Ho una fame da lupi

Vi suggerisco, prima di leggere questo post, diguardare questo spot con molta attenzione e, dopo averlo fatto, diconcentrarvi sulle impressioni che vi ha suscitato.

Spot NATI PER LEGGERE 45"from CSC Lombardiaon Vimeo.

Qualche giorno fa, mi sono imbattuta nello spot cheavete appena visto, scritto da Giorgia Missiaggia e Marco ArmandoPiccinini, allievi del Corso di Cinematografia d'Impresa del CentroSperimentale di Cinematografia. Scuola Nazionale di Cinema, erealizzato in collaborazione con Nati per leggere Lombardia(associazione di pediatri e bibliotecari che, come tutti sanno, da anni èattivissima sul fronte della promozione della lettura nei primi anni divita).

GustaveDoré, Le Petit Chaperon rouge,1864.

Forse, mi sonosoffermata particolarmente su questi quarantacinque secondi di filmato,perché una persona da poco mi ha chiesto di intervenire a un suo corsosulla fiaba, e stavo cercando di capire da che parte prendere questo tema,davvero vastissimo. Le parole di questo spot, come avete sentito, sonoispirate alla fiaba forse più celebre del mondo, Cappuccettorosso. Questo filmato mi ha colpito subito, né positivamentené negativamente. O meglio, suscitando emozioni complesse. Siccomequesta reazione mi ha incuriosito, ho cercato di capirne la ragione,che adesso proverò a spiegare.
Nella prima scena vediamoun ambiente di lavoro luminoso, pulito, ordinato, accogliente, sebbeneimpersonale. Persone, computer, movimento, rumori. Un uomo digita sullatastiera. All'improvviso si interrompe e guarda un orologio a parete:sono le 17.

GustaveDoré, Le Petit Chaperon rouge,1864.

L'uomosmette di lavorare, indossa il soprabito ed è a questo punto chepronuncia con grande enfasi una frase strana: Ho una fameda lupi!. Con questo subito si guadagna l'occhiata, frail sorpreso e divertito, di una collega alla scrivania accanto. Lafrase, per quanto strana, potrebbe avere un legame con il momento:sono le 17. E alle cinque, prima di cena, si può già aver fame.
La cosa strana è che un uomo come quello che vediamo, ben vestitoe dai gesti controllati, pronunci ad alta voce e in quel modo unafrase del genere, manifestando un bisogno con quella veemenza. Valea dire in modo non controllato, cioè infantile. Forse per questola collega sorride: perché un uomo grande e grosso, con la barba,vestito formalmente, esprime un bisogno come farebbe un bambino. E uncomportamento infantile in un adulto che sembra padrone di sé, è unpo' ridicolo, imbarazzante.
Ma il legame con l'infanziastabilito da questa frase, sta anche in altro. Perché questa frasenormalissima, comune, che tutti noi pronunciamo e abbiamo pronunciatochissà quante volte nella nostra vita, evoca uno dei temi più tipici,profondi e paurosi delle fiabe. Quello della fame.


Gustave Doré,Le Petit Chaperon rouge, di Charles Perrault,1864.

Anchesenza stare a fare ricerche, quello che, subito, mi viene in menteè un'immagine composita: è Pollicino, ovvero il tema dei bambiniabbandonati da genitori affamati, troppo poveri per poter sfamarela nidiata dei figli; sono l'orco, l'orchessa e le orchessine cheguardano a Pollicino e ai suoi fratelli come a capretti arrosto; èla fame che prende i bambini persi nel bosco, cioè Hansel e Gretel,che finiscono irretiti dalla casetta di biscotto, e la fame dellastrega che li fa prigionieri e che chiude Hansel in una gabbietta,all'ingrasso; sono le mense che per magia si imbandiscono da sole neipalazzi incantati,

KayNielsen, Hansel et Gretel, Fratelli Grimm,1929.

quando vi arrivaun ospite, giunto da lontanissimo e ignaro di ciò che lo aspetta; èRiccioli d'oro che, affamata, mangia la zuppa pronta nelle tre scodelledegli orsi; sono i desideri di cibo che prendono certe regine gravide,come la mamma di Prezzemolina o Rapunzel, e spingono incauti maritia violare gli orti di streghe vendicative; è la lucentezza della melaavvelenata di Biancaneve che costringe la bella a violare i divieti; sonoi cibi poverissimi di Pinocchio: le bucce della pera, il cavolfiore,contro i confetti al rosolio della Fata Turchina e le prodigioseimbandigioni del Gatto e della Volpe, all'Osteria del Gambero Rosso;e infine, certo, è la fame nera e senza fondo del lupodi Cappuccetto Rosso, che divorala nonna per poter poi sbranare la nipotina (nel1994, Mondadori ha pubblicato sul tema di fame e fiabe, Ucci ucci. Piccolo manuale di gastronomiafiabesca, di Giorgio Cusatelli).


GustaveDoré, Le Petit Poucet,1862.

Tuttociò è contenuto in questa innocua frase: Ho una fame dalupi!. Il fatto che sia pronunciata non in un consesso di amici,ma fra estranei, in un contesto formale, e in un registro espressivomolto diverso da quello che ci si aspetterebbe, fa sì che questalasci trapelare tutta la sua carica, la sua minaccia, la sua ricchezzafiabesca. Cosa di cui lo spettatore si accorge subito, perché questeparole incrinano il piano della realtà, rivelandone un'ambiguità cheallude ad altro. E qui avviene il primo spostamento, seppur minimo, madeciso verso la fiaba. Da questo momento in poi, lo scivolamento verso ilfiabesco accelera, lasciando spiazzato lo spettatore, ancora in dubbiosu come decodificare i comportamenti anomali del protagonista.
Nella scena successiva il signore barbuto è in ascensore. Nellacabina entra un uomo più maturo, serio e formale: forse si trattadi un capo. Nonostante questa presenza autorevole, il protagonistapronuncia, in falsetto, simulando una voce femminile, un'altra frasefuori luogo: Entra, bambina cara!.

GustaveDoré, Le Petit Poucet, di Charles Perrault,1862.

Il “capo” per un istante lo fissa con evidenteriprovazione e preoccupazione. Tutto, in questa scena, fa pensareal parlare “da solo” di uno psicotico: la voce in falsettomette in luce apertamente il contrasto fra l'età esteriore e quellainteriore dell'uomo. L'ascensore, luogo frequentatissimo dai registi,dall'Inferno di cristallo ad Ascensore peril patibolo, è location claustrofobica per antonomasia,che costringe a una prossimità imbarazzante in una situazione diperdita di controllo dell'ambiente. Lo spettatore non sa cosa pensare: hariconosciuto le frasi pronunciate dal protagonista per quelle della fiabadi Cappuccetto rosso. Ma continua a non capirne laragione.

Walt Disney, Snow White,1937.

E c'èun ulteriore risvolto inquietante: la fisionomia dell'uomo, con barbae lineamenti marcati, grazie alle parole della fiaba si avvicina peranalogia, per suggestione, a quella di un lupo. E sappiamo bene che inquesta fiaba la presenza dell'animale è simbolica e allude alla possibileviolenza maschile sulle bambine.
La terza scena si svolge in unparcheggio sotterraneo, qui l'uomo “getta la maschera”: Permangiarti meglio! ruggisce, camminando a grandi passi versol'automobile. La sua imponenza fisica è percepita come decisamenteminacciosa. Un'esplosiva risata, a conclusione della frase, fa pensareche stia per essere compiuta un'azione efferata (del resto siamo in unparcheggio sotterraneo dove, come affermano centinaia di film e telefilm,efferate violenze si consumano con puntualità svizzera). E va notato cheil tema della fame, introdotto fin dalla prima scena, è sottolineatoe ripreso dal percorso che l'uomo ha compiuto: dall'alto, attraverso illungo tubo digerente dell'ascensore, al basso, ai sotterranei, al ventrenascosto dell'edificio, dove l'uomo rivela senza più nascondersi lasua natura ferina.

Carlo Chiostri,Pinocchio. Le avventure di un burattino,1901

La narrazioneè, insomma, davvero inquietante: inquietante come lo può essere lafavola di Cappuccetto rosso per un bambino piccoloche la ascolti per la prima volta. E viene il sospetto che lo spotsia costruito sulla falsariga di una fiaba classica (lo segnala peresempio, il comportamento anomalo dell'uomo, ripetuto tre volte, dovela ripetizione ternaria è un classico topos  fiabesco) , perfar provare e ricordare all'adulto che lo sta guardando, e che ne è ildestinatario, l'esperienza emotiva di una narrazione fiabesca, sebbenericorrendo, nel farlo, a elementi dell'immaginario contemporaneo.
Ma le fiabe, lo sappiamo, hanno un lieto fine. Ad annunciarlo,qui, è una voce femminile: quella di una giovane madre che legge lafiaba di Cappuccetto rosso a un bambina di pochianni. Cappuccetto rosso dalla pancia del lupo! esclama,sollevata. A questo punto, vediamo il nostro uomo entrare nella bella casadove sono la madre e la bambina, e togliersi un auricolare. Lo spettatoreintuisce, allora, finalmente, che quello strano uomo, è semplicemente unpadre che sta, rodarianamente, raccontando al telefono una storia a suafiglia, che infatti, al suo ingresso, e terminata felicemente la storia,depone la cornetta.

GiambattistaGalizzi, Pinocchio. Le avventure di un burattino,1942.

Per nullaspaventata, la bimba tiene fra le mani l'innocua figurina sagomata diun lupo di carta. Sul divano accogliente, madre e figlia condividono lalettura sotto una coperta di pelliccia grigia che ammicca allo spettatore,alludendo alla fine che i lupi fanno nelle fiabe, diventando un innocuoinvolucro di pelo (quantomeno, nella versione dei fratelli Grimm). Per laprima volta vediamo l'uomo sorridere: il suo volto, di pari passo con loscioglimento positivo della storia, riacquista una fisionomia pienamenteumana, probabilmente la più tranquillizzante che ci sia: quella,protettiva, di un padre. L'uomo si va a sdraiare accanto alla bambinaper rileggere la storia appena finita (soddisfando una tipica richiestainfantile). Indosso ha ancora il soprabito, ma l'auricolare ora è spento,a sottolineare che il tempo da questo momento dedicato alla figliae alla lettura è prezioso, non procrastinabile, importante, difeso,coltivato. Lo spot è ai suoi ultimi istanti: una voce femminile fuoricampo pronuncia lo slogan della campagna: La sua storia cominciadalle tue parole. Leggere insieme, crescere insieme.

ArthurRackham, Goldilocks and the Three Bears,1918.

Una bella headline, a mio avviso, soprattutto in relazione alla microfiaba che lospot ci ha appena raccontato. Le parole che diciamo tutti i giorniappartengono non solo alla dimensione del quotidiano (fame, lupo,bambina), ma anche a quella, importantissima, delle storie che abitano neilibri, che ci appartengono da tempi immemorabili e che, al contrario diquelle pronunciate per la comunicazione ordinaria dell'organizzazionequotidiana, ci raccontano aspetti profondi ed emozionanti dellarealtà, di noi stessi e della vita. I genitori, ci dice questomessaggio, devono essere consapevoli che le parole hanno un'importanzafondamentale nella crescita dei loro figli. Parole che devono essere,per questo, scelte con attenzione.
Le parole dei libri fannoparte della vita, proprio come quelle che pronunciamo tutti i giorni,e costituiscono uno strumento fondamentale di sviluppo e conoscenza per ibambini. Trovo interessante, e corretto, che lo spot sia stato costruitonon genericamente su un “libro per bambini” o sulla pratica dellalettura, ma a partire da una storia ben definita, anzi: dalla fiaba pereccellenza, quella universalmente conosciuta di Cappuccettorosso.

T. Nelson,Goldilocks and the Three Bears,1867.

E non peraffermarne genericamente, e didascalicamente, il valore, ma per suscitarenello spettatore quelle emozioni infantili, così preziose, che la letturaad alta voce di una fiaba suscita: attesa, meraviglia, suspence, paura,inquietudine, sollievo, gioia. Oggi, per un costume mentale invalso esciagurato e, ahimé, molto diffuso, si ritiene che i bambini debbanoessere tenuti lontani da esperienze ed emozioni ritenute “troppo”forti, negative, temendo che ne siano turbati, traumatizzati.

Affermare la legittimità delle fiabe, e il valoredi letture autentiche e non edulcorate o piattamente didascaliche, dipuro intrattenimento, è un messaggio importante, coraggioso, forte epienamente condivisibile.

Unico dubbio: forsel'intelligenza di questo spot meritava un ritratto di famiglia menoclassicamente pubblicitario e, invece, più vicino alla realtà. Nonper altro: la lettura non è un consumo. E un messaggio che la veicoladovrebbe comunicarlo, nella forma, insieme ai contenuti. Altrimentipotrebbe dare l'impressione che libri, deodoranti, biscotti e carnein scatola siano un po' la stessa cosa. (gz)

BackstageNati per Leggere from CSC Lombardia on Vimeo.