aiutateci a ripensare gli spazi delle scuole e a trasformarle per cercare di abitare meglio i luoghi educativi
[di Franco Lorenzoni]
Che si investa nell’edilizia scolastica è una buona notizia, perché troppo spesso le nostre scuole sono fatiscenti e insicure. Credo valga la pena, tuttavia, cogliere l’occasione per ripensare, con radicalità e serietà, a quali siano gli spazi più adatti allo sviluppo di relazioni educative aperte ed efficaci. Nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo” della scuola dai 3 ai 14 anni, divenute legge dello stato nel novembre 2012, si legge: “L’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi, a partire dalla stessa aula scolastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musicale, il teatro, le attività pittoriche, la motricità. Particolare importanza assume la biblioteca scolastica, anche in una prospettiva multimediale…”.
Ecco, se si investono soldi nelle scuole, ci sono certamente tetti da riparare, strutture da consolidare, materiali per il risparmio energetico da applicare e percorsi e spazi da adattare per una fattiva inclusione dei ragazzi portatori di disabilità. Sono operazioni urgenti e necessarie, ma varrebbe la pena approfittarne per ragionare a fondo intorno ad altre modifiche, spesso realizzabili a costi più bassi, che rendano possibile un uso più intelligente e flessibili degli spazi.
Dal rendere praticabili le terrazze in città, per farne luogo di esperimenti e osservazioni del cielo come fece Alberto Manzi nei suoi primi anni di scuola nei ’50, al sottrarre al cemento piccole porzioni di terreno dove realizzare un piccolo orto o piantare qualche albero da frutta; dall’apertura di un’ala dell’edificio per un uso pomeridiano di alcune aule, da condividere con associazioni di quartiere, al ricavare spazi (anche ridotti) per il teatro o attività di movimento non solo per i più piccoli, ma per bambini e ragazzi di ogni età, che spesso hanno bisogno non solo di palestre (spesso assenti), ma anche di luoghi curati e adatti, impreziositi magari da un economico parquet, che permetta di stare seduti a terra a conversare, fare teatro, improvvisare musica o ascoltarne. Insomma dare la possibilità di risvegliare nella scuola il desiderio di ripensare senza pregiudizi a tutti gli spazi, immaginando un uso molteplice e duttile delle aule, che tanto aiuterebbe l’ascolto reciproco e la concentrazione, superando l’assurda pretesa di inchiodare ore e ore corpi vitali e sanamente irrequieti dentro scomodi banchi.
Trappeto. Centro di Formazione ”Borgo di Dio" voluto da Danilo Dolci, 1952 Alla costruzione del progetto collaborarono
urbanisti-architetti, sociologi, agronomi, economisti, tra i quali Ludovico Quaroni, Carlo Doglio, Bruno Zevi, Edoardo Caracciolo,
Giovanni Michelucci, Lamberto Borghi, Paolo SylosLabini, Sergio Steve, Giorgio Fuà, Giovanni Haussmann, Carlo Levi, e altri.
E dunque ecco una piccola modesta proposta: si corra pure veloci a mettere in cantiere opere urgenti già questa estate per i lavori strutturali di messa in sicurezza, ma ci si prenda del tempo (ad esempio tutto il prossimo anno scolastico) per progettare piccoli interventi mirati di architettura degli interni, che trasformino più scuole possibili in piccoli cantieri dell’innovazione spaziale e didattica.
Lo spazio è parte costitutiva della relazione educativa e, per esperienza diretta, so quanto il mutare le posizioni reciproche contribuisca a cambiare consuetudini e atteggiamenti di bambini, ragazzi e - seppure con maggior difficoltà - anche di noi insegnanti.
Una Preside di Palermo, alla fine degli anni Novanta, appena arrivata a dirigere una scuola media di frontiera, prese come primo provvedimento lo smantellamento delle enormi inferriate che avevano dato a quella scuola l’aspetto di un bunker. “La possibilità di evitare furti e irruzioni sta unicamente nella nostra capacità di far percepire la scuola come luogo aperto e amico del territorio - sosteneva - non nel trasformarla nell’immagine di un carcere decentrato”. Aprì la scuola al pomeriggio, promosse numerose iniziative educative rivolte agli immigrati e alla popolazione adulta del quartiere e, con l’aiuto di un appassionato docente di matematica, organizzò un gigantesco torneo di scacchi che coinvolse per mesi tutti gli studenti, riuscendo almeno parzialmente a spostare sul piano della simulazione simbolica la gran voglia di guerreggiare di tanti ragazzi.
Ma per immaginare questi mutamenti spaziali e simbolici ci vuole uno sguardo capace di andare oltre le abitudini quotidiane. Ci vuole un po’ di spirito visionario, che forse potrebbe essere alimentato da un incontro sul campo di ottiche e professionalità diverse. Scambiarsi idee tra educatori e architetti potrebbe produrre proposte interessanti e si potrebbero coinvolgere anche i bambini e i ragazzi, a patto che siano chiamati a partecipare non solo in modo formale o retorico, nel ripensare in modo radicale spazi che, con il crescere dell’età, i giovani abitano con sempre maggiore estraneità.
Si, perché è proprio l’abitare gli spazi educativi il tema che andrebbe messo all’ordine del giorno.
Asilo Olivetti di Villetta Casana a Ivrea negli anni '60. Inaugurato nel 1957.
Colonia estiva di Marina di Massa (Massa-Carrara), progettata da A. Fiocchi e O.Cascio su commissione di Adriano Olivetti.
Asilo-nido Olivetti a Ivrea intorno al 1950.
Ci sono precedenti storici, minoritari ma significativi, che vale la pena ricordare. Quando Adriano Olivetti immaginò di migliorare la condizione operaia e umanizzare la produzione, la visione di cui era animato non si fermò alle fabbriche, che volle dotate di grandi finestre e biblioteche, ma spaziò alla scuola e alla città. Per contribuire a quello spirito di comunità che aspirava costruire, chiamò ad Ivrea i migliori urbanisti e sociologhi e costruì scuole e sostenne il diritto dei bambini ad avere esperienze educative diverse nella natura e in spazi adatti a loro. Sappiamo bene che quell’idea di sviluppo non si diffuse per i tanti ostacoli che incontrò nel mondo dell’impresa e per la diffidenza con cui fu guardata dalla sinistra.
Danilo Dolci, pedagogo nonviolento e instancabile organizzatore sociale, volle il segno dell’architetto Bruno Zevi per costruire una scuola per l’infanzia nel borgo di Trappeto, nella Sicilia occidentale, dove aveva condotto il famoso sciopero a rovescio per collegare con una strada paesi isolati, dove ancora si moriva di fame.
In anni recenti mi è capitato di vedere un progetto di scuola davvero interessante e innovativo, disegnato per la periferia di Roma ma fermo da dieci anni, a causa dell’assurdo ginepraio di leggi che regolano gli appalti pubblici nel nostro paese. Riprendendo i tratti di un tessuto urbano composto di piccole casupole nate dalle antiche baracche della Muratella, l’architetto Giacomo Borella, in stretta collaborazione con la grande pedagoga montessoriana Grazia Honneger Fresco, ha disegnato una scuola dell’infanzia costruita interamente in legno, con aule sparse nella natura e collegate tra loro da piccoli sentieri, che prevedeva un luogo intimo centrale per l’incontro mattutino, piccolo e a misura di bambino, ma con grandi aperture verso l’esterno. Vinse uno dei concorsi voluti dal sindaco Veltroni, che si era proposto di contribuire alla riqualificazione di alcune periferie della capitale partendo dalla costruzione di nuove scuole, la cui estetica era cercata con concorsi internazionali aperti agli studi dei migliori architetti e stanziando finanziamenti adeguati alla qualità che si cercava. Quei concorsi hanno portato alla realizzazione di due scuole, ma poi l’intero progetto si è arenato tra secche burocratiche e cambiamenti amministrativi.
Muratella. Studio Albori, Giacomo Borella, 2005. Dott. Grazia Honegger Fresco, progettazione pedagogica.
La lacerazione urbanistica e la cementificazione dissennata hanno portato a un tale degrado i territori che circondano le città che, quando Renzo Piano - in un recente intervento ospitato in queste pagine - ha parlato di “opera di rammendo delle periferie”, non ha potuto non raccogliere larghi consensi e questa sua frase viene continuamente citata anche dal nuovo capo di governo.
Gli interessi in gioco sono tali che non sarà certo facile dare avvio a tali rammendi. Ma riguardo alla cura dei luoghi educativi forse qualcosa si può fare, rendendo più flessibili, versatili e magari anche un po’ meno anonimi gli spazi destinati a bambini e ragazzi.
L’architettura delle scuole è passata, nel corso di un secolo, dalle riconoscibili strutture monumentali edificate dopo l’Unità d’Italia e nei primi del ‘900, con grandi edifici simili a caserme dotate di cortili al centro, alle troppe orribili e anonime scuole prefabbricate che costellano le periferie di tutta Italia, disegnate a somiglianza dei magazzini industriali e costruite spesso con materiali di scarsa qualità, roventi d’estate e dispendiose da scaldare in inverno.
Ci vuole un grande sforzo per ripensare i luoghi educativi e dare loro nuova fisionomia. Ma sarebbe di grande valore che a quest’opera concorressero le migliori e più diverse professionalità e si attivassero momenti di partecipazione sociale. Un impegno di tale portata potrebbe contribuire e dare concretezza al più generale problema di ripensare l’educazione. In fin dei conti si tratta dei luoghi deputati al più significativo e prolungato incontro collettivo tra le generazioni e non possiamo tollerare che questo appuntamento quotidiano, così delicato e importante, avvenga in scuole caratterizzate dal degrado e dal brutto.
Ringraziamo Franco Lorenzoni per averci permesso la pubblicazione di questo articolo uscito il 16 marzo 2014 nel supplemento culturale Il Domenicale di Il Sole 24 ore. La prossima settimana su questo tema uscirà un altro articolo.