Il nostro blog, lo sapete, collabora con molti insegnanti. Uno di questi è Michele Longo che, oggi, con il consueto umorismo, descrive questi strani tempi di scuola online e cosa significhi per una maestr* vedere completamente scompaginata la quotidianità in classe e, al suo posto, trovarsi a tu per tu con minacciosissime tecnologie smart. Questo post è pieno di osservazioni interessanti, ma il suo registro è ironico, non perché si prenda in giro qualcuno o non si abbia la percezione che la situazione è seria. Anche l'umorismo è un modo di guardare seriamente alle cose, ma da un altro punto di vista. Né noi né tantomeno Michele Longo stiamo mettendo in dubbio la serietà della scuola e le difficoltà contingenti. Lo dico perché la rissosità dei social in questi giorni è in crescita e gli animi sono esacerbati. In proposito ricordiamo una bella frase di Eugène Ionesco che in Note e contronote. Scritti sul teatro ha osservato: «Dove non c'è umorismo non c'è umanità; dove non c'è umorismo (questa libertà che si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c'è il campo di concentramento.» Nei prossimi giorni seguiranno riflessioni di altri insegnanti, da altri punti di vista. Buona lettura.
[di Michele Longo]
Chiamare i bambini nativi digitali è far loro un torto.
La maestra* smart working è un ossimoro. Alla maestra essere un ossimoro non piace per niente, tanto più in ciabatte. Ciabattando rumorosamente la maestra corre per casa tra un polo e l’altro dell’ossimoro, ma al polo maestra non trova nessuno perché la scuola è chiusa e non ci sono i bambini. Con o senza la falcidia delle circolari del Dirigente Scolastico, la maestra si rende conto che lo smart working è un obbligo. A questo punto è presa dal riflesso del gioco, e, sebbene si renda conto che la penitenza è già stabilita, inizia a correre, sempre in ciabatte, tra Obbligo e Verità. Nello spazio Verità, che nel bilocale della maestra tende a coincidere con il frigorifero, trova un assortimento di proclami, di moniti, di carte Cassandra, di analisi smaliziate, di statement Sibilla. Dà un’occhiata desiderosa a questi cari oggetti, ma poi lascia tutto lì e corre in camera da letto perché intanto ha sentito la notifica di una mail, che potrebbe essere una circolare, ma anche qualcosa di meglio. In tutto questo andirivieni, sotto la suola delle ciabatte si forma un aggregato di materia indefinibile, ma non buona e a ogni passo si sente un rumore di appiccica-spiccica fastidiosissimo: la maestra si rende conto che a ogni falcata contribuisce a distribuire lo sporco su tutta la superficie camminabile del bilocale, e torna al posto.
Oltre al dramma delle ciabatte, la scuola a distanza ha profondi effetti sullo stato mentale della maestra che si manifestano con cambi di umore ancora peggio del solito, attacchi di frustrazione bambinesca quando non riesce a fare una cosa tecnologica, momenti di scioglimento quando rientra in qualche modo in contatto con i bambini, e la sensazione di non staccare mai, ben nota a chi lavora da casa. In più maestra sa che da casa non sta lavorando davvero, per via della condizione ossimorica, quindi figurarsi se si merita del tempo libero. Che poi sul tempo libero si aprirebbe tutto un discorso che non credo si possa fare qui, col rischio di andar per le lunghe, o, non sia mai, scivolare nel personale. Insomma, per farla breve, la maestra è una che ama giocherellare con l’idea di un anno sabbatico in casa a leggere o di una nuova vita come guardiano del faro, ma in fondo sa benissimo che se ha scelto di far la maestra, o anche se ci è finita per caso, è perché ha bisogno di relazioni calde quotidiane garantite.
Ancor più che nella scuola vera, nella foresta del mondo smart il pericolo sono i distrattori. Il correttore di word non accetta la parola distrattori ma voi credetemi che esiste, intanto cosa vuol dire si capisce benissimo. Una delle difficoltà della vita della maestra è tenere almeno un po’ il filo di quello che sta facendo coi bambini, mentre i distrattori piovono come rane nell’indimenticabile scena del film Magnolia di Paul Thomas Anderson. Nella scuola vera i distrattori si possono dividere in due categorie: adulti e progetti. Gli adulti sappiamo cosa sono, i progetti, per chi non è del mestiere, sono: “Ma noi avevamo mica aderito al progetto La Bellezza salverà il mondo?” “No, io non mi ricordo” “Capirai Michele, se dovessimo basarci su quel che ti ricordi tu…” “Eh, vabbè. E quindi?” “Non è quindi, è quando” “Quando che?” “Quando ci piombano questi della Bellezza” “Ussignùr, ma sei sicura? Io non mi ricordo”. Eccetera. Nella scuola smart i distrattori sono tutti uguali, come le rane di Magnolia. Sono i giocattoli tecnologici che tanto piacciono ai Presidi. Allora c’è una maestra, mettiamo, che sta composta nel banco cercando di estrarre due priorità, tipo trovare un canale di contatto con i bambini e fare un minimo di didattica, e un’altra che ha appena girato una mini videolezione col telefono e salta per la casa gridando “Hurrà!”. Il distrattore arriva prima nella forma di una mail estatica della collega che ha la “Funzione strumentale” di “Animatore digitale” dell’istituto. (Entrambe le espressioni tra virgolette esistono davvero nel vocabolario della scuola).
La mail porta in dono dei giocattoli tecnologici, come una nuovissima piattaforma per la creazione di una classe digitale regalata dai big del big data, il codice di dischiusione dei libri di testo online offerto dalla casa editrice, un programma fichissimo per creare videolezioni con funzioni avanzate come “cancella occhiaie” anche in versione free, un tutorial favoloso sul blog “Maestra Gerlanda”, un link alla community ministeriale della vita smart. Se non sono doni, sono accolli: un irrinunciabile webinar sulle emozioni digitali, un corso online a tappe forzate per imparare a giocare con i giocattoli della mail precedente, un catalogo di semilavorati didattici, eccetera. Noi la mail dell’Animatrice Digitale la cancelliamo senza neanche aprirla. Però intanto ci siamo distratte. E a questo punto avremmo fatto meglio ad aprirla e leggerla perché, nella maggior parte dei casi, alla mail estatica dell’animatrice digitale segue una circolare autocratica del dirigente che ci impone l’uso dei giocattoli di cui all’oggetto. A questo punto, inutile dirlo, abbiamo perso il filo.
Poi, io lo sapevo che la prima lettera - scritta a mano, fotografata e allegata a una mail - sarebbe stata quella di Huckelberry-Giacomo. Che sopra delle righe feroci e stortissime tirate a mano, scrive: “È bello stare a casa ma dopo un po’ ci si stanca e hai voglia di andare a scuola a lavorare”. Lui. Che per farlo lavorare, a scuola, si deve scendere a certi patteggiamenti inconfessabili anche qui.
* Proprio ora, nella solitudine della quasi quarantena, mi sono accorto di non poter usare il sostantivo maschile “maestro” neanche parlando in prima persona. Lettrice, se anche tu non sai bene cosa fare di questo tempo a casa e vuoi entrare nell’anticamera del mio dibattito solipsistico di genere, prova a cambiare tutti i “maestra” del post in “maestro” e vedi un po’ che roba vien fuori. Illeggibile.
Dal film Magnolia di Paul Thomas Anderson.