[di Rita Gamberini]
Ecco i ricordi d’infanzia sono arrivati tutti insieme, uno dopo l’altro, sarà il vento che oggi soffia forte.
Avevo una giacchetta alla marinara, colore arancione, colletto ampio, tessuto caldo, la indossavo anche d’estate e la toglievo per catturare le lucertole, un lancio e la lucertola era prigioniera. Nessuna crudeltà, male che andasse perdeva un pezzetto di coda che poi ricresceva. A me toccava un piccolo morso. Prendi la lucertola per la coda, si contorce e ti morde un dito, niente in tutto, e un po’ di piacere c’è.
Avevo due montagne: Monte Pietro e Monte dei Ciclamini, uno per raccogliere le castagne, l’altro per raccogliere i ciclamini. Passeggiate stagionali di grande soddisfazione, fruttavano un bel bottino di golosità e bellezza.
Più in basso e più vicino a casa c’era una pineta. In primavera il prato si riempiva di viole e si accendeva la competizione a chi ne raccoglieva di più. Eravamo quattro bimbette, la più veloce conquistava uno scampolo di prato e strillava “questo è occupato per me!” Le altre protestavano, ma solo un po’.
L'erba di gallo, gallina, galletto
Avevo gli steli dell’erba primaverile, si metteva uno stelo tra i pollici, si accostava alle labbra si soffiava e usciva un fischio. Abilità, questa, piuttosto quotata.
Più semplice un altro passatempo con un’erba da prato, il cui stelo era composto da alcuni ciuffetti; si partiva dal fondo e si percorreva tutto lo stelo. Trascinando i ciuffetti fino in cima, ne risultava una specie di mazzolino e la domanda era: “Gallo, gallina o galletto?”Ciuffo piccolo, uguale galletto. Ciuffo medio, uguale gallina. Ciuffo grande, uguale gallo.
Io e mia sorella Lorenza, a bocca aperta.
Il vento scuote altri ricordi. Avevo un costume da bagno rosso in lana di jersey.
A casa il bagno si faceva indossando le mutande.
A tavola si mangia e non si parla, monito ricorrente per me che non stavo mai zitta e mi chiamavano tracla e dicevo tateglie invece di tagliatelle.
Quando non parlavo, stavo sempre con la bocca aperta. Mi tenevo pronta.
La nonna e la vestaglia a rose
Avevo una nonna, una sola, che faceva per cento nonne, si chiamava Rosa, portava uno scialletto sopra a una vestaglia con le rose, prima di dormire accarezzavo la sua mano, un ruvido caldo contatto mi cullava.
Sospinta da questo vento incessante che oggi non dà tregua, abbandono questa pagina scombinata dedicando a lei queste parole:
Mi viene in mente durante il giorno
la mano che sosteneva il volto della nonna
nell’angolo con i cuscini di uncinetto
nella vestaglia a rose si faceva ritrarre
sorriso tramandato nervoso ingenuo era tenero
adesso mi sembra così sola quasi uguale a me
quasi uguale a tutti
che un giorno passano per strada nevicando
e un altro camminano cantando.
Adesso che i ricordi si sono fermati, “Ho pochi secondi per attirare l’attenzione di un bambino. Non intendo sprecare l’occasione.” Anne Michaels (In fuga, Giunti 1998)
Il costume in lana di jersey