[di Elisabetta Curzel]
La copertina di Félicette, di Elisabetta Curzel e Anna Resmini (Topipittori, 2020).
Una sera di qualche tempo fa stavo esattamente dove sto ora, a lavorare a un articolo sull’ultima scoperta della ricerca spaziale. Scrivere una notizia di settore – ovvero narrare un fatto non di cronaca - è un esercizio sempre piacevole che però, per funzionare, deve attenersi a regole severe. Servono un capo e una coda, e una vicenda in mezzo; parole precise e comprensibili tanto agli esperti quanto ai neofiti; informazioni chiare e verificate. Quest’ultimo passaggio porta chi scrive a saltellare da una fonte all’altra – sarà vero? Chi lo dice? – ed è questo il terreno in cui si incrociano mille storie diverse.
Stavo quindi dove sto ora quando tra satelliti, esopianeti e viaggi su Marte è spuntato fuori un gatto. Orecchie, baffi, coda – proprio un gatto. L’onestà mi impone di rivelare che ai gatti non servono grandi sforzi per attirare la mia attenzione. Di loro mi piace tutto ciò che è noto, e persino il suono della parola, gat-to, con quella doppia t che fa capire che non si sta scherzando. Ma che ci faceva un gatto nello spazio? Mi era nota, come a molti, la storia di Laika, la cagnetta che nel 1957 venne lanciata nello spazio, fece qualche migliaio di giri attorno al pianeta e non tornò più a casa (il rientro non era previsto). Sapevo poi, vagamente, di altri animali cosmonauti. Ma un gatto mi giungeva nuovo. È stato così che Félicette, come fanno di solito i gatti, ha deciso una sera di trasferirsi nei miei pensieri; e io non ho potuto fare altro che accettarlo. È stato così che è nato questo libro, Félicette, storia del primo gatto nello spazio, scritto da me e illustrato da Anna Resmini che ringrazio per il lavoro bellissimo che ha fatto.
Félicette: risguardi (illustrazione di Anna Resmini).
Per scrivere di Félicette, per prima cosa, serviva un po’ di materiale. Non era immediato. Un paio d’anni or sono, quando la storia ha preso forma, del gatto spaziale parlavano in pochi: la NASA, in un articolo dedicato alla storia degli animali cosmonauti; poi un’orma qua e una là – notizie frammentarie che era necessario ricucire. Ci ho dedicato un bel po’ di tempo. Poi c’era la questione in sé. Una pagina della NASA destinata agli studenti spiega che «In the earlier days of space exploration, nobody knew if people could survive a trip away from Earth, so using animals was the best way to find out» (traduco: «Agli albori dell’esplorazione spaziale non si sapeva se gli esseri umani potevano sopravvivere a un viaggio fuori dai confini terrestri; utilizzare gli animali era quindi il modo migliore per scoprirlo»). Tanto, erano solo animali.
Al giorno d’oggi, nessuno direbbe mai «tanto, sono solo animali». Dagli anni di Félicette ci separano cambiamenti culturali profondi, che hanno ridisegnato il rapporto dell’uomo con la natura e con gli altri esseri viventi. Per quanto la strada da fare sia ancora lunga e piena di intralci, concepire l’animale come essere meramente funzionale all’uomo è un pensiero ormai sorpassato. Quindi, che fare?
Félicette: interni (illustrazioni di Anna Resmini).
Lo sforzo nel quale ho provato a cimentarmi è stato quello di guardare al viaggio spaziale di Félicette attraverso i suoi occhi. Al suo sguardo di gatta – intoccato dall’umana ambizione e da interessi che se mai compresi le risulterebbero forse totalmente inutili – è dedicato questo libro. La mia speranza è che il lettore non scandagli il testo alla ricerca di morali o indicazioni ideologiche: volevo mettere su carta lo sguardo di un gatto.
Rispetto a qualche anno fa, la memoria di Félicette vive oggi un periodo di revival. È di pochi mesi fa (gennaio 2020) il lungo articolo dedicato dallo Smithsonian alla posa di una statua in bronzo che immortala la gatta in equilibrio sul pianeta Terra, con il muso rivolto al cielo. Realizzata grazie a una campagna di crowdfunding su Kickstarter, promossa da un gattofilo appassionato di spazio, la statua è oggi posizionata negli spazi dell’International Space University di Strasburgo.
Ho come l’impressione che se venisse a saperlo, Félicette ci passerebbe davanti, strofinerebbe un po’ la testa sul piedistallo per farla sua, e poi continuerebbe tranquilla per la sua strada.