento delprogramma, mette sotto esame il linguaggio e i comportamentidelle tate, in particolare della loro decana, la poderosa TataLucia, descrive i comportamenti delle famiglie e, argomentandocon competenza su temi pedagogici cruciali del nostro tempo (autonomia,regole, rispetto ecc.), tira le fila del discorso. L'articolo andrebbeletto per intero, dato che è ricchissimo di spunti, purtroppo quiio mi limiterò a riportarne un brano.

S.O.STata vuole stimolare la catarsi: i disastri altrui ci sollevanodai nostri. Se la famiglia Cerrato è sopravvissuta alle grida diRachele che non vuole riordinare la stanza (che poi risistemerà),possiamo farcela tutti. Si tratta di uno specchio molto inquietantedella nostra realtà. Perché è chiarissimo che in questo programmatutto è finzione e per questo reale come non mai. Cela un desideriodi perfezione di cui siamo tutti vittime: quello che va dal corposcolpito di una ventenne che può essere riguadagnato con una cremaanche a sessant'anni, ai figli impeccabili, belli, buoni e sedati. Asuon di puntate. Bastano poche – ci si accorge presto di unaassenza: non ci sono i bambini.  

 TataLucia.

Aessere precisi il bambino è l'ingombrante presente, il fulcro dellatrasmissione che senza di lui non esisterebbe: il movente delle chiamateè sempre una prole problematica, descritta con abilità da montaggitelevisivi serrati e sicuramente efficaci. […] Ma di queste creaturecosa resta? L'immagine di una performance atletica che ha per movente ilcapriccio, la forza di una presenza attoriale. 

La risposta del programma è un senso fortissimodi medicalizzazione dell'essere piccoli: l'infanzia è problematicae se c'è un problema questo va sciolto. Con un diktat, un gioco apunti, una cameretta nuova, il bambino va ricondotto a uno schema checonsenta agli adulti di saperlo contenere. Di capirlo o ascoltarlonon se ne parla. “Ascoltare o ubbidire” dice Tata Lucia alle duesorelle Guerra: una affermazione che ha sicuramente una sola direzione,che nega a priori l'idea di un dialogo. L'infanzia viene estromessacome soggetto dal ragionamento, ne è l'oggetto, non ha diritto diparola.

FrancescaValla, Renata Scola, LuciaRizzi

Come ho accennatopoco fa, non guardo S.O.S Tata da alcuni anni. Pertantole mie impressioni si fondano sulle prime serie: non so se vi sianostati dei cambiamenti e in che direzione eventualmente  sianoandati. Ma prima di parlare del programma, mi voglio soffermare sullefigure di alcune famose tate.
Dopo il clamoroso ingressodella Mary Poppins diPamela Travers nella letteratura per ragazzi, la tata, infatti, sipuò dire abiti stabilmente il nostro immaginario.
Lo hafatto e lo fa attraverso numerose incarnazioni, e si può dire siadiventata una vera e propria star del piccolo e grande schermo.

Mary Poppins, dalromanzo di P.L.Travers, 1964,
con Julie Andrews, regia diRobert Stevenson.

Il filmprodotto da Walt Disney tratto dal romanzo della scrittrice australianaha fissato alcune delle fondamentali caratteristiche di questa creaturache si muove negli interni domestici a metà fra la fiaba e la pedagogiaavanzata. Perché se i genitori sono pronti a dare fiducia solo acurriculum consolidati e a personalità energiche, i bambini si fidanosempre, e solo, di chi sa entrare in relazione rispettosamente con illoro mondo di sogni e pensieri, in cui la fantasticheria e l'impossibilesono di casa. Come Mary Poppins, appunto.
La governante dellafamiglia von Trapp di Tutti insieme appassionatamente,girato l'anno dopo Mary Poppins, e intrepretata guardacaso ancora da Julie Andrews, non fa che asseverare il concetto.
Oltre a ricostituire l'unità di una famiglia depressa da ungrave lutto, guadagnandosi la fiducia di tutti i figlioli di casa,impalma anche il seducente e inconsolabile papà vedovo, ex comandantedella Marina Imperiale Austriaca, amante dei monti e delle stellealpine.

Tutti insiemeappassionatamente, 1965,
tratto dalmusical The sound of Music
di RichradsRodgers e Oscar Hammerstein II,
regia di Robert Wise, conJulie Andrews.

È quelche accade anche nella sitcom anni NovantaLa tata, dove la procace e mattissima Fran (Francesca Cacacefrom Frosinone) oltre a risolvere, con spiccio buon senso e creativaeccentricità i più spinosi problemi di una famiglia di abbientissimidel mondo dello spettacolo, gli Sheffield, finisce per convolare a giustenozze con il papà della prole, fascinoso produttore di Broadway. Inaltre produzioni, l'avvenenza della tata si volge nel suo esatto opposto:la tata è brutta, bruttissima. Ma dentro è bella, bellissima e questabellezza interiore fa sì che nessuno la veda più come tale e lainsignisce del titolo di più amata, cosa che finisce per cambiarnepersino i connotati.

The Nanny, sitcomanni Novanta che racconta,
le avventure di Fran Fine (FranDrescher).

Letteralmenteè quel che accade nel film Nanny McPhee, dove nelcorso del film bitorzoli e gobbe della tata si smaterializzano via viarestituendoci una Emma Tomphson da strega a cinquantenne da copertina. Vadetto che la bruttezza della tata qui sta anche ad alludere alla natura eal potere stregonesco femminile, capaci di fare l'incantesimo di riportarein seno alla famiglia un ordine ormai creduto impossibile.
Anche Robin Williams in Mrs Doubtfire compie lostesso prodigio, ma da avvenenza in bruttezza, e con salto transgender(perché, si sa, in presenza di legittime mogli, la donna più adatta aentrare in famiglia, la più affidabile, è quella meno seducente). E dàda pensare che nell'ultima serie di S.O.S. Tata abbiafatto il suo ingresso un Tato, come già è accaduto nella serie americanaNanny 911 (e d'altra parte la serie telesiva Tre nipoti e unmaggiordomo metteva in luce la vocazioneeducativa maschile).

Nanny McPhee, (init. Tata Matilda) 2005,
tratto dairomanzi di Christianna Brand,
con Emma Thompson, regiadi Kirk Jones.

Lacorpulenta Mrs Doubtfire, che costa ore di trucco al suo inventore,è l'unica a saper leggere nel cuore dei bambini e a portare l'ordinenecessario nelle loro vite che hanno bisogno, sì, di trasgressionie mondi fantastici, ma anche di essere contenute da certezze, regolee affetti a prova di bomba, per scongiurare patologie di ogni sortae tetre infelicità. Mary Poppins docet.
Annie, della commedia sofisticata Nanny Diaries,sottolinea un carattere fondamentale del codice gentico della tata:la distanza. Quella distanza che in Mary Poppins è dichiarata dalsuo arrivo e dalla sua partenza appesa a un ombrello nel più vuotodegli spazi: il cielo. A simboleggiare una origine sconosciuta einconoscibile, una vita senza legami. La tata piove, letteralmente,da un altro pianeta, da una dimensione altra: non ha famiglia e se cel'ha è poco importante e non interessa a nessuno.

Mrs. Doubtfire, dalromanzo di Anne Fine, 1993
con Robin Williams, regia diChris Columbus.

La tata,in fondo, ha una caratteristica imprescindibile per chi si deve occuparedegli altri: l'impersonalità. La sua autorità, il suo carisma, la suacredibilità si fondano sul suo mistero, che la fa essere superpartes, come un analista, uno psicoterapeuta, un medico, chesono tanto più empatici e risolutori, quanto meno coinvolti. Annie,nel film, è una ragazza di provincia chiamata per puro caso a osservarele  dinamiche familiari di una coppia di ricchi newyorkesi. Sonoi suoi occhi alieni a restituire allo spettatore le abitudini e lepatologie di un milieu sociale in cui esiste solol'apparenza (o almeno il suo stereotipo).
Tutto questo perdire come S.O.S Tata non sia estraneo alle tappeche hanno contrassegnato il percorso mediatico del personaggio tata,interessante quanti altri mai, nell'ambito delle dinamiche familiari. Seè vero perciò che questo programma è un reality,ciò che lo rende estraneo all'abiezione che caratterizza questo tipo dishow, è proprio la qualità del personaggio che ne è protagonista:la tata appunto.

The Nanny Diaries, dalromanzo di Emma McLaughlin
e Nicola Kraus,  2007,con Scarlett Johansson,
regia di Shari Springer Bermane Robert Pulcin

Cheper definizione è giusta, corretta, empatica, preparata, misteriosa eautorevole. E che soprattutto, che sia bella o brutta, è intelligentee capace, in quanto tale, di osservare e di vedere lucidamente quelche accade nelle famiglie: lei che famiglia non ha e che viene daun mondo dove la famiglia non solo non è tutto, ma in cui quel checonta davvero sono l'autonomia, la responsabilità, il rispetto di sée degli altri. Lei che è sola e indipendente e possiede i titoli distudio necessari per dire ai genitori quel che pensa e a guidarli peril meglio, considerato che sono loro i responsabili di quel che nonva e di tutto quello di cui si lamentano a proposito dei loro figli,vissuti come alieni persecutori  e incomprensibili. Leiche è dotata dell'immaginazione e delle sensibilità necessarie perentrare in relazione con i bambini i quali, invariabilmente, infatti,sembrano salutare il suo arrivo e trarre dalla sua presenza un visibilesollievo, incontrando finalmente un adulto che è capace di impartireregole senza essere un tiranno e capace di comprensione senza essereun amico invisibile.

Tre nipotie un maggiordomo o Family Affair,sitcom del 1966.
Protagonista French alias SebastianCabot.

Sollievo peressere liberati dalla schiavitù di comportamenti compulsivi messi inatto per attirare l'attenzione di adulti incapaci di pensare ad altroche a se stessi, anche quando mossi da sincero affetto e buone intenzioni(e di cui i Simpson incarnano impareggiabilmentel'archetipo). E regole che imponendo agli adulti di comportarsidecentemente, permettono loro di tornare a essere piccoli, con tuttele sacrosante difficoltà che questo comporta.
Insomma,altro che medicalizzazione: nella patria indiscussa della Mamma e delFamily Day, le tate del programma in questione mi sono sempre sembrate,fa ridere dirlo, delle innovatrici, capaci di mettere in discussionela sacralità della Famiglia. Innovatrici soprattutto a fronte diprogrammi TV in cui i bambini appaiono nei panni di piccole, deformistar gorgheggianti o danzanti davanti a scriteriate platee di parentie vip in lacrime per la commozione.

The Nanny, dal romanzodi Evelyn Piper,
1965, con Bette Davis, regia di SethHolt.

Del resto,va detto, le donne che “interpretano” le tate sono, nella vitae nella realtà, competentissime signore munite di svariate laureenei più diversi ambiti della scienze educative, con curriculumda far impallidire, e che svolgono e hanno svolto attività intribunali dei minori, scuole, asili, consultori di assistenza e viadiscorrendo. Insomma, per tirare le fila: S.O.S Tatami è parso un reality del tutto anomalo che, purattraverso il linguaggio televisivo che, sono d'accordo con Ilaria,genera sempre fastidio e diffidenza, fa passare contenuti per nientescontati e per niente banali. Certo, nessuna famiglia è mai cambiatain una settimana. I problemi restano, perché hanno profonde radicisia nella storia personale sia in una società e in una cultura in cuila mancata assunzione di responsabilità individuali e comportamenticorretti e rispettosi è il problema, e non soloin ambito famigliare. Tuttavia l'idea stessa che un occhio estraneoabbia licenza di entrare fra le quattro sacre mura della famiglia, misembra già di per sé un fatto positivo (e quanto questo sia vissutocome minaccioso lo suggerisce Nanny, film del 1965,con una satanica Bette Davis che mette in scena l'alter ego, il latooscuro della figura della tata, questa volta "brutta" dentro e fuori,che minaccia la stessa integrità fisica della famiglia). Occhio quantomai necessario, a indicare, fra le altre cose, che i problemi non sonopanni sporchi da lavare fra membri dello stesso clan. E che a volte imembri del clan sono i primi responsabili di quello che non funziona,e che l'inconsapevolezza non è una giustificazione accettabile,soprattutto quando di mezzo ci sono dei bambini. Come scrive DonaldSassoon, nel suo articolo “Bravo chi legge”, su una delle ultimeDomeniche del Sole 24 ore: “La separazione dall'ambiente familiaresia per poche ore al giorno sia per intere parti dell'anno, è infattiun fattore che contribuisce al dinamismo culturale, in particolarese il contrasto fra i valori della famiglia e quelli del sistema diistruzione è elevato.” Insomma, viva le tate!


JulieAndrews in Mary Poppins, Walt Disney,1964.