[di Paolo Canton]
Da qualche giorno è uscito il secondo libro di Chenxino, un’illustratrice cinese che si è formata in Italia. Come La luce, che lo aveva preceduto nel 2019, anche Anch’io è un libro bilingue (italiano e cinese), ma questa volta, invece di raccontarci una storia d’amore, Chenxino ci parla del desiderio.
L’argomento è dei più interessanti per gli adulti, ma credo sia addirittura fondamentale per i bambini, che ben conosciamo come esseri desideranti, assaliti ogni giorno da un desiderio insopprimibile di tutto.
Sulla copertina di Anch’io, una bambina intenta a ritrarre se stessa con un pennello. Come la protagonista de La luce, ha occhi grandi, i capelli a caschetto e indossa una uniforme scolastica. Entrati nel libro, la ritroviamo nell’angolo in basso a sinistra del controfrontespizio, intenta a osservare il titolo del libro. Poi si volta la carta, la storia comincia e sulla pagina sinistra troviamo l’immagine di una tigre in cattività che, attonita e rassegnata, da dietro le sbarre della sua gabbia afferma «Vorrei uscire.» Alla tigre fa da contraltare la bambina, inquadrata nella finestra di una scuola: si è girata verso di noi e con uno sguardo fermo e risoluto dichiara «Anch’io».
Ecco, direte: il solito stereotipo dei bambini che non vogliono andare a scuola, del banco come prigione, del tempo trascorso in classe come pena detentiva. Certo, è vero. Ma non affrettate le conclusioni. Questo è un libro che chiede pazienza.
Si volta la carta e vediamo in alto, sul fondo bianco della pagina che ci fa pensare a un cielo sterminato un pesce che sembra volare e, volando, trasportare passeggeri, come un aeroplano. E il pesce dichiara: «Vorrei viaggiare.» E la bambina, trascinando una valigia a rotelle che probabilmente contiene i libri di scuola, torna ad affermare: «Anch’io.» Il suo sguardo non ha più la fermezza di prima. Sembra che viaggiare, oltre ad affascinarla, le faccia anche un po’ paura.
E, di nuovo, vedo un’ombra di perplessità scurirvi il volto: ecco, ci siamo, la solita adultizzazione dei bambini che, non c’è dubbio, a viaggiare proprio non pensano. Rinnovo il richiamo alla pazienza. Presto tutto sarà chiaro.
Si volta di nuovo la carta e vediamo un gufo nel cavo di un tronco che afferma: «Vorrei abitare su un albero.» Come risponde la bambina ormai l’avrete intuito. Ma se vi concentrare sull’immagine, vedrete che la sua uniforme scolastica è stata sostituita da un costume da uccello, con le sue belle piume di un giallo allegro, come quelle degli uccelli che popolano i rami dell’albero sul quale è seduta.
È questo il modulo del libro: qualcuno dice che cosa desidera: uscire; viaggiare, abitare su un albero, avere i capelli più lunghi, essere più bello eccetera. E la nostra eroina, invariabilmente, risponde «Anch’io.» È quindi, forse, quello della nostra bambina con gli occhi grandi un desiderio indotto, imitativo? O forse insieme a lei possiamo cominciare a interrogare noi stessi e i bambini che ci accompagnano sulla natura di un desiderare così pervasivo e ingombrante? Non sono, forse, questo volere e questo voler essere altro da quel che si è più desiderio di conoscenza che di appropriazione? E da qui non varrebbe la pena partire per domandare a noi stessi e a loro, i bambini, quale sia la vera natura di questo nostro essere desideranti? E se desideriamo tutto, qual è il nostro vero desiderio? E perché desideriamo?
Nelle fiabe, gli animali parlanti distillano perle di saggezza. Fanno domande che rivelano il buono e il generoso e stanano il cattivo e l’arraffone. E anche qui non fanno eccezione. E così, improvvisamente, pongono alla nostra eroina la domanda fondamentale. Non la rivelerò qui. Vi basti sapere che a partire da questa, dalla lapidaria risposta e dalla pagina finale del libro sarà possibile ripercorrere la strada del desiderio sotto una luce completamente diversa.
Un romanzo americano che ebbe uno straordinario successo globale a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, suggeriva di porsi spesso la stessa domanda e osservare se, e come, la risposta cambiasse nel tempo. Un suggerimento che varrebbe la pena seguire alla lettera. Soprattutto oggi, soprattutto qui, in una società che fa di tutto per sfruttare in modo perverso e deteriore il nostro e loro essere desideranti.
Così come varrebbe la pena, letto questo libro, leggere o rileggere, da soli o insieme ai bambini, La zuppa Lepron di Giovanna Zoboli e Mariachiara Di Giorgio, che ha preceduto di qualche settimana Anch’io in libreria. E leggendolo, interrogarci insieme a loro sulla ragione per la quale un desiderio che si realizza rischia di rovinare i nostri sogni.
Buone letture.