Gli ippovedenti vedono cavalli ovunque

Domenica 29 gennaio 2023 inaugura alla Biblioteca Villa Dora di San Giorgio di Nogaro (Ud) la mostra "Il teatro disegnato" dedicata all'autore e illustratore Gek Tessaro. Per l' occasione pubblichiamo un articolo di Massimiliano Tappari in cui si parla dell'artista e di altri grandi "ippovedenti".  Ad accompagnare il testo, una serie di disegni inediti di Gek Tessaro tratti dai taccuini presenti nell'esposizione.

[di Massimiliano Tappari]

L'attore irlandese Peter O'Toole fin da bambino si trovò a frequentare gli ambienti prediletti dal padre: i pub e le corse dei cavalli. Furono quelli i luoghi in cui imparò a leggere e a interpretare il mondo. Il padre era talmente affezionato agli ippodromi e alle scommesse che a un certo punto decise di trasferire tutta la famiglia in un appartamento più vicino a dove si svolgevano le corse. Certe comodità sono impagabili.

Per fortuna, o forse no, Peter O'Toole frequentava anche una scuola religiosa. Si narra che un giorno la madre superiora invitò i bambini a fare un bel disegno di un cavallo. Tutti seguirono le istruzioni della suora. Il piccolo Peter finì il disegno in un battibaleno. Lui sapeva bene come era fatto un cavallo. L’ ippodromo era la sua seconda casa, più bella della prima. La suora notò il bambino che se ne stava con le mani in mano, gli accarezzò la testa e lo invitò ad arricchire il disegno con qualche altro dettaglio. A volte certi insegnanti fanno fare i disegni ai bambini solo per ritagliarsi un momento di pace e tranquillità. L'invito all'approfondimento è pura terapia occupazionale.

La suora tornò a vedere come l'alunno O'Toole avesse completato il suo disegno. Non appena scorse i nuovi particolari che arricchivano il disegno fu assalita da improvvise scalmane, si allentò la cuffietta e cominciò a picchiare il bambino con entrambe le mani. Sentito il clamore, arrivarono altre suore. I bambini immaginavano che accorressero per bloccare la superiora e invece si unirono a lei per buttare a terra il bambino e picchiarlo con maggiore agio. Questo era il ricordo che l'attore conservava da adulto.

Ma cosa diavolo era successo? Il piccolo Peter aveva disegnato un grosso pene al cavallo e dal pene usciva così tanta pipì da riempire completamente il foglio bianco. Mentre veniva malmenato, Peter ripeteva la sua difesa come un mantra: "Ho disegnato quello che ho visto! Ho disegnato quello che ho visto!"

Ogni volta che penso all'episodio di Peter O'Toole immagino che una situazione analoga possa essere capitata a Gek Tessaro. Sarebbe plausibile ma in realtà non è successo. Anche Gek fin da bambino sapeva disegnare splendidi cavalli. Questo talento naturale gli dava un’identità. La capacità di disegnarli era la sua arma di legittima difesa e riscatto, la cifra che lo contraddistingueva. “Il cavallo è la prima lettera dell’alfabeto che ho imparato. Il primo incontro importante della mia vita, dopo mia madre. Ma la madre non la scegli, il cavallo sì”. Gek bambino aveva un'abilità che gli adulti non possedevano. Se rompeva il vaso di fiori della vicina suonava alla porta e le regalava uno dei suoi cavalli. La vicina, colma di ammirazione, si scioglieva e subito veniva perdonato. Nessuno ha mai picchiato con entrambe le mani Gek Tessaro.

Anche Marino Marini nutriva una passione verso i cavalli. Nel 1951 fece appositamente per Peggy Guggenheim una scultura in bronzo di un cavallo con un cavaliere in sella che presentava un fallo in erezione. Lei la sistemò all’ingresso del suo palazzo sul Canal Grande a Venezia. Peggy Guggenheim aveva posto allo scultore una sola condizione: il pene doveva essere smontabile per poter essere tolto in occasione di ospiti suscettibili. Quando riceveva suore o sacerdoti, o quando passavano cortei religiosi lungo il canale, Peggy lo svitava e lo nascondeva. Era donna di mondo e sapeva come adeguarsi alle situazioni. Un giorno, di punto in bianco, il pene scomparve e la Guggenheim accusò il poeta Gregory Corso di averlo trafugato. Furiosa, inviò un telegramma a Marino Marini con scritto: “Pene rubato - stop - prego mandarmene uno nuovo”.

Quando ero un giovane studente visitai la Collezione Guggenheim. Conoscendo la storia del cavaliere, mi avvicinai con circospezione alla scultura di Marino Marini e attesi che i visitatori si spostassero all’interno del museo. Una volta rimasto solo, afferrai il pene del cavaliere con la curiosità di capire come potesse essere svitato. Un custode mi colse in fallo e avvicinandosi mi sussurrò: “È stato saldato”.  Da lì capii l’esigenza di essere sempre aggiornati sullo stato dell’arte.

Una volta cresciuto, Peter O'Toole intraprese la sua strada di attore, anche se da grande avrebbe voluto diventare giornalista. Come primo ruolo gli fu assegnato quello di un contadino, in una rappresentazione di Anton Čechov. La sua parte in tutto lo spettacolo consisteva in una frase composta da sole sei parole e una virgola: "Dottor Ostroff, sono arrivati i cavalli". Così si impegnò al massimo nell'interpretazione, studiò la postura, si sottopose a un lungo trucco. Quando uscì sul palco sentì distintamente la reazione del pubblico alla sua presenza scenica e fissando intensamente il dottor Ostroff pronunciò la fatidica battuta: "Dottor cavalli, sono arrivati gli Ostroff". Gli ippovedenti vedono cavalli ovunque.

Spesso da bambini ci veniva chiesto cosa avremmo voluto fare da grandi. Quasi nessuno ha realizzato il suo obiettivo. A volte perché impossibilitati, più spesso perché nel frattempo il desiderio è mutato. In ogni caso, tutti da adulti abbiamo abbandonato le attività che facevamo da bambini. Chi di noi gioca ancora con le macchinine, il Lego o le bambole? Nessuno. Nessuno tranne gli illustratori, che non hanno mai smesso di fare quello che facevano all’età di tre anni, quando tracciavano disegni con il cucchiaino nel purè o con un dito sopra a una poltrona di velluto. L'illustratore è un bambino che da grande voleva fare il bambino.

In uno dei libri illustrati che avevo da bambino si celebrava l’elogio del cavallo. L’autore iniziava sostenendo quanto fosse bello, proseguiva descrivendo quanto fosse bravo e chiudeva, a sorpresa, portando l’attenzione del lettore su quanto fosse buono. Buono da mangiare, beninteso. Ricordo in particolare che siccome il termine cavallo ricorreva spesso nel testo, a un certo punto l’autore lo chiamava “il simpatico quadrupede”.

Peter O’Toole aveva una capacità innata che consisteva nello scrivere al contrario, da destra a sinistra, tracciando le lettere speculari. Vergava testi che potevano essere letti idealmente allo specchio. Ed era fiero di aver conservato la mano sinistra lunga e liscia come un giglio, nonostante le bacchettate delle suore che annientarono la sua natura di mancino. Sulla mano destra invece si potevano contare quasi 40 cicatrici sul palmo e le nocche, oltre al mignolo deformato. La mano destra era il suo strumento di violenza, il pugno per colpire gli avversari.

Anche Gek Tessaro disegna a rovescio ed è talmente orgoglioso delle sue mani che ha dato un nome di battesimo a ognuna. La destra si chiama Priscilla e la sinistra Gurdulù (come la castellana e lo scudiero del Cavaliere inesistente di Italo Calvino). “Priscilla ha meno immaginazione, si lascia comandare, fa quel che le dico, esegue senza ribellarsi. Gurdulù è imprevedibile, acerba e dunque più interessante, i suoi inciampi sono più curiosi, le sue insicurezze mi sorprendono e mi suggeriscono nuove strade, altre soluzioni che Priscilla, precisina, non si permetterebbe di intraprendere”.

Gek disegna con due mani, inseguendo un'idea che si pone in antitesi a quella che ha guidato tutti gli insegnanti che nel passato hanno obbligato i bambini mancini a usare la mano destra. Si è esercitato fino a riuscire a usare entrambe le mani, ognuna per la sua specificità. Oggi è ambidestro - anche se non si capisce perché non si possa dire altrettanto correttamente ambisinistro.

Un giorno ho chiesto a Gek Tessaro quale fosse il soggetto che gli piaceva di più disegnare e lui ha risposto senza esitazione: "dopo le donne, i cavalli. Siccome le donne non le posso disegnare perché non stanno mai ferme, sono sempre in movimento, allora disegno i cavalli. In realtà anche i cavalli si muovono parecchio, dev'essere per questo che li faccio tutti così storti".

La risposta mi ha suggerito un modo diverso di guardare i suoi collage. Ho socchiuso gli occhi, ho sfumato i confini tra un pezzo e l’altro, e nella coda di un cavallo ho visto una capigliatura femminile, nella punta del garretto un naso, nel fiocco due labbra. Dentro a un cavallo può rivelarsi l'universo intero.

Con il collage nessuno sa cosa verrà fuori alla fine. L'ultimo a saperlo è l'illustratore stesso che dipinge e ritaglia ogni pezzo godendo la sorpresa di vedere cosa gli riserverà l’accostamento finale. Ma ogni combinazione rimane aperta e possibile nello sguardo del lettore. La realtà stessa è un collage. Le nostre opinioni sono figlie del modo in cui mettiamo insieme i pezzi. Basta un soffio di vento o due gocce di acqua per scompaginare tutto e ricominciare da capo.