[di Giulia Orombelli]
Quest’anno per la giornata mondiale della poesia, che cade - non a caso - il 21 marzo, giorno dell’equinozio di primavera, abbiamo deciso di festeggiare fuori dalla scuola, in strada, regalando versi alla gente.
Una cara amica mi aveva raccontato di questa iniziativa, che aveva coinvolto tante classi e il quartiere della scuola dove insegna, così l’ho proposta ai bambini, che ovviamente si sono subito entusiasmati.
Nel frattempo, però, le maestre di prima ci avevano chiesto se avessimo voglia di “iniziare” i piccoli alla poesia con qualche breve verso sulla primavera. Come dire di no? Così ci siamo messi al lavoro su due fronti.
In quel periodo, ho parlato ai bambini anche della proposta di organizzare, noi 26+1, la raccolta nella nostra scuola di un kg di riso a bambino da donare a Solidando, il supermercato solidale che avevamo visitato insieme la settimana prima di Pasqua. Allora Leo ha alzato la mano e, un po’ preoccupato, ha detto la sua: “Secondo me, stiamo dicendo di sì a troppe cose.”
Mi ha colpito, perché è verissimo. Oltre al solito che c’è da fare, arriviamo in quinta moltiplicando iniziative, idee, attività, progetti, uscite. In genere riusciamo a mantenere la barca stabile e a chiudere (quasi) tutto, ma quel pensiero lo conserverò, per non perdere la rotta e la calma mentre ci avviciniamo al porto d’arrivo della quinta.
Accettare proposte e collaborazioni è una cosa bella, ma non se va a scapito del clima sereno della classe, è importante concludere (quasi) tutto in modo sano, sensato e sereno.
Ho dato ragione a Leo e abbiamo ripassato insieme tutte le attività e i laboratori aperti che abbiamo in corso, in modo da avere una visuale su questi due ultimi mesi insieme. Ho rassicurato i bambini che ce l’avremmo fatta e che, alla peggio, avremmo rinunciato a qualcosa oppure lo avremmo lasciato in sospeso, e pazienza!
Poi ci siamo messi al lavoro, appunto, sui due fronti poetici.
Le maestre di prima ci avevano chiesto dei versi sulla primavera da scrivere in stampatello maiuscolo, stampato o corsivo, per introdurre i piccoli alla stagione dei fiori: qualche mini-poesia, uno o due versi-righe sul tema. Ho lasciato libertà compositiva, ma ho vietato “gli uccellini che cinguettano”, “i fiorellini che sbocciano” e “il venticello che mi accarezza”, nonché la rima, perché troppo difficile senza cadere nel banale. La difficoltà qui era già alta: scrivere versi in poco tempo, valorizzando le parole. Insisto sempre sul cercare parole nuove, sull’usare parole ben scelte, evitando parole generiche come uccelli o fiori. Nonostante questo, la tentazione dei bambini, ancora in quinta e poi forse anche da adulti, è quella di ricorrere a immagini stereotipate che, nel nostro lessico di classe, chiamiamo “la trappola del già noto”. I miei ragazzini ormai mi prendono in giro, su questa cosa dei luoghi comuni.
La richiesta di scegliere con cura le parole con cui esprimere immagini e sensazioni, e quella di ricercare metafore e similitudini non banali, non mira, ovviamente, a risultati di ‘alta poesia’, ma a esercitare uno sguardo nuovo sulle cose, dare corpo a nuovi punti di vista, pensare in modo creativo.
I versi scritti dai bambini non sono poesia, almeno secondo il senso che gli adulti attribuiscono alla parola, sono piccole immagini, schizzi, mini-poesie e, spesso, inevitabilmente, ricorrono a immagini stereotipate.
Sull’altro fronte, quello dei versi da regalare ai passanti in strada, ho chiesto ai bambini di spulciare nel loro quaderno di poesia, che raccoglie, oltre ai testi poetici degli autori che abbiamo scoperto insieme, tre anni di scrittura di versi. Per questa occasione cercare tra i propri testi, qualche verso riuscito, amato, bello, da regalare, era la soluzione ideale.
Ho aiutato i ragazzi, suggerendo alcune loro poesie e tutti si sono messi al lavoro.
Per ottimizzare la scelta, ci siamo anche chiesti: se fossimo noi i passanti, cosa ci farebbe piacere leggere? Qualche riga di speranza, di leggerezza, qualche verso che sposti l’attenzione dalle fatiche quotidiane, una poesia che faccia riflettere, ma senza pessimismi, che richiami all’essenziale. Ci siamo detti che il 21 marzo è un giorno allegro, perché inizia la stagione dei germogli e dei ritorni.
Così abbiamo lavorato per due o tre giorni, durante le ore di italiano. E poi siamo ci siamo messi all’opera.
Siamo passati nelle prime con la nostra cesta colorata. È stato molto bello questo invito alla primavera. I piccoli hanno pescato un rotolino colorato e chi se l’è sentita ha letto ad alta voce i versi che gli erano capitati. I miei ragazzini di quinta sono rimasti colpiti nell’ascoltarli: c’era chi decifrava le lettere a fatica, ma grande fierezza, chi correva già sicuro tra le lettere. Ci si dimentica – io pure – di quale impresa sia imparare a leggere.
Poi, quando ce ne siamo andati, le maestre di prima hanno chiesto ai bambini di illustrare i versi donati e, in seguito, versi e disegni hanno ricoperto la porta della classe. Il giorno dopo siamo tornati a ringraziarli. Mi sono incantata ancora una volta nel guardare il disegno dei piccoli, perché ha una potenza simbolica e metaforica che poi i bambini, crescendo, perderanno.
E in strada com’è andata? È stato bellissimo.
C’era un bel sole caldo e un cielo pulito, il che aiutava. Avevo preparato i bambini a tutte le evenienze: avremmo potuto incontrare vecchietti felici del nostro omaggio, ma anche anziani diffidenti e chiusi, giovani disponibili e sorridenti, ma anche bulletti, adulti di fretta, persone contente, ma anche addirittura qualche poesia buttata a terra.
Invece il bilancio è stato molto positivo, solo una coppia di mezza età ha schivato il dono con diffidenza, per tutti gli altri è stata una piccola occasione di buonumore. Chi era un po’ di fretta magari non si fermava, ma il più delle volte i passanti volevano leggere e ringraziare l’autore di persona. I poeti di strada erano orgogliosissimi dei loro versi donati.
Nessuno dei passanti sapeva che era la giornata mondiale della poesia e tutti restavano sorpresi. È stato buffo, perché abbiamo fermato anche stranieri (una ragazza turca, un signore colombiano e tre austriaci) perciò sono entrati in azione gli interpreti di inglese e spagnolo.
Tornando a scuola, Federico mi ha detto: "Adesso che torniamo in classe, ne scriviamo altre e torniamo giù…" Così ho avuto la conferma che l'esperienza aveva conquistato anche i ragazzi e le ragazze, non solo me. Ma mi sono ricordata anche del pensiero di Leo, così sensato, sulle tante iniziative aperte. E mi sono detta che almeno questa iniziativa dei Poeti di strada era conclusa. Anche se avrebbe continuato sotto altre forme, in quello che ha lasciato, non solo a noi: un poetico profumo primaverile ancora per qualche giorno, una scia positiva, una gioia creativa, una goccia di fiducia nella gente. Magari quei pezzetti di carta colorata sono diventati un segnalibro, un biglietto sul comodino, un ricordo nel portafoglio, un regalo per qualcun altro, un pensiero da ripensare… E magari, tra qualche anno, i bambini che adesso sono in prima regaleranno i loro versi per strada.