Per vedere le cose

Alcuni mesi fa, a proposito dell'ultimo Salondu livre et de la presse jeunesse enSeine-Saint-Denis
a Parigi, abbiamo parlato di LaRègle d’or du cache-cache, testo di ChristopheHonoré, illustrazionidi Gwen LeGac, Actes Sud junior, 2010, meritevole vincitore del PrixBaobab de l'Album 2010 (quiuna bella intervista all'illustratrice).
A Montreuil,ho acquistato il libro d'impulso, sedotta dalla copertina un po’lisergica, popolata di animali, funghi, piante da erbario medioevaleabitate da strani esseri. Anche il titolo, devo dire, mi ha subitoattratta, soprattutto in relazione all’imagine di copertina,che poi è ripresa dalle ampie doppie pagine dell'interno, dove ilbestiario/erbario allucinato si ripete in un crescendo di intensitàfino a culminare in una immagine bicromatica, gialla e nera, fattaeccezione per l'icona della protagonista, una sorta di bambolina darito voodoo.
Alla fine, però, nonostante questo, ciòche mi ha più conquistato di questo libro è il testo di ChristopheHonoré, annunciato sul frontespizio da una bellissima citazionein epigrafe: “È difficile prendere un gatto nero in una stanzabuia, soprattutto se non c'è.”

Unastoria intensa, condotta con misura, che racconta della presa dicoscienza di una ragazzina che si accorge di ‘vedere’ cose chead altri non sono date. Della difficoltà che questa consapevolezzacomporta, dell'istinto a nascondere questo inatteso dono e a nascondersiinsieme a lui, del tentativo di comunicarlo a genitori e compagni,e, infine, della solitudine che tale esperienza comporta, dapprimaforzata, quindi, finalmente ricercata.

Un tema inusuale,anche se, in senso lato, nella capacità di Katell di ‘vedere’,di accedere a un mondo altro, si identifica facilmente la condizionepsicologica, esistenziale dell’adolescente che scopre il proprio mondointeriore, il proprio immaginario, scoprendo insieme la propria distanzadall'esperienza percettiva dell'adulto, ormai strutturata su certezzee riferimenti che rischiano di limitarne fortemente la visione. Un temaanalogo a quello di un romanzo, La volpe d’oro diJerzyAndrzejewski, che amomolto e per cui quattro anni fa scrissi unarticolo per la rivista Hamelin. Storiefigure pedagogia: la capacità deiragazzi di accedere a dimensioni altre (il libro, editonel 1992 da Theoria, oggi è fuori commercio).

Nel corso dellastoria, l'autore non rivela in cosa consistano le visioni di Katell. Dalui sappiamo solo che la ragazzina “vede delle cose”: il compitodi rivelarcele è lasciato alle grandi e dinamiche illustrazionia doppia pagina, quasi sempre non accompagnate da testo, che ciconducono in un mondo inquietante di creature animali e vegetali diforte valenza e potenza simbolica. Una scelta intelligente che nonchiude in una definizione univoca un'esperienza tanto sfuggente,lasciandone aperta la lettura.

Manon solo, una scelta che esplicita la natura di certe esperienzepsichiche profonde a cui sono più vicine le immagini che le parole,e che mette in luce la difficoltà, per chi le vive, di esprimersicon il linguaggio verbale, costruito su logiche sequenziali che mal siprestano a raccontare esperienze come illuminazioni o intuizioni chesfuggono al controllo della razionalità.

Proprio tale difficoltàmette in crisi la protagonista a cui si rende subito manifesto quantorisulti arduo parlare a chi ha intorno di quel che le capita: nonsolo gli amici la sbeffeggiano e la tormentano, ma anche i genitoririsultano decisamente propensi a non darle ascolto, quando non anegare, per timore, la sua esperienza, costringendola ad alterarne ilvero significato a loro beneficio. Da notare le immagini che illustranoqueste parti: il mondo quotidiano di Katell, i personaggi che lo abitanosono resi da ombre, sagome nere, che spiccano su sfondi dai colori oraaccesi ora cupi, suggerendone la pesantezza, la progressiva perditadi realtà.

Il vero colpo di genio del librosta nel finale, che si riallaccia al titolo e chiude il raccontomagistralmente. Accusata dai compagni, all'inizio della storia,di non sapere giocare a nascondino e di non conoscerne le regole,Katell, dopo il deludente dialogo coi genitori che da lei pretendonorassicurazioni, nel buio della sua stanza si ripromette di continuare avedere le cose di nascosto, e riflette: “Così i suoi cugini avevanoragione. L’importante del nascondino non è rimanere nascosti tutto iltempo, né invitare qualcuno a condividere il proprio nascondiglio. No,la regola d'oro del nascondino è decidere il momento in cuipermettiamo agli altri di trovarci.”

Questasemplice, ma fulminante riflessione rasserena Katell, preoccupataa, causa della singolarità della propria esperienza, della propria‘anormalità’.
Ogni cosa in lei si fa chiara: “Comprendeche per vedere le cose deve essere totalmente sola. E, dopo questo,che di tanto in tanto è necessario dimenticarsi di tutto il restodel mondo...”
Un modo appropriato per raccontare cheesperienza e profonda e vitale sia, per tutti, ma soprattutto per iragazzi, l'affermazione della propria identità, del proprio pensiero,della propria autonomia.