Viaggio in un paese abitato dai versi
[di Cristina Bellemo]
Ho conosciuto Attacco poetico durante la Settimana dei bambini del Mediterraneo, manifestazione culturale nata dal cuore del professor Lorenzo Caiolo. Tornata a svolgersi l’anno scorso, a Ostuni e nei comuni vicini, dopo anni di sospensione, durante i quali abbiamo affrontato la nostalgia di un appuntamento luminoso, e il dolore della perdita di Lorenzo.
Il mio programma prevedeva una giornata di incontri con i bambini e con gli adulti a San Michele Salentino. La maestra Laura Semeraro è venuta a prendermi di buon mattino col suo sorriso dolce, e lungo la strada mi ha raccontato di questo paese abitato dalla poesia. Ne sono rimasta conquistata prima ancora di arrivare. Laura ha avuto la disponibilità e la pazienza di portarmi davanti a diversi muri poetici, e di aspettare che io scendessi dalla macchina e immortalassi la bellezza semplice e disarmante che mi si dispiegava davanti agli occhi. Poesie vergate con cura, in diverse grafie, sui muri delle case, degli edifici, sui muretti che delimitano campi e giardini, accanto ai capitelli.
«Questo è il mio muro preferito», mi ha detto a un certo punto Laura. Ci sono versi di Cervantes in cui si cantano i vincibili, parola potente di cui mi sono innamorata, raffigurandomi i vincibili in schiera traballante e sconclusionata, e dunque meravigliosa, e portandomeli a casa dalla Puglia come una combriccola di nuovi amici. Questo fa la poesia, a San Michele Salentino: libera le storie e i loro personaggi dal cemento, dai sassi, dalle fenditure. Io me li sono proprio visti venire incontro. Chissà come fanno a stare imprigionati nei muri in cui nessuno si è ancora curato di creare un varco tra il qui e l’altrove. Nel pomeriggio ho avuto la gioia di conoscere Rosaria Gasparro, ideatrice e anima di Attacco Poetico. Il tempo ha accelerato bruscamente, come sempre accade negli incontri attesi e intensi, e così mi sono detta ecco un altro luogo in cui bisogna davvero tornare. Nella piazza ho ritrovato la luce della Puglia, uguale a nessun altra, quel bianco che ti inonda gli occhi e ti rapisce via. Però con Rosaria ci siamo poi sentite lungamente al telefono, e mi sono fatta raccontare tante cose, per accrescere ancor più il desiderio di riattraversare quelle vie, potendo questa volta indugiare senza guardare l’orologio o il calendario. La poesia è molto esigente e chiede anche questo, ma lei lo chiede per noi, per curarci un poco.
Rosaria Gasparro.
«Attacco Poetico nasce da una parola su un muro» mi spiega Rosaria. «Era una mattina di Settembre e andavo a scuola per un collegio docenti. Spesso le persone scrivono cose molto banali, sui muri, o aggressive. Quella parola, INFINITO, lì a campeggiare nel bianco, è stata un pugno nello stomaco. Ho immaginato che cosa aveva mosso quella mano: una passione per Leopardi? Una suggestione astronomica? E di chi era, quella mano? Giovane? Vecchia? Inspiegabilmente mi ha messo in moto tanti pensieri, emozioni: mi sono detta che scrivere sui muri ci appartiene sin dalle origini, dai graffiti del Paleolitico. Abbiamo creato una piccola commissione poetica, sposando la teoria della finestra rotta. Che se lasci incolto il paesaggio urbano, il degrado non fa che aumentare. Noi per ospitare le poesie portiamo decoro, accuratezza, bellezza. Questo è già il nostro sesto anno di attività, e ogni nuovo muro diventa l’occasione di un piccolo evento. Si festeggia anche con la musica, e si condivide il cibo, poesia dei sapori. Ormai siamo arrivati a centocinquanta muri poetici, e la gente continua a chiamarci. Abbiamo più di duecento richieste ancora non esaudite, ci contattano anche da fuori. Sulle strade del nostro paese, dove scorreva l’abbandono, la gente, anche quella che è andata via, si sente raccontata e ricordata. Si creano legami con chi è lontano, e tramite i versi si sente parte, partecipe. Vogliamo che la nostalgia, la malinconia siano sentimenti attivi, così come la mancanza, lasciare che dica, tenere il vuoto e fare il pieno dell’altro. E ora sentiamo proprio di spargere polvere di assoluto, di essere dono e ricevere doni. Poter salvare qualcosa del tempo in cui non saremo più qui, non saremo più. L’universale. Anziché un’antologia poetica, un’antropologia poetica.»
Rosaria cita Il rimedio è la povertà di Parise e mi dice che la poesia è un bene povero, e dunque necessario. Mi parla dell’energia dei luoghi piccoli. Della poesia dei piccoli, che è una poesia ignara, che ha la stessa radice di ignorante, cioè una poesia non consapevole di sé, della propria esistenza, e che però ognuno si porta dentro e intorno. Con Attacco Poetico questa voce piccola si incontra e si intreccia con la voce dei grandi.
«La calce scrostata, gli strati, i depositi, custodiscono e al contempo svelano in filigrana quello che è stato, le storie. Tutto ciò che sembra rudere è un frammento interessante. Per le case abbandonate andiamo a cercare chi le abitava, a farci raccontare, a recuperare i vissuti. Al grigio delle serrande opponiamo il colore della poesia. Abbiamo una passione particolare per le finestre murate. Così le poesie diventano decoro urbano e umano al contempo.»
Rosaria mi dice del suo rapporto affettuoso con le erbacce. «Io non le sradico. E gli alberelli di fico che crescono spontaneamente nelle crepe sono la vita che resiste e continua. La forza dirompente della natura, la sua prepotenza. I soffioni mi piace chiamarli erba del vento. Io sono fatta anche di questo, della mia terra.»
«Quando si preparano gli eventi per festeggiare i nuovi muri poetici, la gente lava le strade, come se dovesse passare una processione religiosa, è qualcosa di sacro. All’inizio stendevamo solo uno strato di calce, nell’idea del provvisorio, del non definitivo, della pioggia che lava via, il ciclo della natura, nonostante il tempo dedicato del fare. Come per i mandala buddhisti. Ma ora le persone si rammaricano quando devono cancellare una poesia. Per esempio per ampliare o ristrutturare casa. Maestra, mi chiamano, dobbiamo costruire… E lo dicono a malincuore.»
«Danilo Dolci sosteneva che ciascuno cresce solo se sognato. Anche un paese è un bambino, e va sognato, noi vogliamo farlo crescere poeticamente. Siamo diventati un paese poetico. È stata la nostra rivoluzione, nel senso di ri-evoluzione.»
Attacco Poetico è un nome militante: allude all’incipit della poesia, ma anche a un atteggiamento battagliero della meraviglia. E perfino a qualcosa che prende possesso di noi, ci (si) attacca, come un attacco di cuore, però pieno di vita.
«Poeticamente abita l’uomo diceva Holderlin. È un richiamo alla nostra cultura, a ciò che siamo. Da noi la gente arriva con i pullman, per vedere i muri poetici. E desideriamo che possano entrare e uscire con la poesia negli occhi.» Rosaria mi racconta le storie che stanno dietro i muri, perché ogni persona, ogni famiglia, sceglie la poesia che sente appartenere a quel luogo, la poesia che lo dice e lo canta. L’associazione mette a disposizione un ideale baule pieno di versi, ma a decidere sono i proprietari dei muri, è una proprietà simbolica subito condivisa con tutto il paese. «Mi commuovo tante volte. C’era una signora che era rimasta vedova. Fuori dalla sua casa era restato un orto di una bellezza struggente. Le abbiamo suggerito i versi della Nona elegia di Rilke che recitano Essere qui è molto, e suggeriscono come tutto abbia bisogno di noi per esistere. L’abbiamo scritta sul muro per lei e poi le abbiamo chiesto se le piaceva. E lei ha risposto non lo so, sono analfabeta. Però so che fuori dalla mia casa c’è una cosa bella per me e per tutti.»
«Un’altra donna, una signora che non conoscevo. Un giorno mi ferma e mi dice vi devo ringraziare per quello che avete scritto. Avevamo scelto versi della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad: Notti insonni/Ascolto vuoti silenzi/Elaboro il nulla/Setaccio il mare/Il dolore è già/Amore. Le sue notti insonni sono le mie, mi ha detto quella donna, le notti passate a setacciare il dolore, la poesia è diventata la mia preghiera. In momenti come questi comprendiamo che ha tanto senso ciò che facciamo.»
«E poi un ragazzino, una vita al margine. Più volte bocciato, stigmatizzato, rifiutato. Non seguito dalla famiglia, e sempre crucciato. Ha cominciato a venirci appresso ovunque andassimo. Anche alle cinque del mattino, quando facevamo i Risvegli poetici, prima che diventasse troppo caldo, con la musica diffusa dall’alto delle terrazze. O le pietre poetiche, con gli haiku. Lui ci seguiva sempre, forse in questa partecipazione ritrovava un sé che gli era stato chissà quante volte negato.»
Si sono avvicinate persone di tutti i tipi, ad Attacco Poetico. Lo chiamano fare i muri questo spargimento ardente di poesia. Per esempio una classe di ragazzi che hanno fatto un muro per festeggiare la maturità: sono venuti con le loro cose e i loro strumenti, hanno scelto Ungaretti, hanno scritto. Così è stata la loro notte prima degli esami. Gli alunni di un’altra scuola hanno raggiunto il paese in bicicletta, percorrendo i tratturi tra gli ulivi secolari. O dei turisti romani, che sono rimasti incantati: ma vi portiamo con noi a Roma!, hanno esclamato. Perché questo gesto piccolo della poesia, gentile e semplice, ha una sua potenza, capace di creare legame con il viaggiatore attento.
«Un gesto piccolo e nobile come quello della lattaia di Vermeer, dove tutto è poco, essenziale e sacro. Così da far esclamare a Wisława Szymborska: Finché quella donna del Rijiksmuseum/nel silenzio dipinto e in raccoglimento/ giorno dopo giorno versa il latte/ dalla brocca nella scodella/ il mondo non merita/ la fine del mondo. Una tregua, dentro cui incontrare gli altri, chiunque giunga qui, al di là degli spazi e dei luoghi.» Però negli spazi e nei luoghi.
«Ricordo due donne, madre e figlia, rimaste vedove alla stessa età. La figlia con una bambina. Tre generazioni strette insieme in questa alcova dove tutto era lindo, pulito, splendente della luce che s’infiltrava cocciuta nei muri spessi. Ho portato per loro tanti materiali, si sono prese parecchio tempo per scegliere, era difficile e importante, hanno attraversato ogni parola. Poi, un giorno, la figlia decide: sul muro del suo trullo in campagna scrive nei versi di Emily Dickinson che l’amore può continuare anche dopo la morte, così uniti così vicini. Il lutto della figlia contenuto nel lutto della madre, come matrioske. Sono andata da loro tante volte, mi offrivano le pere della campagna, l’arte della semplicità.»
«Così una donna molto giovane che aveva appena perso il compagno. Le loro parole sono state quelle di Dino Campana per Sibilla Aleramo, Questo viaggio chiamavamo amore.»
«Ancora una donna, un anno difficile, tante malattie e tanto male in famiglia. Qui le parole di Maria Zambrano, dove dice che siamo tutti nati a metà, siamo esseri incompiuti che non hanno mai finito di nascere. Eppure persiste una fame di nascere del tutto.»
I nostri sono muri erranti (errare nel senso di sbagliare), c’è in essi la pienezza dell’umanesimo, si prende confidenza con la calce e le lucertole. Come scrive il poeta siriano Adonis, Sogno presso le frontiere/ nei paesi aperti come il mare/ votati all’amore.
Intorno ad Attacco Poetico accadono poi tante altre cose preziose, che chiamano la partecipazione della comunità tutta. Come le Passeggiate poetiche, che sono un momento fortissimo e intimo: «un romanzo popolare che si snoda per le vie, un andare lento e silenzioso».
Poi c’è la settimana di Adotta un poeta, a cui partecipano i negozianti. Ai clienti viene consegnato lo scontrino poetico, una pergamena coi versi del poeta adottato, li vogliono tutti. Succede allora che il fornaio prepari la focaccia del Petrarca, o il biscotto di Neruda, con le mandorle e i fichi che gli piacevano tanto; che la gastronomia offra le stelle di Ungaretti, o il dolce di Foscolo; perfino il parrucchiere propone per i capelli la nuance alla Sandro Penna. La poesia è un atto di pace, diceva Neruda, La pace costituisce il poeta come la farina il pane.
C’è anche Verso la bellezza, dove Verso ha un’accezione duplice, come direzione che si sporge all’altro e come spazio della parola poetica. Tutti coloro che aderiscono portano fuori la loro bellezza: e allora c’è il ristorante che allestisce all’aperto una tavola dei primi del Novecento; o il barbiere che espone gli oggetti antichi del padre, anche il mandolino perché un tempo nelle barberie si suonava e si cantava, e che stupore rifare vivo il passato.
Si recita anche la Poesia a domicilio; si celebra la giornata mondiale della poesia; la vigilia di Natale si lasciano libri di poesia in dono sulle panchine; durante la passeggiata di San Martino la poesia è quella dei colori, della nebbia, delle caldarroste, dei camini accesi; ci si stringe nel giorno della Memoria.
E ancora la Mappa sentimentale, in cui le persone raccontano angoli del paese corredando la narrazione con una fotografia. Ci sono quelli che sono andati via e organizzano i loro rientri qui per scrivere, recitare, cantare insieme. «Questa cosa bella non ha proprietari, un paese poetico è un paese di tutti, c’è una sacralità, uno sguardo giusto, ci soffermiamo anche noi. Si accende una confidenza, una parentela strana coi muri e con l’umanità che li abita, che vi giunge, che vi deposita una goccia di splendore. Attacco Poetico è certamente anche un atto politico, un modo differente dell’abitare un luogo e noi stessi. Paese ha la stessa radice di poesia, ed è la radice del fare. È politica nel suo senso più alto, in un tempo feroce per le parole.»