[di Viola Niccolai]
La copertina di Versi di bestie, di Bruno Tognolini con illustrazioni di Viola Niccolai (Topipittori, 2022).
Quando si ha da fare una cosa facile, o almeno che si presume tale, succede a volte che si decida di metterci del tempo, in mezzo a questa apparente facilità. Il tempo, si sa, cambia la percezione delle cose e alla fine quello che sembrava facile finisce che non lo era mai stato.
A me per esempio sembra facile disegnare animali. Mi è sempre sembrato molto facile almeno. Poi è successo che ho letto questo libro di poesie e, davanti a questi versi veramente molto belli, ho pensato che forse doveva diventare difficile disegnare animali. Ma cosa vuol dire poi difficile? Difficile mentre li disegno? Difficile per chi guarda i disegni? Insomma, quello che è successo (e che forse mi succede spesso) è che a un certo punto ho perso il filo e non capivo più come erano fatti questi animali che hanno sempre rappresentato per me il concetto della semplicità. E intendo, con semplicità, che io mi mettevo a farli e loro venivano fuori come li avevo sempre pensati. Una volta, in accademia, sentii un ragazzo parlare di questo aspetto con il nostro professore. Gli parlava di questo squilibrio fra ciò che aveva in testa e ciò che veniva fuori sulla tela quando dipingeva. All'epoca pensai che era un problema comune a tutti, quasi un ‘non problema’, dato che era all'ordine del giorno scontrarsi con una roba del genere.
Col tempo, ho provato a non crearmi aspettative di partenza rispetto a quello che disegnavo o, per meglio dire, a non pensare a come sarebbe venuto o a come volevo che venisse. Piuttosto, a mettermi lì, con la luce giusta e disegnare e basta. E poi stabilire se quello che era venuto fuori mi piaceva o no, e perché, e come era venuto fuori. Senza troppa meta cognizione, o meglio, una riflessione metacognitiva c'è, ma una volta che il disegno è finito. Perché per me il disegno è veramente la cosa più bella che ci sia, e allora non devono esserci troppi ragionamenti. Però questo vale se, appunto, faccio un disegno per me, o al massimo per vedere Olimpia che cresce.
Quando Giovanna in questi anni, in diverse occasioni, mi ha scritto che c'era un progetto di libro e che lei e Paolo avevano pensato a me per illustrarlo, io non ho mai approcciato il lavoro con la tranquillità con cui faccio un disegno per me. Giusto o sbagliato che sia, il punto è che, invece, questo libro, che mi hanno affidato quasi due anni fa, mi chiedeva qualcosa di molto simile a quando lavoro proprio senza pensarci e, forse, Giovanna stava proprio cercando di farmi capire che voleva quel risultato. Allora io ho detto: ho capito, certo. Vi capita mai? Che abbiate effettivamente capito, ma che decidiate di autosabotarvi? Che per andare in un posto abbastanza vicino facciate un giro assurdo? A me succede (roprio spesso), così ho cominciato a disegnare animali con diverse tecniche, a pennarello, per esempio.
Primi disegni a pennarello e prove di impaginazione per Versi di bestie, dagli studi di Viola Niccolai.
Ma, invece, per questo libro Giovanna voleva che io andassi dritta al disegno, e dopo vari cambiamenti in corso d'opera l'ho ringraziata di avermi fatto disegnare queste bestie con lo strumento che è il più facile e diretto: la grafite, le matite, senza fronzoli.
Disegni a matita dagli studi di Viola Niccolai.
Sono grata per essermi ritrovata a pensare ‟Oh! Ora devo fare un cammello, che bello”. Per aver ritrovato il gusto del disegno. Per me questo libro è questo. È una ricerca nel segno per trovare quello più diretto e veloce. Per ritrovarne il gusto fin dallo storyboard, che è una cosa che odio fare (credo di non dire nulla di nuovo, almeno per i Topi). E quindi succede che, a un certo punto, Giovanna mi telefona e mi dice che tengono le prove come definitivi. Gli elefanti per esempio. Gli elefanti li ho fatti in pochissimo tempo, pensando che quell'elefantino davanti a tutti gli altri mi ricorda in qualche modo il Quarto Stato che è il mio quadro del cuore, quello che quando l'ho visto dal vero ho pensato, questi camminano davvero. Sono paragoni istintivi e parlo di affettività, non ho mai pensato a un paragone in altri sensi. Questo libro è stato un viaggio emozionale nella cosa che mi piace di più e che passa anche dalle immagini che mi piacciono di più.
Pagine da Versi di bestie.
Alla fine è stato come una terapia: ho adorato fare ogni disegno. Le api, la volpe che non sto nemmeno a dirlo il bene che le voglio, la balena, l'ippopotamo, la blatta, la foca e il rinoceronte. E se ci ripenso adesso, è stato difficilissimo trovare la quadra, ma è stato anche semplice come è cresciuta la pila dei disegni, che mi sbloccavano la mano e che venivano fuori senza che io mi domandassi come.