In spiaggia lo abbiamo già raccontato qui attraverso le parole di chi l'ha disegnato, Vessela Nikolova. Oggi tocca a Susanna Mattiangeli che l'ha scritto. Buona lettura!
[di Susanna Mattiangeli]
In un’estate lontana, sulla spiaggia affollata di Scauri, mi era venuta un’idea per un testo sugli sconosciuti che incontriamo per strada. Si era appena concluso un anno prolifico in cui avevo forse capito delle cose su quello che volevo scrivere, però ero completamente inesperta su tutto il resto e avevo spedito i miei primi testi a decine di case editrici, innescando teatrini a molla e piccoli grovigli colorati.
Perciò quando ho finito di scrivere Gli Altri ho considerato un po’ meglio la questione e ho deciso di proporre il testo solo ai Topipittori, così attenti alla rappresentazione, alla conoscenza visiva del mondo. Ci volevano loro per un libro che racconta come vediamo la folla, gli sconosciuti, come posiamo il nostro occhio sugli altri, perché con loro è tutto un cambiare punto di vista. Tramite i libri, il blog e i social, i Topi non fanno altro che mostrare: libri antichi di botanica, bestiari, repertori ; sguardi provenienti da epoche, paesi, registri diversi; immagini che aspettano parole che evocano altre immagini.
Mostrano e mostrano ricordandoci ogni volta che, ancora prima della tecnica che si usa per rappresentare le cose, il modo su cui posiamo il nostro occhio su di esse le trasforma e le interpreta.
Più di recente, quando Giovanna Zoboli mi ha chiesto se avevo voglia di scrivere un testo sulla spiaggia ho pensato a quella lontana mattina in cui ho cominciato a osservare nel mio modo scientifico le famiglie sotto l’ombrellone, le lezioni di acquagym, i bambini a mollo.
Questa volta però lo spunto partiva dai bozzetti di Vessela Nikolova presi dal vero durante la sua estate al mare, quindi l’idea era di procedere al contrario: l’occhio di Vessela aveva guardato direttamente la folla ed io avrei scritto partendo dalla sua rappresentazione.
Mi è sembrato subito molto giusto e naturale: un ciclo che si concludeva e che allo stesso tempo apriva nuove possibilità.
Anche se avevo una mia idea su sedie sdraio, borse frigo e bambini balneari, per prima cosa ho guardato e riguardato quei bozzetti che mi offrivano già un’interpretazione pronta di facce, corpi, oggetti e imbarcazioni.
Il segno di Vessela ha una particolarità: è realistico, non cerca deformazioni particolari ma è anche istintivamente comico.
Forse è l’effetto dei pennarelli che accennano misteri di ascelle, storie di trippe scottate nell’esplosione di pinne e ciabatte, oppure è il gioco tra la sintesi e il dettaglio, la sagoma di una posa dall’aria indecisa e il primo piano della signora in cappello occhiali costume orecchini che si guarda intorno. Un’altra cosa che mi faceva ridere era la rassegnata sofferenza di certi visi adulti confrontata alla selvatichezza di alcune facce bambine.
A forza di guardare la spiaggia attraverso questo filtro, avevo già un’indicazione sullo spirito del libro: c’era bisogno di accompagnare questo sguardo ironico senza spingere troppo verso l’astrazione.
Sulle prime sono stata tentata dalla mia propensione alla manualistica, visto che quei primi disegni erano un catalogo di adulti stravaccati al sole; di bambini in movimento, impegnati o vistosamente annoiati, in attesa di cose da fare; di barche, ombrelloni e oggetti in bellissimo disordine.
Poi, dopo aver scritto qualche appunto, si è cominciata a delineare una piccola storia in prima persona: una bambina in spiaggia che rimesta tra i suoi pensieri, le ammonizioni dei grandi e le cose che vede. Una bambina a cui è stato detto, guarda un po’, di restare lì ferma a fare la sua buca. Resterà davvero lì senza muoversi e scaverà una buca fino al centro della terra? Oppure, senza clamore, seguirà la linea del mare da una parte e gli ombrelloni dall’altra? E si accorgerà dell’assurdità di queste persone buttate tutte vicine a sudare?
Io non amo la spiaggia recintata dei lidi e le file militari di ombrelloni, ma ne apprezzo il repertorio di pance, schiene curve, pose goffe; mi rispecchio nella carrellata delle debolezze e delle pigrizie di chi vuole stare sciatto e comodo in tempo di pace, senza nulla di eroico, senza troppa natura né troppa bellezza.
La spiaggia così può essere proprio il luogo perfetto per rappresentare la versione infinitamente media di tutti noi. Del resto tutti abbiamo diritto al nostro momento vuoto, alla nostra pausa di niente in cui ci si riposa e ci si nasconde anche un po’, sperando che nessuno ci disturbi mentre ci lasciamo andare alla gravità, che nessuno ci guardi mentre ci grattiamo, che nessuno ci faccia il ritratto e, per carità, che nessuno scriva un libro di noi.